
INTRODUZIONE
IL GIUBILEO HA UN IMPATTO SOCIALE EFFICACE ED IMPORTANTE
E’ La vita di carità di relazione e di convivialità, nella carità, che dà il senso ultimo del tempo di Grazia
Il Giubileo è un tempo di Grazia che può rinnovare ‟l’incontro vivo e personale con il Signore Gesù, nostra speranza”, dice la bolla Spes non Confundit al numero 1 e, oltre il rinnovamento personale, c’è un rinnovamento comunitario e sociale. Il tempo giubilare è sicuramente un tempo la cui portata spirituale ci fa crescere umanamente con le sue pratiche, le quali non sono sacramenti ma sacramentali. Questi ci fanno vivere un momento antropologico e spirituale forte, per vivere interiormente una sorta di μετάνοια-metanoia, cambiamento di mentalità per non sbagliare la meta, l’obbiettivo. Il peccato nel nuovo testamento è detto: sbagliare bersaglio; pertanto, la conversione infatti avviene nel cambiamento della direzione nella vita, affinché il peccato sparisca. Questo è il perdono. Il perdono del peccato non significa cancellare con un colpo di spugna la macchia perché il peccato non è una macchia da lavare, è piuttosto, riorientare la direzione sbagliata della vita. Chi orienta la propria vita nella ricerca del proprio interesse, nell’accumulo dei beni, pensa a sé stesso, per questo Gesù dice: ‟dove è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuoreˮ[1]. Significa che la nostra attenzione e il nostro affetto sono indirizzati verso ciò che riteniamo più importante. Dove investiamo il nostro tempo, la nostra energia e i nostri sentimenti, lì sarà anche la sede del nostro cuore e la meta che intendiamo raggiungere è possedere sempre di più per asservire tutti gli altri, dominare su tutto e su tutti. In altri termini la convivenza col peccato costruisce un percorso disumano che distrugge ogni altro percorso della sua vita, verso sé stessi e verso gli altri, di conseguenza, genera disarmonia sociale e immette squilibrio e disgregazione. Cosa fa Dio che ama la persona, ogni persona, che è sulla strada sbagliata? Lo vuole perdonare e il perdono non è altro che il risultato dell’opera di salvezza del Signore, quell’opera che Lui, il Signore Gesù, misericordia incarnata, ha compiuto e continuamente compie.
Egli, il Cristo crocifisso risorto, che è la via, riaccoglie in sé, facendo verità. Egli che è la Verità sì fa verità dispiegata: mostra la verità di sé amando e ci svela il volto del Padre, ma altresì illumina e fa verità in noi, fragili, accogliendoci e potenziandoci per riorientare la nostra vita verso di Lui e gli altri Lui, per raggiungere la nostra meta e realizzarci. Egli ci fa nuovamente dono della sua vita o, meglio, vivifica la vita che ci ha donato col suo Spirito per riprendere il cammino e stabilirci in Lui. Si tratta di rimettere a fuoco la relazione con Lui via per cambiare la direzione e, quando questo accade, quando il peccato è perdonato cambia la prospettiva, l’approccio con gli altri e con i beni.
Pertanto, tutti gli atti simbolici del Giubileo come il passaggio attraverso le porte sante delle chiese giubilari, i pellegrinaggi, l’accoglienza dell’indulgenza e il sacramento della riconciliazione, sono segni che possono incidere sulla persona e sulle comunità e sul sociale perché converte o, meglio, provocano il cambiamento della relazione e della prospettiva nei riguardi di se stessi, dell’altro e dei beni; questi non appartengono solo all’individuo o a pochi ma alla intera comunità sociale. Pertanto, la dimensione spirituale, è chiaro tocca tutto affinché possa rinnovare sia personalmente e comunitariamente, alla luce del Vangelo di Gesù, le relazioni sociali[2].
Il suo impatto sociale è efficace ed importante. Le radici del Giubileo affondano nell’Antico Testamento, descritto nel libro del Levitico che chiaramente carica di questo risvolto sociale. Il suono del corno di ariete (yobel) ogni ‟sette settimane di anni” dichiarava ‟santo il cinquantesimo”, proclamando ‟la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo, ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia… In quest’anno ognuno tornerà in possesso del suo… Nessuno faccia torto al fratello” (8-17). Questo testo voleva ‟ristabilire la giustizia di Dio in diversi ambiti della vita: nell’uso della terra, nel possesso dei beni, nella relazione con il prossimo, soprattutto nei confronti dei più poveri e di chi era caduto in disgrazia. Il suono del corno ricordava a tutto il popolo che nessuna persona viene al mondo per essere oppressa: siamo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, nati per essere felici secondo la volontà del Signore”. Purtroppo questo aspetto non emerge eppure questa valenza sociale è profonda. Diceva San Girolamo: «Non sono i luoghi santi che salvano, ma le opere sante»[3]. Questa espressione ci pone dentro un interrogativo profondo perché evidenzia perfettamente il cambiamento di mentalità che è necessaria come il primo guadagno del Giubileo. Evidentemente nessuno può pensare che il pellegrinaggio e la celebrazione dell’indulgenza possano essere relegati a una forma di rito magico senza sapere che è la vita di carità di relazione e di convivialità, nella carità, che dà il senso ultimo del tempo di Grazia che rinnova, perdona, purifica e ci pone in Lui come persone autentiche, perché Egli che è la Verità fa verità in noi e fra noi e ci dona la vita nuova della libertà. Evidentemente si deve sottolineare con forza che non esiste per il cristiano un amore senza Fede. Di conseguenza si comprende che la Fede è l’atto libero della consegna, in piena fiducia, al Creatore dal quale si riceve e si è accolti per lasciarsi trasformare e da lì, dal suo rapporto unico, in nuove creature, hanno radice tutte le relazioni, sia con le persone, sia con i fatti della vita e sia con i beni; ovviamente la nuova direzione della vita che diviene carità, stile di vita nuova, orienta e illumina tutto perché il Vangelo non è altro che la manifestazione dello stile di Dio dispiegato in Cristo Gesù. L’amore, a sua volta, non è limitato dalla sola fede, la quale rende evidente la natura dell’amore cristiano come un puro donarsi, senza nulla chiedere in contraccambio, e quindi è altresì tensione, cammino verso l’altro e diviene arte della prossimità.
Il perdono ottenuto, accolto, diviene misericordia ricevuta che va poi riversata sul prossimo, di conseguenza, la prossimità è il frutto vero del giubileo perché rinnova il mondo; è la comunità che nell’amore genera la presenza del Risorto, il quale cooperando Noi con Lui e Lui con Noi e fra Noi, compie il miracolo della vita nuova che rinnova tutto. Non dimentichiamo che il Signore nulla compie senza l’uomo. Come afferma Tertulliano: Dio non salva l’uomo senza l’uomo, sinteticamente detto. In sostanza, l’idea di Tertulliano è che Dio non salva l’uomo se non è l’uomo stesso a scegliere di essere salvato, ovvero se non collabora con la Grazia divina. Non si tratta di una negazione della Grazia, ma di una sottolineatura dell’importanza della risposta umana. La salvezza non è una imposizione divina, ma una collaborazione tra Dio e l’uomo. Quindi, la frase ‟Dio non salva l’uomo senza l’uomoˮ in chiave tertullianea, significa che Dio non salva l’uomo se l’uomo non è attivo nel processo di salvezza, ovvero se non risponde alla Grazia e non sceglie di credere e seguire Dio. Pertanto, anche il mondo non si salva se la comunità non risponde al dono di Grazia e la Grazia agisce, se come dono,viene trafficata, per così dire, nei rapporti interpersonali. La prossimità stimola e compie ciò che Dio può compiere attraverso la mia e la tua umanità. Pertanto, in realtà, la prossimità che è lo stile di Dio fattosi nostro prossimo con l’incarnazione del Figlio, diviene lo stile della vita credente e dell’intera comunità, sino a rinnovare le relazioni sociali.
LO STILE DI GESU’
Un’opportunità per riscoprire la voczione di discepoli.
Guardare ai “rapporti sociali” di Gesù:
Accoglienza
Incoraggiamento
Restaurazione della giustizia e della solidarietà.
Lo stile sinodale: un cammino comune nella condivisione
La speranza nella misericordia di Dio
Come avevamo sottolineato, nel precedente articolo, Gesù si è presentato come Colui che ha portato a compimento l’antico Giubileo, del popolo d’Israele perché è venuto a ‟predicare l’anno di Grazia del Signoreˮ[4]. Pertanto, se al centro del Giubileo vi è l’incontro personale con Gesù, «porta di salvezza» e «nuova speranza» per il mondo, è la relazione con Lui e il Suo stile di vita che illuminano la nostra vita e la direzione. Come scriveva Papa Francesco, questo tempo di Grazia deve essere vissuto come un’opportunità per riscoprire la propria vocazione di discepoli: non si tratta di ‟praticare” il Giubileo, ma di vivere in comunione con Cristo sino alla fraternità. Contempliamo per un momento i rapporti sociali di Gesù, osserviamo qual è la caratteristica del suo vivere e relazionarsi. Egli vive una grande apertura e libertà: Egli è libero di accogliere e di farsi accogliere da tutti, frequenta pubblicani e peccatori, accoglie tanto le prostitute come i maestri della Legge, si lascia mettere in discussione per una donna trovata in fragrante adulterio. Egli accoglie le vite spezzate, sana incoraggia e gli ridà la direzione. Dove Egli passa rompe il filo spinato e le barriere di razza, di religione, di cultura, di sesso.
Egli rivitalizza e ovunque dà origine ad eventi concreti di giustizia e di solidarietà; sempre compie tutto, non per sé stesso, e neanche solamente per le persone in se medesime, ma tutto è ricondotto e compiuto come segno per uno sguardo più ampio, infatti, i così detti miracoli sono segni privilegiati del Regno. La sua azione assume il valore di fermento di trasformazione sociale, nella linea della restaurazione della giustizia e della solidarietà. Egli, per esempio dinnanzi a Zaccheo, compie con un semplice sguardo d’amore una profonda accoglienza che provoca a sua volta l’accoglienza di Zaccheo nella sua casa[5]; tale relazione nel suo risultato finale diviene perdono, visione di una nuova direzione verso sé stesso, verso i poveri che aveva frodato, al punto che nasce in lui il desiderio, badiamo bene dal didentro di sé, di restituire, oltre il dovuto a che da lui era stato frodato[6] e si apre alla generosità piena. Tale evento origina la restaurazione della giustizia e della solidarietà.
La prassi di Gesù ha ispirato il nuovo stile di rapporti sociali nelle comunità cristiane primitive e l’ha segnata nella pratica della solidarietà, della condivisione dei beni e della comunione fraterna universale. Questa prassi sociale di Gesù e delle prime comunità cristiane, ha ispirato molte esperienze di ritorno al Vangelo che trovano nella storia della Chiesa la sua origine. Tanti di questi movimenti di rinnovazione evangelica, spesso sono stati come fiaccole di luce che hanno illuminato le varie epoche ed hanno determinato, anche iniziative di rinnovamento, di trasformazione, e a volte anche di rottura, sociale rivoluzionaria, nella costruzione di una società più fraterna e giusta, più democratica e ugualitaria. Anche oggi è necessario accendere la luce perché questa società ritrovi la sua direzione e il Giubileo diventa così un momento di profonda conversione, un cammino di crescita spirituale, a partire dalla memoria dello stile di vita di Gesù e della prima comunità cristiana[7]. In tal senso una Chiesa sinodale e missionaria che non diviene lievito per il mondo, non porta a maturazione la sua vocazione e rischia di essere una madre sterile e non, come afferma il concilio, luce delle genti. Il Giubileo manifesta il volto missionario della Chiesa: Essa è chiamata a uscire da sé per annunciare sempre, ovunque e a tutti la speranza che è Cristo stesso, ma questo lo compie se accende il movimento di passi nuovi nella direzione della fraternità. Papa Francesco invitava a vivere il Giubileo in forma comunitaria e sinodale, superando individualismi e autoreferenzialità. Tutto ciò l’ha ribadito Papa Leone XIV in occasione della Pentecoste scorsa dicendo: ‟Il Paraclito apre le frontiere”, “dentro di noi”, ‟nelle nostre relazioni” e ‟tra i popoli”, sfida l’individualismo, trasforma ‟la volontà di dominare sull’altro”, atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi femminicidi, infrange i muri dell’indifferenza e ci apre alla fratellanza.
La dimensione sinodale richiama l’importanza del cammino comune, della condivisione e del discernimento nella vita ecclesiale, la quale per sua natura è chiamata a traboccare di Grazia sino a rinnovare le strutture sociali. A questo proposito va ricordato il passo della bolla giubilare in cui si fa riferimento ai 1700 anni dal Concilio di Nicea. In essa è sottolineato come la professione di fede non sia un atto individuale, ma comunitario: non “io credo”, ma «noi crediamo». Per vivere al meglio il Giubileo, è fondamentale riprendere questa espressione e far sì che l’Anno Santo diventi un evento vissuto nella comunione della Chiesa, in cui ogni fedele si senta parte di un corpo più grande, chiamato a testimoniare la fede e la speranza cristiana. L’esperienza visibile che abbiamo colto nel pontificato di Papa Francesco e che oggi, in continuità con lui stiamo imparando a vedere, e già intravediamo in Papa Leone XIV, dice a chiare lettere, coi gesti e le parole, che l’esperienza credente ha oggi incalcolabili conseguenze sotto il profilo personale, sociale, e addirittura globale: i discepoli di Gesù sono chiamati a diventare ciò che sono, perché il perdono non è soltanto da accogliere e ricevere, ma da donare perché diventi lievito e sale della speranza per il mondo.
I discepoli di Gesù, infatti, poggiano la loro speranza su di un fondamento, che non può essere distrutto: la misericordia di Dio che ha raggiunto il mondo intero in Gesù. Per questo, il loro impegno per la giustizia è chiamato a costruire un futuro realistico che vale per tutti e non può essere smentito da nessuna sconfitta. Dunque, come afferma il salmo 85/84, che è una preghiera di fiducia e speranza in Dio, e bisogna notare che l’affascinante espressione ‟Giustizia e pace si baceranno”[8], nasce dell’esperienza umana del perdono, tanto necessaria al cuore dell’uomo e fondamentale nella storia di salvezza, per dare un futuro al popolo, anzi direi ai popoli. Il salmo sottolinea l’importanza del perdono e della riconciliazione, come pure il desiderio di Dio di portare la sua gloria e il suo bene sulla terra.
La riconciliazione con Dio è compresa come una realtà totalizzante, che abbraccia, non solo una storia di relazioni ferite, ma si riflette anche, sulla terra stessa che ritorna a dare frutti buoni[9]. Da questa rivelazione del vivificante perdono divino. si realizzano le condizioni affinché la terra degli uomini possa produrre i frutti dell’amore e della verità, della giustizia e della pace. Sono questi dei valori che caratterizzano in profondità l’essere umano, che possiamo dire è costitutivamente chiamato a realizzarli nella propria esistenza personale e comunitaria. Inoltre va detto che la speranza, la misericordia, la giustizia, la verità e pace sono valori e realtà correlati proprio perché l’uno non si può dare senza l’altro. Oggi il mondo, ciascuno di noi, la società in cui viviamo, il villaggio globale di cui siamo cittadini, hanno bisogno proprio di questo: di speranza, di perdono reciproco, di giustizia, di verità e di Pace – di una speranza che attinge alla fonte della misericordia e lavora realisticamente per la giustizia.
APRIAMO LA CHIASISTICA RELAZIONE DI QUESTI VALORI
La Speranza non è semplicemente una virtù, essa è impersonata da Cristo Gesù. Per San Paolo nella lettera agli Efesini, la speranza non è una attitudine, ma è la persona di Cristo di fronte e accanto a noi, con la quale intrattenere un reale rapporto personale, fino a configurarci a Lui, a fare nostre i suoi pensieri e i suoi gesti a riviverne «i sentimenti», ossia la phronesis secondo Fil 2,5, la stessa intelligenza delle cose, la medesima visione della realtà, lo stesso discernimento prudenziale. Per questa sua densità cristologica, la speranza emerge rispetto a noi, anche se è un tutt’uno con noi. Non solamente è nutrita da noi, soggettivamente: di più da chi è ottimista, di meno da chi è pessimista. La speranza cristiana è, piuttosto, oggettivamente l’orizzonte nuovo, in cui veniamo coinvolti, il luogo teologico dove possiamo attingere la salvezza, essendo la speranza stessa, proprio quella persona che non rifila delusioni e non traffica illecitamente illusioni, la cui risurrezione ci guarisce dalla disperazione e dall’impressione d’aver fallito nell’accettare d’essere suoi discepoli. Accadde ai due di Emmaus, che da dimissionari si convertirono in missionari, in annunciatori della lieta notizia, riprendendo la direzione verso la comunità che avevano abbandonato, ritornando indietro e andando a riferire ai loro amici, nascosti nel Cenacolo, di aver incontrato il Risorto, e di averlo riconosciuto allo spezzare del pane, cioè davvero visto e riconosciuto nell’atto del suo donarsi[10]. Oggi c’è bisogno di uomini e donne che con occhi di speranza sappiano, guardano il mondo con gli occhi del Cristo, che può guardare il mondo nel suo torpore l’inonda di luce. Si tratta di vedere il mondo dall’alto dà lì, dal seno del Padre, come Maria che nel Magnificat dice :‟ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote; ha soccorso Israele, suo servo; ha rovesciato i potenti dal trono e ha innalzato gli umiliˮ.[11] Egli, Dio rimane Colui che guarda la realtà in una maniera diversa, perché le sue vie non sono le nostre vie, e i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Purtroppo, c’è un atteggiamento dell’esistere umano che oggi difetta, perché non si hanno occhi di speranza. Basta che guardiamo a fondo, con occhio lucido e amico, nel cuore dell’uomo e della donna di oggi, degli adulti, degli anziani, ma soprattutto dei giovani e nel loro profondo, scorgeremo che c’è sete e attesa di vita e di senso. Basta che guardiamo agli ideali e ai progetti che reggono le proposte e i sentieri di vita e d’impegno del nostro mondo, per renderci conto che c’è un bisogno di vita che non si riesce ad intercettare e a scorgere l’orientamento, verso dove orientare i nostri passi. Sembra che ci sia un vuoto spaventoso.
La bussola della vita pare si sia inceppata e ciò nasce, il più delle volte, dal rimorso di non fare abbastanza, ricoperto di fronzoli o maschere: ma che di tanto in tanto esplode virulento e che tutti ci colpisce per la desolante indifferenza o per la tragica disperazione che mette allo scoperto. Questo vuoto ha un volto: è assenza di speranza. E come se anche essa, l’ultima a morire tra le risorse dell’umano, avesse fatto naufragio. Non c’è speranza, troppo spesso, tra i giovani chiamati ad affrontare con rischio e creatività la vita che si spalanca davanti a loro. Non c’è speranza, troppo spesso, nel combattere le tante ingiustizie che, vicine o lontane, come un cancro devastano la vita delle persone, degli ambienti sociali, dei popoli.
Oggi si registra a guardare solo con gli occhi dell’umano che non c’è speranza, troppo spesso, per il futuro del mondo: nella possibilità, cioè, di trasformare la società sanando le piaghe che la infettano, nella volontà di gettare ponti di riconciliazione e d’incontro tra le civiltà, nell’impegno a salvaguardare i popoli e la casa comune nella quale viviamo. Sì, ci appare drammatico il vuoto di speranza che, come un buco nero, divora le nostre esistenze, proprio oggi, che le risorse della tecnologia paiono ormai ad avere potere in tutto. Ma difettano di respiro vitale, di orientamento, di meta – di speranza, appunto – è necessario ripartire dal dono di Lui, dalla Speranza vera e piena, che si fa dono e ci spinge ad essere dono appunto: per-dono.
A partire da Emmaus la speranza risulta affidabile, così come lo è il Dio protagonista della storia della salvezza, la quale si va svolgendo, secondo il racconto biblico, assecondando una dialettica di reciproca sovreccedenza tra promessa e compimento: ogni promessa di Dio è certamente portata a un compimento che, in quanto divino, sovreccede la promessa stessa (Dio prima sposa e poi fidanza o meglio ancora più esplicitamente Dio promette tanto e dona ancor di più); ma essendo non meno divina la promessa, anch’essa sovreccede rispetto al suo compimento, venendo di fatto rilanciata verso un futuro da compiersi, ancor più grande e meraviglioso del già compiuto. Così il già compiuto si dimostra un’anticipazione che s’innesta nella dialettica tra promessa e compimento e tanti, piccoli e meno piccoli, segnali testimoniano la volontà di cambiare rotta, insieme all’indignazione per la miseria, l’ingiustizia e l’oppressione e all’impegno a individuare sino a sollecitare l’impegno comunitario, percorrendo vie praticabili di solidarietà, di fraternità, di accoglienza, di rispetto e promozione dell’uomo. Possiamo dire che la speranza è proprio l’intreccio tra promessa, compimento e anticipazione. Ed è qui, ed è ora, che i discepoli di Gesù, con atteggiamento di umiltà, di condivisione, di apertura verso tutti, sono chiamati a vivere nella ricerca e nella lotta, per la verità e la giustizia, è qui e ora che i discepoli di Gesù siano chiamati a giocare una partita decisiva: quella della speranza. La speranza non è ottimismo a poco prezzo, non è velleità alla fine illusoria, non è utopia ideologica; la speranza cristiana è fondata su di un fatto, su di un avvenimento, su di una persona: Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, che ha donato la sua vita per noi. Che cos’è che fa il cristiano… cristiano? che cos’è che sprigiona e plasma da cima a fondo la sua vita nella fede? L’apostolo Paolo lo esprime con chiarezza: «Io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me»[12]. È questo l’avvenimento su cui poggiano l’esistenza del cristiano, la novità e la missione della Chiesa, il futuro del mondo: Gesù ha dato la sua vita per me, per noi, per tutti, per il mondo! Il fondamento della fede cristiana è l’amore di misericordia che Dio, inequivocabilmente e definitivamente, ha mostrato per noi in Gesù crocifisso e risorto.
IL GIUBILEO PUO’ – A PARTIRE DAL PERDONO – RINNOVARE IL SOCIALE
Necessario l’impegno cristiano per la giustizia, che nasce e si alimenta di perdono accolto e donato di misericordia. Un esercizio della misericordia, verso tutti e verso ciascuno, attingendo alla Grazia
Il Giubileo straordinario della misericordia, voluto dal compianto Papa Francesco, e l’attuale giubileo hanno sottolineando il cammino della Speranza; entrambi hanno posto al cuore di tutto la celebrazione il principio vivo di una straordinaria e incisiva visione di Cristo che diviene visione dell’uomo, della società e della storia.
L’uomo nasce dalla misericordia di Dio e spera contro ogni speranza di rinnovare, la sua vita e il mondo cooperando con il Signore. In questa dimensione va colta nell’accadere nella Pasqua di Gesù, che si celebra nel battesimo, che ci investe e ci apre l’intelligenza ad una nuova visione nell’ascolto della Parola, e trasforma nell’eucaristia, è custodito il segreto del suo destino personale e sociale, terreno e definitivo. Ed è custodito il motore della speranza che non si spegne e non delude. È perché mi sono accettato, accolto, sanato e ricreato nuovo, che posso accogliere e vedere anche il mondo e la storia con occhi nuovi. Ogni volta, anche se fosse la prima, o un innumerevole volte, che faccio esperienza della misericordia di Dio in Gesù, spero contro ogni speranza e proprio per questo che posso guardare avanti con fiducia. Tutto così acquista senso, anche la fatica, la sofferenza, gli ostacoli, le inevitabili sconfitte che punteggiano il nostro cammino. È come se, affidandoci alla misericordia di Dio, che mi raggiunge in Gesù, noi fossimo messi in contatto, una volta per sempre, con una fonte inesauribile di energia vitale, fresca e corroborante: che è fiducia, amore, fortezza, gioia, perseveranza, pazienza, attesa … Egli è la Speranza e la misericordia che ci rende liberi e ci fa capaci d’accogliere con libertà perché, Egli, Gesù è una fonte… ‟La” fonte inesauribile della speranza!
Egli è la giustizia frutto del perdono, perché ci giustifica e ci fa giusti, nuovi. Senza la speranza non c’è futuro veramente umano. Ma senza la misericordia di Dio in Gesù per noi, non c’è vera speranza. Ed è di qui – da questo indissolubile intreccio di speranza e misericordia – che nasce e si alimenta l’inderogabile e responsabile impegno dei discepoli di Gesù per la giustizia: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù»[13].
Come discepoli di Gesù siamo oggi chiamati a risvegliare in noi questa coscienza: la nostra speranza è sterile, vuota, in definitiva non è speranza, se non produce fatti e non cambia la vita.
La speranza della vita che ha il sapore di ciò che più non muore, quella speranza che risplende nella vittoria di Gesù risorto sul peccato e sulla morte, è un lievito che fermenta la pasta della storia, nel segno della giustizia, della pace e della fraternità. Costi quel che costi. Anche la vita. I martiri cristiani sono martiri della speranza – e perciò della giustizia. Ma l’impegno cristiano per la giustizia, che nasce e si alimenta di perdono accolto e donato di misericordia, verso tutti, di uno stile inconfondibile: è esercizio della misericordia, ministero – vorrei dire – della misericordia, verso i fratelli e le sorelle, verso tutti e verso ciascuno, attingendo alla Grazia, perché senza la Grazia da noi non ne saremmo capaci. «Siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre vostro»[14] è Lui il misericordioso, anche Gesù – in quando uomo- attinse a Lui: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»[15]. È qui compendiato il vangelo di Gesù, lo stile della presenza e dell’azione dei suoi discepoli nella storia, uomo accanto a uomo, nella costruzione di un mondo nuovo. Consapevoli, certo, dei limiti umani e della provvisorietà terrena, di quest’impegno e dei frutti che ne vengono: ma nella speranza certa di ‟cieli nuovi e della terra nuova” che già sono realtà in Gesù risorto e in Maria con Lui. assunta nel seno del Padre, trasfigurati dalla luce, senza tramonto dello Spirito che è Amore. Se osserviamo attentamente la centralità, nella preghiera che Gesù ci ha donato – il Padre nostro –, ci si accorge di una delle richieste che fa da cerniera tra ciò che si chiede a Dio, in rapporto a Dio che è Padre, e ciò che si chiede a Dio, in rapporto agli altri che sono fratelli: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». «Rimetti a noi i nostri debiti». Il perdono è per lo spirito, ciò che il pane è per il corpo. Senza misericordia che perdona lo spirito non vive, è morto, pur sembrando vivo. Il perdono nel suo ultimo principio è per-dono: e cioè gratuità di Dio corrisposta dalla gratitudine dell’uomo.
È questo il primo, l’insolvibile debito che abbiamo contratto con Dio, dal momento in cui ci ha pensati, voluti, creati, redenti – per amore. Ma ciò che ci suggerisce con forza semplice e realistica Gesù, è di chiedere a Dio perdono per i debiti contratti via via che la nostra esistenza si squaderna nel tempo. Occasioni perdute, Grazie non corrisposte e rifiuti, chiusura, cattiverie, ostinazioni…
Poter guardare Dio negli occhi, ogni giorno di nuovo, come fosse la prima volta, è riconoscersi davanti a Lui per ciò che siamo, fragili peccatori come il pubblicano salito al tempio. E mai accampare inesistenti meriti come il fariseo[16]. Riconoscere che «tutto è Grazia» (come scrive Bernanos) e che il Padre è «ricco di misericordia»[17]. Senza quietismi, flagellazioni o piagnistei. Con realismo. Con umiltà. Allora, lo sguardo di Dio ci fa rinascere nuovi e immacolati. «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Ecco uno degli sconvolgenti ‟come” di Gesù! Egli l’aveva già detto poco prima: «come in Cielo così in terra».
Il ‟come” è il legame vero, l’unico, tra cielo e terra. La vita del cielo ha da trasferirsi in terra. La quale, terra ha da restare: non solo nel tempo presente, ma anche in quello definitivo che ancora ha da venire. Non si parlerà anche allora di ‟cieli nuovi e terra nuova”? “Come”: la stessa legge di vita che vive in Cielo – la santificazione del nome di Dio che è Padre da parte del Figlio, quel soffio infinito di reciproco amore che è lo Spirito Santo – ha da vivere in terra nei nostri rapporti. Questa è la volontà del Padre. Dio rimette a noi i nostri debiti ‟come”: e cioè se e in quanto noi, attingendo alla Grazia del suo amore li rimettiamo ai nostri debitori. Ma noi siamo capaci di perdonare, solo se prima ci perdoniamo diveniamo capaci d’accogliere il perdonati da Dio. Colpisce che Gesù inviti a chiedere proprio questo al Padre. In fondo, è l’unica richiesta del Padre nostro che riguardi esplicitamente i rapporti interpersonali. Gesù non ci invita a chiedere d’esser capaci di amare, accogliere, servire: ma di … perdonare. Perché la gratuità del perdono è l’unica che, riaccende la relazione spezzata dal male, fa rinascere l’altro – nel tuo cuore e nel suo cuore. È stato detto: se amare è come generare un figlio, perdonare è come risuscitare un morto. La misericordia è l’immagine più alta e più vera di Dio. Ed è per noi la possibilità donata e trafficata, in Gesù, di far nascere e crescere rapporti veri e giusti tra gli uomini. Non solo tra i singoli, ma tra i popoli e le nazioni. La capacità di essere tenerezza, misericordiosi nascono dalla capacità – ricevuta come grazia – di guardare agli altri come ad essi li guarda Dio. È questo sguardo amorevole li vede giusti con misericordia che poi è la radice della speranza che costruisce nel mondo la giustizia.
CONCLUSIONE
L’impegno sociale del cristiano trova il suo fondamento nel fatto che Dio in Gesù Cristo si è fatto uomo. Dunque, non si deve fuggire la storia, la promozione della dignità della persona umana, l’impegno per la giustizia, per la pace, per la salvaguardia del creato.
L’IMPEGNO DEL CREDENTE TROVA LA SUA RAGIONE NEL MISTERO DELL’INCARNAZIONE
La fede in Cristo afferma che la storia ha raggiunto il suo centro e la sua fase ultima in Cristo crocifisso e risorto. Affermava don Luigi Sturzo: «L’incarnazione del Verbo Divino è il centro della realtà ed esistenza umana, della sua vita e della sua finalità»[18]. E ancora diceva: «Uno si mette nell’amore, e perciò stesso si mette in Dio»[19]. Lo Spirito Santo, infatti, agisce nell’intimo del credente come forza d’amore. Egli permette alle persone umane di vincere la chiusura in sé e di aprirsi al dono di Dio, ricevendosi da Dio e diventando un uomo ‟per-l’altroˮ. La persona si realizza nel dono di sé e questo può avvenire perché Cristo l’ha liberata dall’accentramento su di sé. Il cristiano, ribadivano sia don L. Sturzo che I. Giordani, non può esimersi dal vivere questo amore per gli altri, perché la sua carità è partecipazione a quella di Dio. Per l’azione di Dio nella vita dell’uomo, il credente diviene portatore della carità di Dio. E se il principio che muove la carità di Dio per l’uomo è la salvezza dell’uomo, allora la carità del cristiano non può che mirare alla salvezza di ogni uomo e di tutti degli uomini. Tutto il bene che il credente fa alla collettività, per amore di Dio, diventa così partecipazione all’opera salvifica di Dio in Cristo. Per giungere a questo, l’uomo – sottolineava don Sturzo – ha bisogno di lasciarsi «elevare» dalla Grazia redentrice. Proprio perché l’umanità è salvata in Cristo Gesù, Egli è al centro dell’itinerario dell’uomo. «Cristo è venuto, è al centro del cammino degli uomini per il suo Regno, che non è di questo mondo» eppure si va compiendo a partire da questo mondo. La salvezza è una realtà in atto e non da venire. In altri termini, il tempo inaugurato da Gesù è un tempo giubilare e quindi escatologico, qualitativamente nuovo; perciò, è essenziale comprendere che l’orizzonte di significato dell’escatologia non è solo in relazione alla fine, ma al fine ultimo.
Se il fine ultimo dell’uomo e della storia è Dio, tale fine è rivelato dall’evento salvifico di Cristo che si va compiendo e propizia nella vita temporale, l’esperienza della salvezza è il cammino stesso dell’uomo. E tuttavia va conservata una tensione tra il ‟giàˮ e il ‟non ancoraˮ della salvezza. «‟Il regno di Dio è già in mezzo a Voiˮ, assicurò Gesù». La spiritualità non può orientarsi soltanto, con atteggiamento intimistico, alla vita interiore, ma deve pervadere l’uomo integralmente.
Così il cristianesimo non può essere ridotto né a suprema norma etica, né a una vaga elevazione alle cose dello spirito che servano solo a dare afflato mistico alla vita morale dell’uomo, né all’incerta speranza di una vita ultraterrena che lasci immutata la vita temporale. L’impegno sociale del cristiano trova il suo fondamento nel fatto che Dio in Gesù Cristo si è fatto uomo. Dunque, non si deve fuggire la storia, la promozione della dignità della persona umana, l’impegno per la giustizia, per la pace, per la salvaguardia del creato. Nell’Apostolicam Actuositatem è detto che «L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l’instaurazione di tutto l’ordine temporale. Per cui la missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua Grazia agli uomini, ma anche di animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico»[20]. Mentre il mistico I. Giordani rinforza dicendo che «L’Eucaristia, per la quale Cristo, uomo-Dio, si dà a noi, facendosi sostanza del nostro spirito, sangue del nostro corpo, affinché noi ci facciamo Lui. Si mette in comune – nella comunione – la divinità e l’umanità, per fare una comune unione delle due, perpetuando il miracolo dell’uomo-Dio, per il quale l’onnipotenza del Padre è messa a disposizione dei figli, e le distanze sono annientate, e la vita eterna s’inizia nel tempo»[21].
L’impegno del credente trova, pertanto, nel mistero dell’Incarnazione di Gesù Cristo la sua ragione. «L’umanità di Cristo è assunta dalla divinità, la natura dell’uomo è elevata dalla Grazia». Questo interscambio d’amore non deve esserci solo tra Dio e l’uomo, ma anche in seno alla società degli uomini. «Il nostro tempo esige più che mai dai credenti, che ravvivano la carità, sia nella relazione interpersonale, al punto che la società può trarne quei salutari benefici, che solo sono da attendersi dal ritorno di essa, alla legge d’amore che Gesù Cristo ha lasciato dall’alto della Croce, in eredità al mondo. È pertanto di fronte al riaccendersi e all’esacerbarsi dei nazionalismi, al maturare della lotta di classe, e allo svilupparsi delle teorie di razza, di scontri di popoli è necessario, ancora oggi più che mai, che riviva la necessità di meglio approfondire il problema della conci-liazione dell’amore del gruppo sociale, con l’amore del prossimo, quale insegnamento e comandato da Gesù Cristo». Risulta chiaro, dalle parole di Sturzo, che l’unica via dove gli uomini si incontrano e raggiungono il loro fine è l’amore, perché unica è la vita – quella dell’amore – dove l’uomo si realizza in pienezza. Il compimento dell’uomo è già presente ed è, anticipato nel presente, l’evento salvifico di Gesù Cristo che ha riversato l’amore sull’umanità. É in questa luce che l’annuncio del Vangelo può aprire la ricerca a un cammino, che non si stanca di sperimentare il dono di una liberazione, capace di costruire una socialità nuova, come manifestazione dell’amore agapico: «L’amore dunque, e più precisamente l’amore reciproco, evento dell’Amore trinitario fra gli uomini, è il luogo in cui, secondo la Gaudium et Spes, Dio e l’uomo, la persona e la comunità, la storia e l’éschaton s’incontrano, facendo irrompere escatologicamente il Regno nel mondo e facendo penetrare storicamente il mondo nelle profondità del Regno»[22]. A tal proposito è formidabile la testimonianza di fede di Floribert Bwana Chui, del Congo, prossimo beato il quale, inquanto funzionario della dogana alla frontiera con il Ruanda, ha agito da credente e con amore. L’amore per i poveri e la protezione dei più piccoli lo videro protagonista nel costruire un mondo nuovo rifiutandosi di far passare, in cambio di soldi, carichi di cibo avariato, che avrebbero messo a rischio la vita dei più poveri. Per questo, nel luglio del 2007, venne torturato e ucciso a soli ventisei anni. Il suo martirio ‟in odio alla fede” è stato riconosciuto nel novembre scorso da Papa Francesco aprendo la strada alla beatificazione, in quanto legato alla corruzione e al culto del denaro ad ogni costo, che inquina il futuro e le speranze dell’Africa. Essere resistito con resilienza al tentativo di corruzione, per costruire pace e giustizia, ce lo indica, come esempio di libertà, dalla dittatura del denaro che schiavizza e soggioga l’altro.
[1] Mt., 6,21.
[2] Francesco, Evangelii Guadium, n 178 afferma: Confessare un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano implica scoprire che «con ciò stesso gli conferisce una dignità infinita». Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio. Confessare che Gesù ha dato il suo sangue per noi ci impedisce di conservare il minimo dubbio circa l’amore senza limiti che nobilita ogni essere umano. La sua redenzione ha un significato sociale perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini»
[3] Girolamo, Cit. in: Fisichella R., Il giubileo della Speranza, San Paolo Roma, 2024, p. 191.
[4] Cf., Lc 4,16-21
[5] Cf., Lc.3, 19, 8
[6] Cf., Lc. 19,8. «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
[7] Cf., Foralosso S. M., Il messaggio sociale della Bibbia, Marcianum, Venezia 2024, pp. 106 -110
[8] Sal 85,11b.
[9] Cf. S. Mowinckel, The Psalm in Israel’ Worship, Londra, 1962; M. Dahood, Psalms, New York, 1966; E. Beaucamp, Le psautier, Paris, 1979.
[10] Cf. Lc 24,35
[11] Lc.
[12] Gal 2, 20.
[13] Mt 6,33.
[14] Lc., 6,36.
[15] Lc., 23,34.
[16] Cf. Lc., 18,10-14.
[17] Ef., 2,4.
[18] Sturzo L., La vera vita. Sociologia del Soprannaturale, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1947, Zanichelli, Bologna, 19602 p. 26.
[19] Ib., 294.
[20] Apostolicam Actuositatem n 5.
[21] Giordani I., Il fratello, Città Nuova, Roma 20114 p. 98.
[22] Coda P. Il concilio della misericordia, Città Nuova, Roma, 2015, p. 230.