23 Aprile 2025

Grazie Francesco

Lo Sgomento, il dolore e il Grazie per Papa Francesco

di don Giacinto Magro

Nel raccogliere alcuni pensieri per la dipartita di Papa Francesco, si aggrovigliano vari tipi di emozioni: si osserva come tanti sono i fiumi di parole che scorrono nelle pagine della carta stampata e sul web. Dinanzi a tutto ciò, la prima limpida espressione che nasce non è altro che un sereno e profondo, ma composto, dispiacere, dinanzi alla consapevolezza che sia venuta meno una persona, la quale è stata punto di riferimento per credenti e non credenti. Inoltre, dal profondo nasce il sussurro grande, per intonare un corale “grazie a Dio Padre per avercelo donato”, come Padre e saggio testimone di Gesù, nel suo tratto dolce e soave della tenerezza, come guida della Chiesa pur nella straordinaria normalità di uomo vero. Egli è stato un Papa che ha, non solo con le parole, ma con i gesti e la vita, normalizzato il vicario di Cristo, comunicando tutto ciò che accadeva alla sua persona senza alcun velo di mistero che enfatizzasse la sua figura e la rendesse mistero più del mistero d’amore di colui che egli era chiamato ad annunziare, Cristo Gesù. Più di tutto, egli ha reso il suo magistero immediato, non semplicistico come alcuni avrebbero l’ardire di affermare, lo si coglieva dalle sue brevi ed efficaci parole di peso, come ad esempio: “desidero una Chiesa incidentata che esca per raggiungere le periferie esistenziali”; oppure, nei suoi ripetuti appelli alla pace, descrivendo che in atto c’è una guerra mondiale a pezzi. In altri termini, è stato molto comunicativo, schietto e con lo sguardo fisso su Gesù, di cui si è fatto annunziatore e pellegrino di misericordiosa e speranza per tutti. Lo ricordiamo a Dio per questo suo modo di porsi, anzi possiamo affermare, per questo suo modo di essere, colmi di gratitudine per il suo straordinario esempio e dono d’amore che è stato per tutti, per ogni persona e per ogni popolo.

Nel giorno della Pasqua ci ha lasciato il sorriso, dopo aver celebrato e dato la sua benedizione: ‟Urbi et Orbi” per tutto il mondo. Il lunedì dell’Angelo, con sorpresa nella normalità della vita,  si è trasferito presso il Padre, così com’era stato detto alle donne: “chi cercate, non è qui,  Egli è vivo”, mi piace pensare che probabilmente ancora sorride da lì, dalla stanza del Padre. Papa Francesco aveva sempre il sorriso sul volto, proprio con quel suo sorriso è stato il profeta e l’araldo dell’evangelizzazione, dal quale abbiamo appreso il Vangelo della gioia, dal quale abbiamo imparato ad immergere la vita del quotidiano all’interno del mistero d’amore di Dio, consapevoli che la fatica della vita è il soave e leggero giogo col quale camminare per raggiungere la meta. Nella vita ‟estamosˮ stiamo in cammino, diceva Papa Bergoglio.

In realtà, noi credenti diventiamo ciò verso cui andiamo, siamo chiamati a divenire il Cristo verso il quale camminiamo. Proprio per questo, egli ha ripreso a dire alla Chiesa che Ella è pellegrina, per cui è chiamata ad uscire, ma allo stesso tempo Ella è Chiesa, Corpo di Cristo. Pertanto, è chiamata nell’amore a rimanere in Lui nel ‟Noiˮ ecclesiale. In questo senso, il Papa ha rilanciato in tante occasioni la spiritualità relazionale che ci fa Corpo di Cristo, la quale si nutre della preghiera come ascolto della Parola e, non a caso, ha istituito la festa ‟Verbum Dominiˮ, riscoprendo nella pratica del discernimento la vita interiore, che cresce e si sviluppa con la vita spirituale, la quale ha una dimensione introspettiva dentro e fuori di noi. In altre parole, la vita spirituale ha due movimenti verticali e due orizzontali. Nei movimenti verticali troviamo la preghiera, come direzione verso l’alto e verso il proprio intimo, proprio perché Dio è più intimo di noi stessi; mentre, nei movimenti orizzontali, vi è una direzione verso il fuori di noi e verso l’accoglienza dell’altro, che viene verso di noi. La vita interiore, non solo sarà rintracciare dentro di noi, il Re dei Re che abita il castello interiore, piuttosto nel dilatare l’interiorità – come affermava Papa Francesco – ma sarà anche costruire il castello esteriore, la comunità che incida sul mondo. Quindi, il risvolto sociale del Papa è stato non una semplice attenzione ai poveri o al sociale in chiave antropologica, ma una conseguenza propria che scaturisce dal suo riferimento Cristocentrico, con tutte le sue conseguenze. L’espressione «allargare l’interiorità» è pregnante e provocatoria, ed egli chiama l’interiorità come luogo in cui il cuore e la mente s’immergono in Dio: ma questa va dilatata per appunto allargarne i confini e dischiuderne gli orizzonti, fino ad estenderne l’accoglienza dell’altro e di ogni altro.

La relazione intima con Dio è vocata alla dinamica interpersonale e sociale. L’espressione «allargare l’interiorità» – quasi un ossimoro – vuol esprimere una figura ben precisa, ossia quella evangelica, provocata dall’avvento del regno e generata dalla risurrezione di Gesù. Così essa, se da un lato scava dentro, rintraccia al centro del nostro essere Gesù e nel dono della misericordia fa l’esperienza dell’amore smisurato di Dio; dall’altro lato, nell’attenzione dell’altro, diveniamo capaci di una mistica relazione piena, in quanto, fatti nuovi dalla Parola che accogliamo permettendole di scavarci. Allora, per Papa Francesco accogliere con eminente attenzione, non è una azione filantropica, ma è originata dalla vita interiore e diviene un’opera di misericordia sino al sociale. Affermava ancora il Papa: «Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri, con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio»[1]. In questo Papa Francesco ci ha abituati a coniugare pensiero e vita senza vivere la crisi tra il pensiero e la vita perché la vita Cristiana è mistica, non come esercizio di un’interiorità coltivata dall’individuo a sé stante, ma come l’esperienza del ‟noi” generato da Cristo Risorto, nell’incontro con gli altri. Egli, in tutto questo, ha avuto uno sguardo sul mondo e sulla Chiesa: dal punto alto della Uni-Trinità di Dio, e quale contemplativo che era Francesco, ha abitato il mistero d’amore di Dio e adesso, da risorto, vive l’eternità di Dio. Un Dio che tutti – ha continuato a ricordarci, lo ha fatto fin dal primo giorno della sua elezione – accoglie e non esclude nessuno. Egli ci ha insegnato a rimanere sempre in ascolto del grido d’abbandono di Cristo per ogni uomo e ogni popolo. Ha coniugato la scelta dei poveri e la promozione umana, promuovendo da un lato l’economia evangelica, ma dall’altro lato condanna, con coraggio e parresia, il capitalismo. Questi adora la ricchezza con la quale ha saccheggiato, e continua a saccheggiare, la terra e l’intero pianeta impoverendo le risorse e distruggendo la ricchezza di madre terra. Tale modo di procedere porta la conseguenza dell’emarginazione degli ultimi. Egli ci ha insegnato l’antropologia integrale suscitando in noi, deboli peccatori, risposte generose e a volte eroiche; ci ha indicato di fissare lo sguardo su Cristo, perché solo Lui è l’unico bene che ci offre la fratellanza, in Lui siamo in grado di trasformare le strutture sociali, in quanto il Bene comune, possa divenire pienamente fonte di luce e di speranza per l’umanità.

Il filo rosso con il quale ha legato le sue encicliche, dalla Laudato Sì alla Fratelli Tutti, è stato il modello ideale che in Gesù garantisca la giustizia sociale, la giusta redistribuzione delle risorse e la compatibilità con l’ambiente. Non è un titolo specifico ma una linea trasversale rispetto a tutti i temi. In fondo, l’economia di Papa Francesco che emerge dal Vangelo è il carisma di San Francesco (c’è una linea che li unisce, non a caso l’enciclica sociale di Bergoglio si chiama Laudato Sì e l’altra Fratelli Tutti.), sono uniti e riproposti, con la medesima attenzione all’ambiente, alla natura, considerati imprescindibili per lo sviluppo e il benessere umano. Infine, ha aperto, oltre le aspettative, la Chiesa alla sinodalità aprendo la stessa Chiesa al dialogo ad intra e a extra. Papa Francesco lo pensiamo così, genuino discepolo di Gesù, amante della vita e della vita in Lui, il Vivente. Egli, con sorriso e gioia, ha dato voce a chi non ha voce, ci ha sempre invitato a vivere come discepoli la vita in pienezza, facendoci annunciatori della misericordia e divenendo uomini di tenerezza gli uni gli altri. Soprattutto ora, che ci ha fatto l’ultimo regalo nelle parole annunciate domenica urbi et orbi: «Anche noi siamo chiamati alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte». Così lo immagino: sorridente, nei suoi ultimi passi antelucani, mentre si accinge all’incontro faccia a faccia con il Signore della Vita.

‟Miserando atque eligendoˮ: il motto episcopale che egli ha voluto, l’ha vissuto in pienezza, guardò con misericordia tutti. A fargli compagnia e a lenire i pensieri del vespero, mi piace immaginare, pure i ricordi delle tante periferie visitate in questi dodici anni, che hanno segnato un’epoca per la Chiesa e per il mondo. E’ il calore delle migliaia di mani strette, degli sguardi incrociati, lui che proprio con il sorriso e la sua umanità disarmante ci ha insegnato – semplicemente – come la gioia non stia nelle cose, ma nella prossimità con l’altro.

Incontrare e farsi incontrare, è stato lo stile di Papa Francesco. Ha suggellato con questo suo stile un intero pontificato fino all’ultimo, mostrando il suo corpo fragile e senza voce a San Pietro, per incontrare e farsi incontrare; pensava forse ai bambini e ai disegni, recapitati da ogni dove, nelle ultime notti. Pensava ai malati e ai fragili come lui. E soffriva ancora, lo sappiamo, per lo strazio e la vergogna della guerra in Ucraina, in Medio Oriente, nel Kivu, in Myanmar, in Sudan… Francesco era credibile proprio per questo suo sentire il dolore profondo del mondo. Lo era anche dai più lontani e in particolar modo dagli umili. La sua autorevolezza irrorata dallo Spirito ha conquistato la fiducia di moltitudini, grazie a un dialogo ispirato da quella ‟reverenciaˮ – il rispetto – che Sant’Ignazio colloca al centro della sua spiritualità e che il Papa gesuita ha fatto propria nel rapporto con ogni persona. Non solo: l’ha posta a fondamento del suo personale dialogo con credenti e non credenti, fedeli di altre religioni, a partire dall’Islam, con gli atei, gli indifferenti. Incontrare e farsi incontrare, attitudine spirituale, prima che diplomatica e pastorale. Egli ha detto al mondo che la vita del discepolo di Gesù è un incontro, in una triplice dimensione con Dio, con sé stessi e con ogni altro. Sì, in realtà è l’abbraccio che ci realizza in pienezza e ci fa figli nel Figlio Gesù, misericordia incarnata, che ha abbracciato l’umanità. La vita Cristiana è incontrare senza pregiudizi. E senza mai dimenticare la domanda che ha persino scandalizzato taluni, al punto da farli reagire, con diffidenza preventiva o contrapposizione manifesta, alle aperture e ai gesti di un Papa evangelicamente rivoluzionario: «Chi sono io per giudicare?». È, dunque, nel ricordo del suo sorriso che oggi umanamente ripartiamo. Egli, Mario Jorge-Francesco, l’uomo che la Provvidenza ha posto alla guida della Chiesa in questo tempo complesso e difficile, è stato il discepolo fedele rimasto al suo posto di sentinella, tra gli scartati e gli oppressi. Lo ha fatto, soprattutto, per smascherare la globalizzazione di un’indifferenza che si fa feroce verso i perdenti, i sconfitti.  Questa predilezione verso gli ultimi, Bergoglio l’aveva dichiarata a partire dal nome. L’ha poi ribadita scegliendo le periferie del mondo, da Lampedusa a Rebibbia. È stato Papa e uomo profondamente innamorato del Vangelo e dell’umanità, ci ha detto con la vita e la parola che Dio è anzitutto misericordia. E se tale scelta di cristianesimo in purezza è risultata ‟politicamente” disturbante, lo è stata per l’altezza di vedute che essa implica: siate sempre «liberi e coraggiosi», ci ha detto un giorno, nel denunciare per l’ennesima volta lo scandalo della guerra e il dramma di chi fugge da fame, povertà, morte e cerca un porto sicuro cui approdare alla vita. Sì: Vangelo, pace e poveri; fede e veridicità; Testimonianza vitale, senza essere discepoli vetrina. Il suo pontificato è stato un continuo invito a riscoprire il volto misericordioso di Dio, dentro e fuori la Chiesa. Per questo la sua è stata una ‟diplomazia della misericordia”, poiché al centro di tutto c’è l’organo della vita, il cuore, come ha voluto ribadire nell’ultima enciclica Dilexit nos. È il cuore che lo ha spinto ad amplificare la voce degli emarginati, condotto a difendere la vita tutta, a partire da quella nascente; di conseguenza portato a stigmatizzare la ‟cultura dello scarto” tanto da opporsi quasi in solitudine alla guerra – a ogni guerra, anche a quelle dimenticate – e al commercio sempre più fiorente delle armi, nel silenzio assordante dei commercianti di morte. Ed è infine partendo dal cuore che il Papa argentino ha iniziato a riformare lo stesso Vaticano, consapevole di che cosa conta: avviare processi, non occupare spazi, giacché il vero potere è quello di servire. Il resto sono “chiacchiere”.

Proprio per questo il messaggio che Francesco ha dato alla Chiesa e all’intera famiglia umana, nasce da un’unica sorgente: Gesù Cristo e il suo amore per tutta l’umanità. Francesco ha inaugurato il suo ministero chiedendo di pregare per lui. Ha rinnovato la sua richiesta semplice e profonda in ogni incontro, con i tanti o i pochi, fino ai faticosi giorni ultimi: «Per favore, pregate per me». Una promessa, Francesco, Papa dell’incontro ad altezza uomo, con lo sguardo sempre fisso su Dio fattosi bambino. Continueremo a pregare per te, e tu possa vegliare su di noi.

Non ci resta che dirti: Grazie Francesco.

 

[1] Francesco, Evangelii gaudium n. 272

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