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Incontro con San Filippo, il santo dei pellegrini, nel suo viaggio storico, fatto di dati reali, di leggende, di ricordi

San Filippo Apostolo di Aidone. Oggi e ieri, tra storia e leggenda

In questi giorni senza tempo, segnati dagli effetti del coronavirus,  è passata in silenzio la Settimana Santa e la Pasqua in cui il nostro paese è colorato dai pennelli della primavera, dai vestiti a festa delle ragazze, dalle fasce dei confratelli e dalle vesti dei santoni; e i vicoli e le piazze sono animati delle loro corse e dalle tante processioni e risuonano delle lamentazioni cantate dai confratelli, dalle marce suonate dalle bande e poi dal festoso scampanìo della notte del Sabato santo e della Giunta, l’incontro tra Gesù risorto e Maria che può abbandonare il nero manto tra i salti festosi degli Apostoli, i Santoni.E già ci mancano i viaggi dei pellegrini che popolano di pedoni la ss 288 e poi negli ultimi giorni di aprile le strade aidonesi, popolate di bancarelle colorate, di forestieri e rumorosissime giostre. Mancano pochi giorni al primo maggio, la festa di San Filippo Apostolo, il santo taumaturgo che da secoli attira in Aidone decine di migliaia di pellegrini che, a piedi e con tutti i mezzi, raggiungono il santuario per impetrare grazie o per sciogliere voti.
I riti e le liturgie della Quaresima, della Settimana Santa, della Pasqua e ora di San Filippo navigano nell’etere, sono seguiti dai fedeli sui piccoli schermi di smartphone, tablet, desktop, schermi tv, mentre il sacerdote da solo li celebra in chiese vuote e silenziose ma piene del desiderio di partecipazione.
Pasqua, la Giunta, i Santoni, San Filippo, tutto è stato, a memoria di aidonese, scontato come il sole che si alza il mattino e tramonta la sera, le fasi della Luna, il fiorire dei mandorli… mai nessuno avrebbe potuto pensare che qualcuno o qualcosa potesse modificarne il corso. Eppure è bastato l’infinitesimo  di un granello di sabbia ad inceppare tutto il meccansismo della vita umana. La natura continua a fare il suo corso ma la vita dell’uomo in tutte le sue manifestazioni è stata congelata, ingabbiata da due mesi dal virus che sta mettendo in ginocchio l’intero pianeta antropizzato.
Ho pensato che nel silenzio delle assenze si possono far rivivere in modo diverso quegli eventi, a cominciare dalla loro storia.
Proviamo ad incontrare San Filippo, il santo dei pellegrini, nel suo viaggio storico, fatto di dati reali, di leggende, di ricordi. Per questo ringrazio Don Carmelo Cosenza per le sue preziose informazioni e per avermi  permesso di usare all’uopo le “note restrospettive” manoscritte di Don Lorenzo Maria Milazzo, il primo Parroco di Santa Maria La Cava, istituita in parrocchia nel 1910 dal vescovo di Piazza Armerina Mons. Mario Sturzo.
Non abbiamo certezze sulla nascita del culto di San Filippo Apostolo in Aidone, il primo documento scritto risale al 1631, esattamente il 10 maggio, quando a Regalbuto, in occasione della visita del Vicario Capitolare, il rev. Francesco D’Amico, viene portato, per esservi benedetto, il prezioso reliquiario d’argento che contiene le reliquie di San Filippo e San Giacomo apostoli e di altri martiri. Circa cinquant’anni prima, nel 1579, la chiesa di Santa Maria Lo Plano, in origine costruita nella periferia occidentale, di molto  staccata dal centro urbano che sorgeva sulla cresta del monte e si dipanava sul costone orientale, era stata dichiarata chiesa parrocchiale coadiutrice della Chiesa Madre di San Lorenzo. Infatti, con l’infoltirsi delle abitazioni nel “piano”, la chiesa si era trovata al centro di un quartiere popoloso, da qui l’esigenza di renderla parrocchiale. È probabile che l’importanza della chiesa deriva anche dal diffondersi del culto di San Filippo a cui, in una chiesa ad aula unica, verrà dedicata una cappella esclusiva.
La cappella settecentesca era decorata con  i magnifici stucchi, conservati nella parte superiore delle pareti e sulla volta,  che sono stati riportati agli antichi splendori con il restauro effettuato nel 2019. Gli stucchi dei bassorilievi della fascia inferiore  risalgono invece agli inizi del 1900, è del 1902 infatti il restauro, si presume l’inaugurazione, della cappella abbassata rispetto al piano della Chiesa.
La statua di San Filippo è stata sottoposta ad un vero restauro nel 2007, dallo studio è risultato che la sua manifattura può essere collocata tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento. È stata pure sfatata la leggenda che voleva che il nero della faccia del Santo fosse dovuto al legno nel quale era stato scolpito, l’ebano. É emerso infatti che il santo è stato volutamente dipinto di nero, forse in analogia con la rappresentazione di santi molto venerati in Sicilia come il san Calogero dell’agrigentino e il vicino San Filippo di Agira con la cui storia ci sono spesso punti di contatto.
A proposito di San Filippo Argirione, è nata la leggenda che vuole che gli aidonesi avessero rubato o sostituito la statua dei vicini piazzesi, ma entrambe le comunità di fedeli temono che il santo voglia tornare nella propria casa! Da qui la tradizione che viene raccontata in Aidone, che per la processione del primo maggio il Santo venisse fatto uscire e rientrare di spalle, perché non vedesse la strada per Piazza Armerina, che fronteggia appunto la chiesa di Santa Maria. Dall’altra parte a Piazza Armerina nel corso della processione di San Filippo di Agira, lu Casaluttari, venerato nella chiesa omonima del “giovane” quartiere  del Casalotto, nella festa che si celebrava la seconda domenica di maggio,  si temeva che san Filippo se ne volesse tornare in Aidone e per dirla con le parole di Girolamo Giusti “ Ed anni ed anni e sèculi passaru/ ma tu ristasti sempri forasteri…E quannu sì, pi la tò festa, juntu ddà davanti a la Cruci di San Petru,/chianti li pedi e resti nni ddu puntu. //Poi ti risolvi e cerchi di scappari/ Daduni è ddà e nun voi turnari ‘ndietru…/L’amuri anticu nun si pò scurdari!
Non vorrrei sembrare troppo blasfema ma mi verrebbe da chiedere: e se gli aidonesi avessero apposta accorciato le gambe del nostro san Filippo per impedirgli di fuggire? Da sempre infatti ci si chiede il perché della sproporzione tra il busto e gli arti inferiori della statua, per tutto il resto ben proporzionata e di pregevole fattura.  E se avessero colorato di nero il bel faccione di patriarca per renderlo irriconoscibile ai vicini piazzesi? Non voglio creare un’altra leggenda. Quello che è certo è che a Piazza Armerina il culto per san Filippo di Aidone è rimasto immutato nei secoli, i piazzesi costituiscono il gruppo più numeroso di pellegrini che a piedi raggiungono il santuario ed avevano un posto privilegiato tra i portatori nella processione del primo maggio.
Un’altra caratteristica che accomuna i due santi è la preghiera perché il santo assicuri un buon raccolto, a Piazza “la vera processione era preceduta dai contadini che promettevano il frumento messo in groppa alle loro bestie da soma per ottenere la grazia di un buon raccolto, della buona salute loro e dei loro collaboratori quadrupedi” (Gaetano Masuzzo. Cronarmerina). In Aidone il “viaggio” del Santo, il cui Fercolo è addobbato anche con tralci di fave fresce e spighe, inizia verso le tredici per permettere di partecipare ai tantissimi pellegrini che nella notte hanno raggiunto il santuario, e probabilmente per lo stesso motivo si dipana in un percorso breve che dalla ripida salita di via Domenico Minolfi lo porta in Piazza Umberto e da qui in la via Garibaldi, via Senatore Cordova e quindi risale dalla via Cavour.  Ma anticamente l’ultima domenica di maggio il santo veniva portato in processione, quella dedicata agli aidonesi, per la classica via dei santi (che attraversa tutto il centro storico), la processione giungeva  fino al piano del Castellaccio perché benedicesse le messi. 
Già in occasione della benedizione del Reliquiario d’argento si parla dell’accoglienza con grandi feste, e San Filippo, il primo maggio, rappresenta una delle feste principali di Aidone, insieme alla Pasqua e san Lorenzo.
La festa erano particolarmente sontuosa fino all’inizio del Novecento, al santo veniva donata tantissima cera nella forma di “ntorce”, di diverse dimensione e variamente addobbate, che i pellegrini portavano in processione, spesso accompagnati dalla banda o dal solo tamburo. E le candele erano le protagoniste della piramide di luce che annunciava l’epifania del Santo la vigilia durante i Vespri. La chiesa veniva illuminata con diverse centinaia di candele, che pendevano dai lampadari a ninfette, per tutta la sua ampiezza. L’altare di allora, di forma piramidale con scaloni di marmo alla base e di legno nella parte alta, ospitava 160 candele, la cui luce veniva aumentata dalla rifrazione provocata da palme di stagno argentate, sapientemente intercalate alle candele, appariva come una piramide di fuoco; da dietro, con un effetto teatrale degno della migliore tradizione del deus ex machina, in un clima di attesa che diventava sempre più delirante, al suono della marcia reale e del grido ripetuto da diverse centinaia di fedeli “Viva Dio e San Filippo”, il santo appariva con la sua faccia nera e il manto dorato, e solo allora si faceva silenzio per celebrare i Vespri.
Nelle note del parroco Milazzo trova conferma anche quella che sembrava una leggenda partorita dalla penna anticlericale di Vincenzo Cordova: il posto dei miracoli. Il poeta aidonese in una delle sue più belle poesie in dialetto galloitalico “Liborij e a festa d’ San Fulip’ scrive “Curriva a bara senza nudd’ stacul’ / Zirà p’ tutt’ u ciangh’ senza scant’/ e pui firmà unna fasgiva i mbracul’ (La bara correva senza nessun ostacolo, fece il giro della piazza senza timore, e poi si fermò laddove il santo faceva i miracoli)”. Don Lorenzo Milazzo, uomo dotto e di fede,  che era stato professore di Teologia morale e Filosofia nel seminario di Patti, deplora questa superstizione del miracolo a comando, che veniva fatta davanti alla scalinata della Chiesa, prima che la bara fosse riportata in chiesa. Le sue parole non sono meno pungenti di quelle del Cordova quando concludono “Questa non è religione, perché la religione non vuole teatralità, perché Dio non fa miracoli né sul palcoscenico, né sulle piazze”! La teatralità era riferita alla piramide di luce e all’apparizione del simulacro di San Filippo.
Tra la leggenda e la realtà: trova riscontro anche un altro racconto sentito migliaia di volte da mia nonna che era nata nel 1900 e che tra i suoi ricordi di infanzia  raccontava di una festa molto più grandiosa rispetto a quella della nostra infanzia negli anni ‘60. La facciata, la piazza, la via Cavour, illuminate artisticamente dalle lampade di acetilene, la piazza circondata di venditori di dolciumi, la musica suonata sul palco montato in piazza, e poi i leggendari palloni di carta colorata rappresentanti strane figure, che, riscaldati con l’aria calda, intraprendevano in loro volo, osservato da migliaia di spettatori con gli occhi all’insù: a volte raggiungevano grandi altezze e sparivano allo sguardo, altre volte invece arrivati ad una certa altezza si incendiavano miseramente.
Ed infine non si può non fare cenno all’altra credenza aidonese di San Filippo, il Santo dei forestieri. Agli occhi degli aidonesi, da sempre tiepidi nelle loro esternazioni religiose -agli occhi dello stesso Milazzo appare manifesto il carattere apatico degli aidonesi affetti da “un senso di indifferentismo” una specie di “ateismo pratico, non assoluto”. Agli occhi degli aidonesi doveva apparire quantomeno incredibile tanta fede che spingeva gente, proveniente da gran parte della provincia ennese e dalla vicina catanese,  ad intraprendere faticosissimi viaggi a piedi  per chiedere una grazia o ringraziare del miracolo ricevuto (un’amica della lontana Gangi mi riferisce che anche da loro quando un’impresa appariva impossibile si diceva “partimu pi San Fulippu”). Si saranno convinti che loro non erano capaci di chiedere con altrettanta tenacia, tale che muovesse il santo in loro favore.
Dopo i restauri strutturali della chiesa di Santa Maria La Cava, portati a termine dallo stesso Parroco Milazzo e la successiva ripresa dell’attività nella chiesa, egli potè apportare tutti quei cambiamenti, a riti e liturgie, che dovevano avviare il popolo ad una religiosità ed una fede più mature; opera continuata qualche decennio dopo dal Parroco Angelo Calcagno che sentì l’esigenza di educare anche i pellegrini, ricordando che stavano entrando nella casa del Signore, che la grazia, il miracolo non va chiesto al santo ma a Dio attraverso la mediazione del santo. Opera di educazione continuata con molto successo da Don Carmelo Cosenza, l’attuale parroco. C’è voluto un secolo! Gli aidonesi hanno imparato a pregare con fede e devozione il loro Santo, hanno voluto imitare i pellegrini forestieri intraprendendo viaggi a piedi da Piazza Armerina o addirittura da Enna e il detto che San Filippo è il santo dei forestieri ormai è confinato tra i ricordi del “si diceva”.
Dopo tanti secoli è immutata nei devoti la fiducia nella sua opera di preghiera presso il trono di Dio. Risale agli anni sessanta del Novecento  un miracolo  di cui un fedele, il signor Giovanni Santuzzo ha voluto rendere testimonianza. Egli si trovò, negli ultimi giorni di aprile del 1961, al centro di una situazione che definirla drammatica sarebbe riduttiva, un figlioletto di due anni colpito probabilmente da meningite sta per perdere l’uso della vista e delle gambe e una moglie incinta di sette mesi che, mentre assiste il figliolo, incorre in un parto prematuro con grave rischio suo e del neonato. In modo inspiegabile anche per i medici che li avevano in cura si salvano entrambi senza danni conseguenti, il signor Santuzzo se ne torna a casa con la famiglia arricchita della nascitura; a fine agosto del 1963 torna in Aidone per sciogliere il voto formulato in quella notte di disperazione all’ospedale Garibaldi di Catania, quando si era rivolto al Santo di cui era fervente devoto: far decorare d’oro il simulacro di San Filippo. Allora il signor Santuzzo non aveva sentito l’esigenza di far certificare in ospedale la guarigione “miracolosa” del figlioletto, ma ne rimase sempre convinto e il 10 luglio 1983  ritornò in Aidone per renderne testimonianza, sottoscrivendo una dichiarazione, oggi agli atti del Santuario.
Con questa testimonianza un altro tassello va al suo posto, ecco spiegata la rarità della colorazione d’oro zecchino, del vestito di San Filippo, che invece è rappresentato con il manto scuro e il vestito rosso nel ritratto della porta settecentesca, che ne custodiva la nicchia, recuperata nell’ultimo restauro del 2019.
Questa bellissima porta ci dice con quale cura venisse protetto il simulacro, la presenza di due serrature prevedeva la presenza contemporanea di due persone che custodivano le chiavi. E un’altra cosa vorrei ricordare a quanti lamentano che questa porta, rimessa nel suo posto naturale, nasconde il Santo dallo sguardo del fedele, prima rivelato dalla porta di vetro. Come ci racconta la tradizione della apparizione del Santo dalla piramide di fuoco questa avveniva solo la sera della vigilia, il santo restava probabilmente esposto solo il giorno della festa. E questo spiegherebbe anche il perché dell’affollamento dei pellegrini nelle due giornate e  non nel corso di tutto l’anno .



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