
La sezione della lettera dedicata alla pratica dei banchetti da parte dei fratelli della comunità si conclude con delle considerazioni pratiche e il proposito di accompagnare tutti alla «salvezza» (10,33). Termine molto forte, sì, ma anche di grande impatto nel modo di ragionare dell’apostolo per il quale essere salvati vuol dire, innanzitutto, accogliere l’annuncio del vangelo e farsi battezzare. «È piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1Cor 1,21) e «mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22), sono le espressioni principali della lettera in cui il pensiero dell’apostolo viene esplicitato senza giri di parole: gli altri sono il destino del missionario e si salvano quando accolgono, ascoltano e obbediscono alla «predicazione» (1Cor 1,21). Tutto ciò rappresenta una vera e propria catechesi sulla partecipazione dell’uomo all’opera di Dio, verso la quale ogni sforzo è ordinato da parte dei suoi figli e ministri; nella lettera, poi, la partecipazione dell’uomo viene definita «comunione» (1Cor 10,16) e l’apostolo precisa che l’accoglienza docile e disponibile dell’annuncio è «comunione con il vangelo» (Fil 1,5). Per cui, il fratello e la sorella che accolgono la parola di Dio, attraverso la predicazione dei suoi ministri, si salvano e sperimentano una “nuova” vita fin dall’inizio, piuttosto che alla fine come se si trattasse di un premio da meritare. Prendere parte ai banchetti offerti da persone «non credenti» (ápistos, ἄπιστος), cioè che non appartengono alla comunità, è un gesto cordiale in risposta alla cordialità dell’invito ricevuto; ma nel caso in cui, durante il banchetto, si venga avvertiti che la carne servita proviene dai sacrifici fatti agli dèi, è giusto non mangiarla, anche se gli dèi non esistono: per rispetto di chi ha avuto la coscienza di avvertire in tempo. Anche questo modo di entrare in relazione con gli altri, attraverso la coscienza, è «comunione con il vangelo», ovvero disponibilità umile e docile al fratello e alla sorella «non credente» (ápistos, ἄπιστος) a cui la presenza di un cristiano autentico può risultare come testimonianza capace di suscitare in essi il desiderio della vita “nuova”, che è già inizio della «salvezza». Chi non crede, infatti, osserva e si rende conto della «comunione con il vangelo», della risposta cioè personale e libera al messaggio dei missionari che ognuno ha accolto; allo stesso tempo, gli diviene chiaro anche il vangelo stesso, oltre alla risposta che il fratello può aver dato: vangelo nel senso di quella prossimità nei confronti dell’uomo realizzata da Dio, in Gesù Cristo, rispetto alla lontananza degli dèi. Partecipare, dunque, al banchetto di chi non crede senza perdere di vista la propria comunione con Gesù Cristo è “ministero” tanto quanto quello dei missionari e degli stessi apostoli. Ritirarsi e, per paura, «cercare il mio interesse» (1Cor 10,33), evitando il non credente o, addirittura, discriminandolo, spegne il desiderio di una vita “nuova” e di conseguenza allontana la salvezza da coloro che avrebbero potuto cambiare o forse anche rinascere, vanificando anche la stessa fede con cui si è vicini al Signore diventando agli occhi degli altri veri e propri non credenti a propria volta, nonostante si appartenga esteriormente alla comunità, al corpo di Cristo.
Il legame esteriore, così come la partecipazione esteriore alla comunità, al corpo di Cristo, si rafforza con il pasto comune, fractio panis, e la comunità diviene sempre di più un punto di unione e condivisione così per come Dio l’ha desiderata e realizzata attraverso il gesto di Gesù e la comunione con il vangelo dei missionari. Tuttavia, diviene sempre più necessario che la conoscenza di quanto fa parte delle proprie tradizioni si accresca grazie al vangelo, che non è un contenuto, un messaggio, un’idea estranea alle tradizioni stesse, bensì uno spunto perché esse risultino sempre e meglio comprensibili e chiare, nonostante la mediocrità evidente. La comunità di Corinto, in quanto realtà che vive della presenza di molteplici tradizioni riguardo agli dèi in cui crede la gente, ha il compito di maturare piano piano la chiamata ad animare la cittadinanza attraverso una partecipazione autenticamente cristiana così da non discriminare, bensì aiutare a comprendere il senso del culto pagano sia i fratelli già battezzati che sia, eventualmente, i fratelli non battezzati, non credenti appunto.
La sfida della Chiesa di oggi si misura con la ricerca di senso dell’uomo contemporaneo che, nonostante siano passati millenni, non è poi così diversa da quella che vivevano gli uomini e le donne di Corinto: una ricerca di comunione e comunità autentica. Qual è il ruolo della coscienza del credente nel servizio alla comunione con chi non crede in Dio e, sopratutto, con chi è lontano dalla comunità ecclesiale? Quale valore si riconosce al confronto con l’altro, in un clima di amicizia e stima sincera, sempre utile per sviluppare al meglio l’esercizio della coscienza? La comunità ecclesiale di oggi fino a che punto è pronta al confronto e al dialogo della vita, più che “sulla” vita e attorno ad altri argomenti? Dovrebbero o non dovrebbero essere “credibilità” e “comunione” gli attributi essenziali di ogni realtà ecclesiale? E perchè?
Spunti per la Lectio personale
Tracce di comunità
Neemia 9, 9Tu hai visto l’afflizione dei nostri padri in Egitto
e hai ascoltato il loro grido presso il Mar Rosso;
10hai operato segni e prodigi contro il faraone,
contro tutti i suoi servi,
contro tutto il popolo della sua terra,
perché sapevi che li avevano trattati con durezza,
e ti sei fatto un nome che dura ancora oggi.
(Vedi ancheGeremia 30,22;Ezechiele 37,13;Giovanni 15,14;Atti degli Apostoli 7,36-38)