3 Maggio 2025

La gioia della speranza viva con le parole di san Pietro, apostolo. “in attesa del successore di Pietro”

Riflessioni sulla prima lettera di Pietro,

di don Salvatore Chiolo

Ad una settimana dai funerali di Papa Francesco, leggiamo insieme i pensieri di una lettera tanto antica, quanto attuale e profonda e che secondo le sue primissime parole, coloro che fanno parte della comunità sono: «scelti … mediante lo Spirito … per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi dal suo sangue» (1Pt 1,1-2), cioè uomini e donne che hanno attraversato molte sofferenze e, perciò, hanno calcato le orme di Gesù stesso, divenendo cristiani in tutto e per tutto.

Questa caratterizzazione impone una rilettura di fede sì, ma secondo una nuova logica, una nuova grammatica con cui immergere lo sguardo luminoso della vita di Gesù risorto nella storia “oscura” a motivo della sofferenza e delle ingiustizie che ne sono la causa. È così che la visione delle prime comunità cristiane, con a capo Pietro, ha istruito la civiltà del vangelo. È così che le poche persone che inizialmente hanno creduto alla predicazione di Pietro a Gerusalemme, ritornando a casa, hanno costituito gruppi di condivisione della vita senza avere la pretesa di cambiare il mondo. Quella vita tanto simile a quella di Gesù e del vangelo, cioè dei racconti consegnati alle persone dagli apostoli, in quanto testimoni oculari di tutto, che è diventata copia vivente del vangelo stesso, per cui coloro i quali ne hanno sentito parlare hanno potuto conoscere sia i testimoni diretti che Gesù stesso del quale raccontavano.

Con le molteplici “apologie” e le altrettante molteplici critiche all’operato di Papa Francesco, il frastuono mediatico dei teologi “sapientoni” di turno ha distratto la gente favorendo soltanto la dispersione, invece che la sintesi. Nel corso di questi giorni, però, è importante accompagnare il momento storico che si vive attraverso uno sguardo luminoso, senza con questo voler cassare il pensiero: soltanto, però, dargli il tempo che gli occorre a diventare “verbo”, cioè linguaggio e narrazione in continuità con il vangelo del Signore. Importante, ma anche semplice e naturale, dato che questo momento è animato innanzitutto dalla speranza che, come dice la lettera stessa è: «viva … non si corrompe … non si macchia … non marcisce» (1Pietro 1,3), può dare luce, invece che gettare ombre: illuminare invece che oscurare. Sì, perché il cristiano non è un manichino di Dio, uno che indossa la vita eterna come se si trattasse di occupare un posto nelle vetrine di un centro commerciale; e non può pretendere lo sguardo degli uomini su di sé o sui vestiti con cui sfila quando si riunisce durante le celebrazioni liturgiche, dal momento che ciò che brilla nella sua vita è ben altro, cioè «speranza viva» e sicuramente non ha a che fare con le filigrane dorate sopra la seta e con le giacche di tessuti importanti sopra i gemelli ai polsi. Diversamente, non sarebbero più adatte le parole di chi ha scritto che: «i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine» (Gc 5,3), Il successore di Pietro è un cristiano; non è soltanto uno che occupa un ruolo, ha delle responsabilità e possiede le “chiavi” della Chiesa per divertirsi a chiudere e ad aprire. È una persona che suscita negli altri ciò che possiede, la «speranza viva». Troppo ci si è ormai abituati a confondere la dignità di una persona con ciò che si vede di lui! E questo non ha soltanto snaturato il cristianesimo; ma ha reso disumano ogni approccio agli altri, azzerando ogni proporzione e filtrando la realtà a piacimento: ora più liberale ora più progressista, ora più conservatrice ora più innovativa.

La profonda intuizione della prima lettera di Pietro, fin dal suo esordio, è uno specchio che a sua volta recupera la brillantezza di ciò che è in grado di respirare, muoversi e collocarsi sia dentro che fuori alla storia personale di ciascuno: una realtà fatta persona, che è chiamata anche “vangelo”, nel senso di racconto ma, soprattutto, nel senso di annunciatore mite e coraggioso, angelo dell’unico messaggio vero: l’amore di Dio. «Come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo.E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri» (1Pt 1,15-17). L’esigenza di brillare è sposata da Dio, certamente, tant’è che Egli stesso ha voluto rendere “eterna” la vita dell’uomo  soggetto ad agitazione e, volentieri, anche a compulsione in certi suoi gesti. Essa, in quanto fatta di natura e di umanità è appartenuta a Gesù e da questi ha ottenuto ascolto e orientamento: le due matrici che fanno un impianto educativo. Per questo, la natura delle comunità cristiane non risulterà mai vecchia o fuori dal tempo: perché realtà che educa, accogliendo ed orientando, le esistenze verso un valore, verso una caratura, cioè verso l’amore, quello che è proprio del vissuto e che non non si può quantificare secondo i criteri commerciali vigenti né prima, né ora. «Per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna», chiude il primo capitolo della prima lettera di san Pietro affondando con «intensamente, di vero cuore» laddove si potrebbe passare oltre, perché assuefatti dai sentimenti e dalle emozioni facili (1Pietro 1,22-23).  Allora come oggi, si vive spesso da «stranieri», da distratti perché concentrati su altro, rispetto al fratello, alla sorella e alla comunità. Allora come oggi, in quel tempo come in questo, l’unica narrazione che ci tiene incollati con le orecchie e con lo sguardo al narratore è senza costruzioni, stratagemmi e, soprattutto, finzioni, bugie, trucchi, inganni; perché fatta «intensamente, di vero cuore», da cristiani con «speranza viva». Quella di cui ha bisogno il mondo. Allora come oggi.

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