25 Gennaio 2024

Appartenere a Dio e il senso del matrimonio (1Cor 7,1-16)

di don Salvatore Chiolo

L’apostolo insiste sui casi d’immoralità e a riguardo ordina di seguire regole precise per vivere meglio il proprio stato e la propria condizione. «Non rifiutatevi lun laltro» (7,7), riferito a chi è sposato; «se non sanno dominarsi, si sposino» (7,8), riferito a vedove e non sposati, mentre per chi è sposato scrive: «la moglie non si separi dal marito[…] e il marito non ripudi la moglie» (7,10-11): tutte indicazioni categoriche pronunciate a titolo personale e a titolo apostolico, ovvero per ordine di Dio. In ognuna di esse traspare il pensiero di appartenere a Dio e non a sé stessi perché, così vivendo, la parola della croce trovi sempre spazio all’interno della comunità. È di questo, infatti, che si tratta: di un annuncio continuo, permanente, come di uno stato e di una condizione che, sulla scorta di quanto vissuto civilmente nei confronti del coniuge o meno, rifletta il rapporto profondo e intimo con Dio. E questo annuncio è considerato ordinario, proprio di coloro che ne hanno a che fare ogni giorno e più volte durante la giornata dal momento che condividono la chiamata di Cristo nella comunità. Non è un annuncio straordinario, come fatto da una persona incontrata per la prima volta e dal quale si viene spronati a cambiare vita una volta per tutte; bensì esso è contenuto nella vita e nelle parole dei fratelli e del rapporto interpersonale all’interno della comunità. Per cui, l’ulteriore strattonamento che l’apostolo opera a distanza è un riconoscimento importante dell’annuncio come responsabilità condivisa e sinodale, ovvero partecipata e coinvolta da parte di tutta quanta la comunità.[expander_maker id=”1″ ] Il passaggio successivo riguarda la relazione tra coniuge credente e coniuge non credente e sviluppa un filone spirituale sul quale si fonda il cosiddetto “privilegio paolino”, ovvero il diritto a sciogliere il matrimonio qualora il coniuge non credente prenda l’iniziativa di separarsi. L’apostolo scrive: «se il non credente vuole separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a schiavitù: Dio vi ha chiamati a stare in pace!» (7,15). Non si tratta di una scelta di comodo o di una forma di rassegnazione “benedetta”, bensì di una presa di consapevolezza che tocca il valore immenso della fede ricevuta con la chiamata alla santificazione da parte di Gesù Cristo con il battesimo e la vita nella comunità. Una chiamata a vivere unicamente per Dio e per la parola della croce che non conosce altre priorità, anche rispetto ai legami di sangue; perché è nell’idea profonda di santità che si radica ogni rapporto con Dio il quale separa il suo popolo e la sua gente per vivere con loro un rapporto intimo, unico e privilegiato. Niente può anteporsi a questa scelta di Dio e tutto ciò che interferisce con essa sfida l’equilibrio su cui la vita stessa procede in avanti, di giorno in giorno. Salomone, nella lunga e splendida preghiera a Dio, così infatti si rivolge a lui: «Siano aperti i tuoi occhi alla preghiera del tuo servo e del tuo popolo Israele e ascoltali in tutto quello che ti chiedono, perché te li sei separati da tutti i popoli della terra come tua proprietà, secondo quanto avevi dichiarato per mezzo di Mosè tuo servo, mentre facevi uscire i nostri padri dall’Egitto, o Signore Dio» (1Re 8,52-53). Perciò, l’apostolo profondamente radicato nella sua appartenenza al popolo e a Dio, da Damasco in poi, considera la comunità dei cristiani come parte vivente e sensibile del popolo d’Israele, anche se di provenienza etnica diversa. Appartenere a Dio e non a sé stessi è essenziale all’inizio e nel prosieguo della nuova vita in Cristo, ma averne consapevolezza vale quanto tutto il nuovo cammino intrapreso con i fratelli. Alla luce di questo, l’identità del cristiano anche oggi ha bisogno di sapersi radicata nella stessa persona di Dio, maturando con Lui un rapporto personale e comunitario, allo stesso tempo: un rapporto che sia guidato, condotto da figure mature nell’esperienza di Chiesa, intesa come comunità di santificati, ovvero di persone scelte per stare con il Signore sia dentro che fuori la cornice architettonica dell’edificio ecclesiale. È sempre più urgente che questo rapporto venga reso chiaro e lucido di fronte all’insidia del conformismo spirituale che tende, invece, ad appiattire fino a sciogliere completamente i segni particolari dell’identità cristiana; un’insidia che muove da quella forma nociva di vita credente che è il devozionismo, propria di quanti si comportano secondo il destino glorioso del “ladrone pentito” ignorando però ogni rapporto con Gesù Cristo, con la sua parola della croce, da cui lo stesso destino ha senso ed origine. Quanto ci si metterà a comprendere che tutto ciò nuove alla credibilità della Chiesa, rendendo praticamente inutile ogni annuncio della parola della croce? In che misura il pensiero di Cristo rappresenta il criterio di discernimento del modo di vivere i rapporti all’interno delle comunità?

Spunti e appunti per una Lectio personale

Fedeltà del popolo e fedeltà personale
Isaia 62,4Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
(vedi anche:Ger 30,21-22; Is 7,9b; Esdra 9,6; Mc 16,20) [/expander_maker]

 

 

 

 

 

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