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Simpatia per Ponzio Pilato: laviamocene le mani

Il Mistero pasquale di Gesù, che comprende la sua passione, morte, risurrezione e glorificazione, è al centro della fede cristiana, perché il disegno salvifico di Dio si è compiuto una volta per tutte con la morte redentrice del suo Figlio, Gesù Cristo. Alcuni capi d’Israele accusarono Gesù di agire contro la Legge, contro il tempio di Gerusalemme, e in particolare contro la fede nel Dio unico, perché egli si proclamava Figlio di Dio. Per questo lo consegnarono a Pilato, perché lo condannasse a morte. Gesù non ha abolito la Legge data da Dio a Mosè sul Sinai, ma l’ha portata a compimento dandone l’interpretazione definitiva. E’ il legislatore divino che esegue integralmente questa Legge. Inoltre egli, il Servo fedele, offre con la sua morte espiatrice il solo sacrificio capace di redimere tutte “le colpe commesse dagli uomini sotto la prima Alleanza”. Gesù è stato accusato di ostilità nei confronti del Tempio. Eppure l’Ha venerato come “la dimora di suo Padre” e li ha dettato una parte importante del suo insegnamento. Ma ne ha anche predetto la distruzione, in relazione con la propria morte, e si presentato lui stesso con la dimora definitiva di Dio in mezzo agli uomini. Gesù non ha mai contraddetto la fede in un Dio unico, neppure quando compiva l’opera divina per eccellenza che adempiva le promesse messianiche e lo rivelava uguale a Dio: il perdono dei peccati. La richiesta di Gesù di credere in lui e di convertirsi permette di capire la tragica incomprensione del Sinedrio che ha stimato Gesù meritevole di morte perché bestemmiatore. La passione e la morte di Gesù non possono essere imputate indistintamente né a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli altri Ebrei venuti dopo nel tempo e nello spazio. Ogni singolo peccatore, cioè ogni uomo,è realmente causa e strumento delle sofferenze del Redentore, e più gravemente colpevoli sono coloro, soprattutto se cristiani, che più spesso ricadono nel peccato o si dilettano nei vizi. Per riconciliare con sé tutti gli uomini votati alla morte a causa del peccato, Dio ha preso l’iniziativa amorevole di mandare suo Figlio perché si consegnasse alla morte per i peccatori. Annunciata nell’Antico Testamento, in particolare come sacrificio del Sevo sofferente, la morte di Gesù avvenne “secondo le Scritture”. Tutta la vita di Cristo è libera offerta al Padre per compiere il suo disegno di salvezza. Egli dà “la sua vita in riscatto per molti” e in tal modo riconcilia con Dio tutta l’umanità. La sua sofferenza e la sua morte manifestano come la sua umanità sia lo strumento libero e perfetto dell’Amore divino che vuole la salvezza di tutti gli uomini. Alla luce di quanto sopra detto, Gesù Cristo patì sotto Ponzio Pilato, fu Crocifisso, morì e fu Sepolto, tuttavia, -secondo Silverio Magno-, attraverso un documento pubblicato per i più prova ‘Simpatia’ per Ponzio Pilato ed afferma quanto segue. “Qualcuno dice che l’ignavia, un tempo peccato, addirittura capitale, oggi sia una risorsa contro lo stress e l’eccesso del fare. Ed effettivamente, forse, è così, visto il sempre più diffuso stile di comportamento che attraversa la nostra società profana e che si insinua in ciascuno di noi”. “Di fronte alla mera eventualità di mettere a rischio il proprio orticello, la nostra tranquillità, pur consapevoli, con la ragione o con l’intuito, che dovremmo fare qualcosa, dovremmo agire, ci voltiamo dall’altra parte, facciamo finta di niente. E così -dice ancora Silverio Magno- rifuggiamo l’impegno civile, ci asteniamo dal giudizio che potrebbe infastidire il potente di turno, dalla proposta a fin di bene, o che riteniamo tale. Ci asteniamo dal difendere una posizione, o contrastarne altra, dal venire in soccorso dei più deboli, e rimuginiamo tra noi di quanto sia sbagliato ciò che accade ma, alla fine, concludiamo che tutto sommato non è affar nostro. Così lasciamo che la gestione della cosa pubblica venga lasciata ai mediocri, agli affaristi, o comunque a chi poco da perdere e nulla da offrire”. “Il nuovo modello di comportamento è diventato ‘Il crudele quinto governatore della Giudea’, così definito da Bulgakov alla fine de ‘Il Maestro e Margherita’, dove ne fa un coprotagonista: Ponzio Pilato. Questo oscuro burocrate, che nessuna traccia avrebbe lasciato nella memoria dei posteri, è conosciuto da tutti perché, solo per un attimo della sua esistenza, si è trovato di fronte ad una scelta che per noi tutti nella vita è ricorrente: rischiare la propria tranquillità, la propria sicurezza, anche solo parzialmente, per fare ciò che è meno comodo, meno scontato, ma che si intuisce essere giusto, essere conforme alla verità. E così, per la difesa della propria tranquillità, Ponzio Pilato non evita la condanna a chi intuisce essere innocente, ma non solo, intuisce essere un Uomo di enorme grandezza, e, per i posteri, addirittura divinità. Un Uomo che gli dice in verità, di parlare in verità, concetto che, secondo il Vangelo di San Giovanni, da Ponzio Pilato viene ricacciato, con la beffarda domanda: che cos’è la verità ?’ “Per Bulgakov, Ponzio Pilato e un uomo provato nella morale e, conseguentemente nel fisico, che non sente nessun essere umano affine a sé e si rifugia nell’unico affetto nei confronti del suo cane. La verità è quindi, il suo stato, davanti al quale viene messo con poche parole. Per San Giovanni, invece, non ci fu risposta, perché Ponzio Pilato uscì subito dalla stanza. Ed effettivamente la sua non era una domanda che aspettava risposta, ma solo un modo per ignorare il problema, per non dovere affrontare la Verità”. “Ed allora -continua Silverio Magno- il Governatore ci appare come un esempio fulgido dei nostri tempi, in cui molti di noi, spesso i migliori, assistono al diffondersi nella profanità di comportamenti discutibili, di evidenti violazioni delle regole più elementari, senza nulla fare. Illudendoci che sia affar nostro, che altri dovrebbero intervenire e che prima poi tutto si risolverà.. E dal’altra parte, perché dovremmo mettere a rischio il poco che abbiamo, rischiando di diventare invisi a chi propaga una verità falsa, insostenibile, ma che ha la forza per imporla. E cosa ne guadagneremmo ? Certo non la stima dei nostri astanti che, al contrario, vedrebbero nel nostro comportamento una manifestazione di arroganza, di utopico tentativo di cambiare ciò che, in fin dei conti, a tutti va bene”. “No, i nostri vicini vedrebbero, prima ancora, una implicita condanna alla propria ignavia, cominciando a dire che non è così che bisogna fare, che bisogna aspettare, che le cose si cambiano da di dentro, entrando nelle cerchie giuste mostrando accondiscendenza e non contestandole rumorosamente. Che senso ha contestare quello che è il pacifico stato delle cose, perché spaccare un unanime consenso della mediocrità? Ed allora -dice infine Silverio Magno- molto più comodo seguire il fulgido esempio del nostro Governatore: laviamocene le mani”. Invero, secondo Erasmo da Rotteerdam, “L’uomo non ama il cambiamento, perché cambiare significa guardare in fondo alla propria anima con sincerità mettendo in contesa se stessi e la propria vita. Bisogna essere coraggiosi per farlo, avere grandi ideali. La maggior parte degli uomini preferisce crogiolarsi nella mediocrità e fare del tempo lo stagno della propria esistenza”.



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