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«Ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre» (9,25)

I Corinzi verso una corona che dura sempre e la disciplina alla “parola della croce” (1Cor 9,24-27)

L’intenzione di partecipare del Vangelo, da parte dell’apostolo, rappresenta una conquista pari a quella che emblematicamente contraddistingue gli atleti dalle altre persone mentre vengono incoronati con corone d’alloro dopo la vittoria negli stadi. Analogamente, la corona eterna (στέφανον ἄφθαρτον) esercita un certo fascino verso la mente, il cuore ed il corpo e la natura umana dell’apostolo a tal punto da coinvolgerlo in ogni azione pastorale fino allo sfinimento; essere capaci del Vangelo, con cui l’apostolo è totalmente coinvolto, impegna la vita in un continuo “svuotamento”, pulizia e ordine con una precisa disciplina (ἐγκρατεύομαι) (1Cor 9,25), una puntuale attitudine a dominarsi e a sigillare la propria condizione anche con la morte, se occorre. Ciò riporta l’attenzione sul ruolo dello Spirito Santo che viene in soccorso ai fratelli di Corinto, affinché non siano abbandonati alle proprie forze, ma comprendano sempre di più e sempre meglio quanto riguarda la storia della propria conversione e della propria comunità: «luomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito» (1Cor 2,14); allo stesso tempo, la disciplina  dell’apostolo dedicato alla corona eterna chiarisce il concetto espresso nei versetti precedenti sul guadagno di ciascun fratello a Cristo come una vera e propria competizione spirituale per la quale tutto è concesso, purchè il fine venga raggiunto (1Cor 9,20-23).

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