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«Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono» (7,4)

Appartenere a Dio e il senso del matrimonio (1Cor 7,1-16)

L’apostolo insiste sui casi d’immoralità e a riguardo ordina di seguire regole precise per vivere meglio il proprio stato e la propria condizione. «Non rifiutatevi lun laltro» (7,7), riferito a chi è sposato; «se non sanno dominarsi, si sposino» (7,8), riferito a vedove e non sposati, mentre per chi è sposato scrive: «la moglie non si separi dal marito[…] e il marito non ripudi la moglie» (7,10-11): tutte indicazioni categoriche pronunciate a titolo personale e a titolo apostolico, ovvero per ordine di Dio. In ognuna di esse traspare il pensiero di appartenere a Dio e non a sé stessi perché, così vivendo, la parola della croce trovi sempre spazio all’interno della comunità. È di questo, infatti, che si tratta: di un annuncio continuo, permanente, come di uno stato e di una condizione che, sulla scorta di quanto vissuto civilmente nei confronti del coniuge o meno, rifletta il rapporto profondo e intimo con Dio. E questo annuncio è considerato ordinario, proprio di coloro che ne hanno a che fare ogni giorno e più volte durante la giornata dal momento che condividono la chiamata di Cristo nella comunità. Non è un annuncio straordinario, come fatto da una persona incontrata per la prima volta e dal quale si viene spronati a cambiare vita una volta per tutte; bensì esso è contenuto nella vita e nelle parole dei fratelli e del rapporto interpersonale all’interno della comunità. Per cui, l’ulteriore strattonamento che l’apostolo opera a distanza è un riconoscimento importante dell’annuncio come responsabilità condivisa e sinodale, ovvero partecipata e coinvolta da parte di tutta quanta la comunità.

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