19 Ottobre 2023

Corinto, palestra di Chiesa (1 Cor, 1-9)

di Don Salvatore Chiolo

È un’esperienza forte quella che Paolo riesce a comunicare a proposito della comunità corinta: un legame, un vincolo, un rapporto continuo fatto di ammonimenti e di elogi, di provocazioni e riletture. Non ha ancora terminato di scrivere le prime battute della lettera che già si commuove interiormente: «non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» (1,7).

Le uniche comunità a cui ne parla sono quelle di Corinto e Roma; Filippi, Tessalonica, Efeso e le altre ne avranno notizia, l’apostolo le istruirà in merito; ma, scrivendo loro, soltanto ai romani e ai corinti ne ratificherà pienamente il senso e la realtà. Sì, perché carisma (χάρισμα) è parola chiave della grammatica della grazia (χάρις), «grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo» (1,3).

Niente di quanto insiste, coinvolge ed avvolge la comunità corinta rimane al di fuori della grazia, perché in essa riposa un desiderio speciale dello Spirito: l’unione e la concordia. Chiesa traduce innanzitutto relazioni e vincoli la cui stima è data dalla pace, legami e vincoli dei quali essere capaci, in grado di contenere e vuoti a tal punto da accogliere l’altro, il fratello, la sorella, Cristo stesso. Il dono, il gesto che lo rende attuale, spiega la vita; ricevere un dono viene prima del verbo donare e tutto, nel bene o nel male, muove dall’accoglienza. Ai corinti non manca nessun dono di Dio, hanno ricevuto ed accolto quelli della parola e quelli della conoscenza (1,5): la Chiesa si è costituita come Cristo ha voluto. L’altro è la dimensione naturale e reale della vita quotidiana.

            Il saluto di queste primissime righe della lettera esprime la gioia incontenibile dell’apostolo che funge continuamente da centro gravitazionale di tutto il messaggio in essa partecipato. Paolo mantiene uno sguardo interiore quanto più presente, incisivo e discreto proprio sull’altro, sul fratello, sulla vita fisica e spirituale dell’uomo e della donna che fanno la Chiesa, la comunità, la comunione, la concordia e la pace.

Perché è bello e nobile predicare pace e unione, ma fare l’unione, quasi come quando si “mette in pratica” (direbbe Gesù nel discorso della montagna) il senso di un legame umano, fraterno e privo di ogni ombra di discriminazione, è impresa degna di una lode più profonda e autentica, che solo partecipandovi si può esprimere.

  • Le chiese e le comunità della nostra generazione sono in grado di accogliere l’altro?
  • Fanno fatica a pensarsi in una relazione viva di tanti anziani con alcuni giovani e bambini, di tanti adulti con pochi ragazzi? Oppure l’età e l’esperienza ostacolano la gioia della grazia, la forza di gravità che riporta tutti al centro, uno accanto agli altri, senza confusione ma, anche, senza discriminazione?
  • Sta crescendo la capacità di condividere la Parola, il desiderio di scambiarsi quanto si è ricevuto durante le liturgie e le catechesi?
  • Insomma, a che punto del cammino ci troviamo in questo nuovo inizio d’anno pastorale che, ancora una volta, ci salda al destino dell’altro «fino alla fine» perché «degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!»? (1,8-9).
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