Cercare appoggio e sostegno sociale, convenienza e rispetto tra quanti vivono secondo le logiche comuni è sintomo di un rapporto mancato con il Signore, e probabilmente anche privo di presupposti validi per poterlo costruire. «
Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (3,23). “Essere di Cristo” è cifra di una relazione voluta, scelta, abbracciata dopo aver visto bene con gli occhi dell’anima il valore che rappresenta Cristo, la stima e la preziosità della sua persona: cosa che i fratelli ancora non conoscono. Paolo è al corrente di questo limite e tuttavia non se ne serve per sé stesso, per rimproverare e mortificare un passaggio non ancora vissuto, ma vi si pone nella condizione, anzi, di servirlo, di aiutarlo a maturare, ben sapendo e ben facendo sapere di essere, assieme ad Apollo, semplici inservienti ed economi dei misteri di Dio, ovvero
fedeli (πιστός) (4,2). Quindi la posta in gioco è altissima da parte sua: non si tratta di esporre un punto di vista piuttosto che un altro, rispetto alla difficoltà sui primi passi della comunità; e non è una questione su cui essere d’accordo o meno, come facendo discussioni da “
devotion cafè”, bensì è messa alla prova la
fedeltà alla chiamata che Dio ha rivolto all’apostolo attraverso Anania, a Damasco: «e
gli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15-16). Essere stato chiamato a fungere da
strumento implica soltanto obbedienza, attenzione, ascolto: tutte quante parole per dire
fedeltà, appunto. Luca, che scrive i due volumi della sua opera (Vangelo e Atti degli Apostoli), usa il termine “strumento” (σκεῦος) per indicare oggetti, utensili domestici (vasi, tovaglie) molto generici, ma di scarsissimo pregio in quanto irrilevanti, né raffinati in sé e per sé. Il pregio ed il valore, quindi, secondo la mentalità nuova del
pensiero di Cristo e della
parola della croce derivano dall’essere trattenuti, maneggiati e condotti attraverso mani e, soprattutto, una sapienza
altra, diversa, complementare (magari), ma non dipendente o in risposta all’iniziativa dell’uomo, perché anteriore, precedente, risalente a «
…prima della creazione del mondo» (Ef 1,14). Questo ragionamento troverà uno sbocco efficace nell’esempio del corpo con cui Paolo indicherà ai Corinzi la traiettoria del proprio rapporto con Cristo (1Cor 12,12-26) ed è proprio alla luce di questo esempio che fin da adesso, nella mente e nel cuore dell’apostolo, l’idea del capovolgimento è possibile ed esiste: l’attrezzo può ribellarsi, scegliendo di non essere
fedele, cioè mutando la propria sorte in quella di uno strumento ben più preciso in grado di operare del male, come succede ad Alessandro, il fabbro, che, servendosi della fiducia riposta su di lui, procura molti danni all’apostolo e alla predicazione del vangelo (2Tm 4,14). L’utensile, di per sé tesso poco pregiato ed inutile forse, può rivalutarsi o, addirittura, essere rivalutato per un fine completamente alieno a ciò per cui è stato costruito, procurando persecuzioni: questo è il dato di cui l’apostolo tiene conto fin dalle prime battute del suo scritto, guardando alla propria esperienza in merito così da metterne in guardia i fratelli corinzi. La
fedeltà, invece, è una risposta silenziosa, dunque pensata, valutata e sempre di più scelta e ricercata; è una collocazione, uno spazio occupato con discernimento, oltre che con discrezione e nascondimento: un tempo e uno spazio in cui l’altro è al centro e la comunità, perciò, attorno. L’identità del fratello e della sorella
fedele, dell’uomo e della donna, così come del maschio e della femmina, alla luce del mistero di Dio, di cui si è inservienti ed economi, viene alla luce, si svela e manifesta nel tempo e nello spazio della comunione libera, piuttosto che in quello della divisione secondo cui è più conveniente che al centro ci sia soltanto l’ “io”, piuttosto che il “noi”. Nella comunione tra i fratelli la libertà e la creatività dello
strumento si esprime nel dono, così come è possibile sperimentare nel preciso contesto in cui si è chiamati a servire. L’umano e l’umanità – in genere – chiedono garanzie; il pensiero di Cristo risponde con la
fedeltà alla chiamata. Le
sole forze del credente spingono nella direzione classica del protagonismo fine a sé stesso; il pensiero di Cristo incoraggia scelte anche “poco” convenzionali purché dedicate all’altro: scelte di basso profilo ma di efficacia interiore per sé e per gli altri. Soltanto in questo itinerario di delicata maturazione del vivere in comunione appartenere a Cristo diventa un valore, un vero e proprio
modus vivendi, una mentalità
altra in virtù della quale appartenersi, determinarsi, proporsi è il penultimo step verso l’unica destinazione del cristiano: l’altro.
Sentiamo, anche e soprattutto adesso, al termine di una fase importante del processo sinodale, prima di un nuovo inizio, l’urgenza di cambiare mentalità, scegliendo liberamente atteggiamenti sinodali, posizioni e collocazioni di comunione; e tutto questo mentre il percorso va avanti. Ma siamo veramente pronti a scegliere l’ “altro”, la relazione con l’ “altro”, il dialogo e il confronto con l’ “altro”?
Quanto vale la fedeltà alla chiamata ricevuta in questo cambiamento di mentalità? Perché la Parola e il rapporto con essa sono determinanti nel dialogo con l’ “altro”?
Spunti e appunti per una Lectio personale
Fedeltà del popolo e fedeltà personale
Isaia 7, 9bMa se non crederete, non resterete saldi (——> vedi anche: Esdra 9,6; Mc 16,20)
Fedeltà e/è stabilità
Abacuc 3,19Il Signore Dio è la mia forza,
egli rende i miei piedi come quelli delle cerve
e sulle mie alture mi fa camminare. (——> vedi anche: Is 50,7; Gc 1,1-5)