27 Aprile 2025

Un ricordo di Papa Francesco

Nel giorno dei funerali del Pontefice, si ricordano i suoi gesti più potenti delle parole

di Mario Antonio Filippo Pio Pagaria

Oggi 26 aprile 2025. Siamo qui in piazza San Pietro. Fa il suo ingresso la bara del Pontefice Francesco. Un lungo applauso lo accoglie. Avvertiamo brividi percorrerci la schiena e il pensiero va indietro nel tempo, alla prima volta che lo vedemmo di presenza.

Ricordiamo un’Epifania, quella del 2014, forse, o del 2015. Eravamo in basilica per la sua messa. Non sappiamo perché, ma abituati alla voce tonante di Giovanni Paolo II, ci attendevamo un timbro simile. Sin dal segno di croce iniziale sentimmo una voce , quasi flebile, pacata, dai toni bassi, ma solenne nello stesso tempo. Era la voce di un gigante buono che stava incantando il mondo come lo avevano incantato i suoi quattro predecessori. Non fu una predica lunga; non ricordiamo neppure, dopo tutto questo tempo, di cosa parlò, ma ci piace pensare, e non siamo lontani, ne siamo certi, dalla realtà, che trattò dell’attenzione verso gli ultimi, quindi i migranti; verso coloro che sbarcavano dai famigerati barconi. Quelli di cui qualcuno va delirando: “Prima gli italiani”. Ci piace pensare che parlò di comunione ai divorziati, di attenzione ai detenuti, ai barboni delle stazioni, a quelli che alla nostra mentalità egoista, “fanno un pò senso “ , per la loro sporcizia, per la monetina che chiedono. Un papa che ha parlato di rispetto verso ogni forma di diversità sessuale, di contrarietà alla pedofilia dentro e fuori la Chiesa, di rispetto per la donna. Intanto, fra tutte quelle persone che oggi, mentre è dentro una bara, ne intessono le lodi, molti, con scritti al vetriolo, lo chiamavano sprezzosamente per cognome. Molti di loro, cattolici o sedicenti tali continuano ad insultarlo anche da morto. Oggi Papa Francesco è presente con la sua salma in piazza San Pietro e non si contano i fedeli, anche gli atei, che vanno a rendere omaggio alle sue spoglie mortali. Ha voluto dare un senso alla fine della sua vita semplice e un segno ulteriore della sua vera, della sua severa e non retorica umiltà, facendosi deporre in una cassa di semplice legno, posata sul freddo pavimento. È stato l’uomo che nel suo primo viaggio apostolico ha portato da sè la modesta ventiquattrore. È stato l’uomo che ha tuonato con la sua ultima, metaforica, voce fioca, contro i crimini di guerra in Palestina, chiedendo se a Gaza vi fosse in atto un genocidio. Ha denunciato quanto sta avvenendo nella “martoriata Ucraina”, attirandosi l’ira, per non dire l’odio, dei potenti della Nato ma anche del novello zar. Ha chiesto una Chiesa, ospedale da Campo, e noi lo abbiamo scritto in tanti articoli,  dove abbiamo messo in evidenza che la Chiesa non è solo pedofilia o lusso come qualcuno vorrebbe far credere; no la Chiesa, è soprattutto missionari, sacerdoti, che danno la vita, come don Filippo Mammano , fideidonum della diocesi di Nicosia, molto caro al suo vescovo, mons Giuseppe Schillaci. Padre Mammano ha passato una vita in Tanzania ed è recentemente scomparso per malattia, ma come lui, centinaia in Africa, in Asia, in America Latina e persino nelle traviate realtà delle nostre metropoli. La Chiesa è suore come Lucia Cantalupo, ennese in Brasile, una vita dedicata ai bambini da strada, ma la Chiesa è anche laici vicini alle parrocchie, come Cristina Fazzi, della Mater Ecclesiae di Enna, medico in Zambia, silenziosamente appoggiata dal parroco, padre Angelo Lo Presti, un sacerdote che “fa puzza delle sue pecore”. Si, a queste frasi ci ha abituato il Papa. P Lo Presti e il vescovo mons Rosario Gisana, che sono andati in Africa a trovare e sostenere la Fazzi. A queste persone Papa Francesco, è stato vicino, telefonando, videochiamando quasi quotidianamente, lui il primo, e lo faranno i suoi successori perché Franciscus ha inaugurato una nuova stagione per la Chiesa ed essa è già in pieno corso; è la primavera della Chiesa, e dopo la primavera viene sempre l’estate. E l’estate non sarà più quella dei “Cristiani da salotto” ma di quelli che si rimboccano le mani, chiacchierando poco e agendo, donandosi ai fratelli. Ma questa nuova stagione non è stata iniziata da Papa Francesco, sarebbe riduttivo e miope affermare ciò . Questa stagione è stata e sarà molto lunga ed è partita da Giovanni XXIII, passando per i pontefici che gli sono succeduti. Ciascuno di loro ha messo la propria pietra nel mistico edificio in costruzione. Tutto ha avuto inizio nell’ottobre del 1958 con l’avvento al soglio pontificio di Giovanni XXIII e il suo Concilio Vaticano II nell’ottobre del 1962. È continuato con il teologo Paolo VI, è proseguito con il brevissimo ma promettente pontificato di Giovanni Paolo I. E poi con l’apparente conservatore Giovanni Paolo II, fino al coraggioso Benedetto XVI che con la sua scelta ha fatto la storia. Ben lungi da noi le fantasticherie dei complotti, dei satanisti, degli evocatori dell’anticristo. Essere Chiesa è riconoscere l’azione misteriosa e dogmatica dello Spirito Santo. Essere Chiesa è riconoscere e riconoscersi nella Santissima Eucaristia, senza porsi troppi dubbi, senza arzigogolare in saccenti ragionamenti. Cristo sì è fatto crocifiggere e prima di accettare la follia della croce; non ci ha ragionato sopra; ha soltanto obbedito, chiedendo al Padre, di allontanare quel calice amaro ma rimettendosi nella totalità, alla sua volontà. Questo ha fatto Francesco, che da stasera, riposerà accanto alla sacra effige di Maria, Salus Populi Romani in basilica di Santa Maria Maggiore. Il pontefice era molto devoto alla Madonna e noi sul suo esempio vogliamo pure esserlo. Questo dobbiamo cercare di fare noi, per quanto ci riesca , ad iniziare da chi scrive, molto difficile: obbedire incondizionatamente al Padre.