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“A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?” Sono le parole di San Giacomo, nell’omonima lettera del Nuovo Testamento. E il Vescovo di Piazza Armerina monsignor Rosario Gisana, sicuramente, da esperto biblista, qual’è, ci piace pensare, si sarà ispirato, anche all’anzidetta lettera, quando, nel 2017, ha riformato la Caritas diocesana assumendone direttamente la direzione e dedicando esclusivamente ad essa i diaconi di ogni vicariato della Diocesi, e i diaconi di Enna, Mimmo Cardaci, Salvatore Orlando e Pietro Valenti, al servizio dei poveri nelle città di Enna, Valguarnera e Villarosa. E il Vescovo, ha avuto la lungimiranza di affidare la direzione spirituale diocesana dei Diaconi, ad un prete molto attivo nel campo della Carità, del quale basta fare il nome senza fare nessuna aggiunta perché saprebbe di vacua retorica: p Angelo Lo Presti, stimato parroco della Mater Ecclesiae di Enna. Ma Carità vuol dire Amore, l’Amore, che non è quello umano, ovviamente e va di pari passo con un altro termine, quello della “Speranza” una delle tre virtù teologali. Papa Francesco parla spesso della Speranza: “È la più piccola delle virtù, ma la più forte. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene «con grande potenza e gloria». E i tre diaconi, per mons. Gisana e anche secondo i dettami della Chiesa, quindi di Papa Francesco stesso, oltre ad occuparsi dell’evangelizzazione, quindi, di diffondere la Parola di Dio, si occupano di dispensare Carità (Amore), e, conseguentemente, cercano di offrire, per quanto possono, la Speranza, a coloro che ne necessitano. Tutti gli uomini sono bisognevoli di Speranza e non soltanto della speranza della risurrezione dai morti, bensì della speranza umana, di potere avere una vita dignitosa, attraverso un lavoro onesto, ovvero attraverso il sacrificio e il sudore della loro fronte. Ed è proprio questa speranza che tutti i diaconi della Chiesa Piazzese, e nel caso che stiamo per raccontare, donano a coloro che, animati di buona volontà, fuggono dalla miseria e dalla sofferenza. Sarebbero tanti i fatti da ricordare ma un episodio in particolare, del loro servizio diaconale, merita, a nostro avviso, di essere raccontato: alcuni anni fa, fu segnalato loro, dall’allora cappellano dell’ospedale di Enna, il francescano Massimiliano Di Pasquale, un giovane migrante, la cui storia è la solita: il ragazzo era sbarcato a Lampedusa, da un barcone sfasciato, dopo essere stato recluso e seviziato in un centro di detenzione in Libia; già, uno di quei centri di detenzione che forse è meglio chiamare col loro vero nome, eludendo la falsa retorica, ovverosia, un lager. Qui il giovane, di nazionalità senegalese, subì ogni genere di sevizia, e come lui tanti altri, in particolare tante donne che vengono percosse e violentate quotidianamente, in un periodo in cui in Italia è forte l’attenzione dell’opinione pubblica verso la violenza di genere. Le sevizie, avevano lo scopo di ricattare i familiari in Senegal, affinché inviassero loro i soldi per liberarlo , si fa per dire, ed imbarcarlo su uno di quei barconi della morte. Veniva quotidianamente bastonato e torturato. Gli aguzzini si divertivano finanche a spegnere sulle sue braccia, i mozziconi delle sigarette, e tutto questo, oltre che per estorcere denaro, anche per mero sadismo o per fargli espiare, quella che loro, col permesso di qualche politico, e di molti leoni da tastiera, ritenevano una colpa, l’essere andato via dalla propria terra per cercarne un’altra dove trovare una vita e un lavoro dignitosi. Dalla Libia, il giovane giunse in Italia, in Sicilia, a Enna, colpito da una grave malattia. Qui venne ricoverato nel locale nosocomio. Salvatore, che faceva servizio diaconale in ospedale, lo incontrò e se ne fece carico, insieme a Mimmo e Piero, ospitandolo in un appartamento in uso alla Caritas ad Enna alta. Qui gli prestò le cure e gli procurò gli antibiotici, e, in barba ad ogni schema umano, lo invitò, sovente, a pranzo in casa propria, fino a quando i medici constatarono che il giovane fu guarito. Salvatore, Mimmo e Piero, non si fermarono qui. Vollero dare una speranza a quel giovane e riuscirono ad inserirlo nel mondo del lavoro, trovandogli un’occupazione e oggi l’uomo è pienamente integrato nella società ennese e svolge l’attività di aiuto cuoco in un noto ristorante. Questa è la Chiesa ennese. Una Chiesa che, nel silenzio e senza fare rumore, si occupa, per quanto difficile possa essere, anche di dare una speranza a chi è nel bisogno, cercando, e talvolta riuscendovi, perché è molto difficile, di inserire italiani e migranti nel mondo del lavoro.