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Generare a Corinto: semplicità e verità senza vergogna (1Cor 4,14-17).

Il sentire la paternità come unica qualità della propria azione spirituale nei confronti della comunità corinzia aveva già fatto capolino già nelle prime battute della lettera; ma è proprio in questo punto che essa è dichiarata senza mezzi termini. I «molti padri» sfidano i «diecimila pedagoghi in Cristo», ovvero i missionari scelti, inviati ed accolti, però privi potere di Paolo, il quale è colui che li ha «generato in Cristo mediante il Vangelo» (4,15). Presente soltanto in questo punto della lettera, il verbo “generare” (γεννάω) ritorna nella lettera a Filemone con lo stesso significato metaforico di questo versetto: «Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene» (v.10); nel resto dell’epistolario, invece, esso è utilizzato per significare la nascita fisica di una persona (Rm 9,11; Gal 4,23 e 4,29). L’apostolo avverte tutta l’attenzione dovuta ai propri “figli” corinzi proprio perchè gode di una luce interiore che gli fa vedere la partecipazione alla paternità di Dio come l’unica, vera e definitiva conformazione della propria identità, da Damasco in poi.
Sembra a volte, magari, rifuggire questa caratteristica, ma in realtà essa lo accompagna e spesso si staglia davanti a lui, agli occhi degli altri, come l’unico profilo possibile sotto il quale considerare la sua presenza significativa o meno. Così accade quando scrive: «O stolti Gàlati, chi vi ha
incantati? » (Gal 4,1), oppure: «Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri» (Ef 4,17); insomma, la sensazione che un bel pò di gente si possa fare male, non accorgendosi dei pericoli nascosti nella prassi stessa della nuova comunione vissuta tra i fratelli battezzati, ha una risonanza molto forte nell’apostolo, al punto tale da scuoterlo e suscitargli un sussulto paterno senza attenuanti. E tutto questo come un vero e proprio appello, innanzitutto, alla consapevolezza filiale da parte di tutti i fratelli della Chiesa, in ogni tempo: una sobria ma accurata coscienza della propria identità più intima e reale che realizza uno status nuovo e, praticamente,
moderno rispetto alla vita passata; così come, inoltre, un richiamo senza precedenti alla paternità, ovvero alla generazione continua di chi è al centro nella comunità e che, nel linguaggio evangelico, è definito “piccolo”: una nuda e cruda tendenza a spogliarsi della pelle di un tempo, man mano che la relazione con i fratelli s’inspessisce e motiva l’ordinarietà. Questo è ciò che rappresenta lo stesso apostolo quando fa menzione del
«modo di vivere in Cristo», insegnato dappertutto in ogni Chiesa (4,17): non un semplice stile di vita (che comunque non è cosa da poco),

bensì una generativa inclinazione al pensiero, al modo di ragionare, alla prospettiva di Cristo che folgora ancora, a distanza di anni, da quella chiamata all’ascolto e alla compagnia di Anania, nella cecità, nel digiuno e nell’astinenza più estenuante che mai abbia vissuto. Una substantia, una vera identificazione con il Cristo crocifisso, quindi innocente maltrattato, di fronte al quale ci si copre la faccia per la vergogna dell’attacco cruento nei confronti di chi ha deciso di non difendersi; così, infatti, è inteso il termine della spudoratezza, o della vergogna (ἐντρέπω), che nel nuovo testamento è anche usato per raccontare la riflessione del padrone della vigna che, da ultimo, decide di mandare suo figlio a chiedere conto dell’operato dei suoi mezzadri (dopo che hanno fatto scempio dei precedenti ambasciatori): «Avranno pudore e rispetto (ἐντρέπω) di mio figlio!» (Mt 21,37; Mc 12,6; Lc 20,13); una riflessione azzardata ma opportuna, rischiosa per tutto e per tutti ma necessaria e calzante. Per cui, l’apostolo che richiama alla condizione di figli i “suoi” corinzi avverte la stessa e medesima gravità di una situazione evocata altrove a proposito della comunità del Vangelo, con cui anche l’Antica Alleanza, viene vissuta e compiuta in mezzo al popolo, non per sentito dire, o per scherzo, ma con sincerità di cuore, in «spirito e verità» (Gv 4,24), nonostante le minacce di morte recapitate più volte allo stesso maestro di Nazareth, data la sua ostinata tendenza a farsi “figlio di Dio” nella substantia, nell’identificazione profonda con la natura del Padre; e come per Paolo e la sua missione “apostolica”, apostolico è tutto quel buon modo di “esserci” all’interno delle comunità parrocchiali evidenziando la forza dell’appartenenza alla natura del Padre con quella partecipazione alla parola della croce che rende fratelli e, spesso, anche padri degli altri. In un tempo, poi, in cui la paternità è completamente fagocitata dalla caccia al like sui social, i rapporti e le relazioni sociali, ecclesiali, professionali vanno corroborate con verità, trasparenza, discrezione e discernimento, cura dei dettagli e centralità della coscienza propria e altrui. La profezia del messaggio del vangelo, che Paolo ama definire pensiero di Cristo (2,16), è in tutta quella semplicità che ha reso luminari, uomini e donne comuni, per il solo fatto di aver sposato la propria realtà e il proprio contesto senza paura alcuna della verità; mentre, di contra, l’affannosa ricerca di profili “alternativi” ha disumanizzato anche la più naturale delle esperienze sociali, come quella spirituale, dapprima facendo perdere di vista ai “piccoli” il legame con il Padre, la fonte della vita, e poi occultandone il messaggio con scelte interessate e politiche, quindi non evangeliche e cristiane. C’è bisogno urgente di dedizione paterna nei loro confronti. Occorre svoltare immediatamente, abbandonando le vie larghe del consenso popolare e attraversando l’unica porta rimasta: quella stretta dell’ascolto silenzioso, umile e sincero di quanto veramente chiede, racconta e considera la gente. Diversamente, generare a Gesù Cristo nuovi “piccoli”, figli e fratelli, diventerà sempre più il privilegio di isolate e sperdute fraternità spirituali in giro per l’Europa, come già accade.

Quanto di generativo è presente nel nostro modo di essere comunità?
Cosa può ottenere di così importante, per il tempo che viviamo, l’adesione incondizionata al messaggio del Vangelo senza attenuanti, filtri o strategie pastorali?
Il cammino personale e comunitario fino a che punto può sottrarsi dal rapporto filiale con Dio e, poi, con la stessa comunità in cui si vive?
Ci rendiamo conto che non esiste comunione alcuna tra fratelli senza una reale attrazione nei confronti di Dio, come nei confronti di uno che è disposto seriamente a darci tutto di sè, come un padre?
Spunti e appunti per una Lectio personale
Generare alla beatitudine, alla vita eterna, all’altro 

Proverbi 23, 23 Acquista la verità e non rivenderla, la sapienza, l’educazione e la prudenza. 24 Il padre del giusto gioirà pienamente, e chi ha generato un saggio se ne compiacerà. 25 Gioiscano tuo padre e tua madre e si rallegri colei che ti ha generato.

Deuteronomio 440 Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre.

Marco 1, E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». (vedi anche 1Gv 5,1; Gal 4,19)


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