I Greci conoscevano i Siculi come una popolazione abitante agli albori della protostoria nella penisola italiana e successivamente passata in Sicilia sotto la spinta di altri popoli.
Ma, pur concordando nelle linee generali, i diversi storici greci ci dànno diverse versioni di questo avvenimento e soprattutto indicano date diverse. Tucidide dice che i Siculi, respinti dagli Opici, sarebbero passati in Sicilia, cacciando a lor volta i Sicani verso le regioni occidentali e meridionali dell’isola, trecento anni prima della colonizzazione greca e cioè intorno al 1030 a.C.
Invece Ellanico di Mitilene pone questo avvenimento in età molto più antica: tre generazioni prima della guerra di Troia, nel ventiseiesimo anno del sacerdozio di Alcione ad Argo e cioè, ponendo la caduta di Troia alla data tradizionale del 1180 a.C. e considerando una generazione corrispondente a circa trent’anni, intorno al 1270. All’incirca la stessa età (80 anni prima della guerra di Troia) ci è indicata anche di Filisto di Siracusa. Dobbiamo quindi pensare ai Siculi, diceva Luigi Bernabò Brea, già reggente della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale e il Museo Archeologico Nazionale, “come ad un popolo portatore di una cultura di tipo ‘tardo appenninico’, non dissimile nel complesso, almeno nel suo aspetto materiale, da quella degli Ausoni di Lipari, loro stretti parenti: ci attenderemo quindi che la loro presenza in Sicilia fosse attestata da complessi di ceramiche e di bronzi di tipi nettamente peninsulari e da campi di urne analoghi a quelli di Lipari e di Milazzo. Vedremo come in realtà il panorama culturale della Sicilia nella età del bronzo e nella prima età del ferro sia molto diverso da quello che, sulla base delle fonti storiche ricordate, dovremmo attenderci di trovare e come le connessioni con l’Italia peninsulare siano estremamente scarse o addirittura assenti”.
Paolo Orsi, il primo grande rivelatore della Sicilia preistorica, aveva stranamente dato il nome di sicule a tutte le popolazioni che abitarono la Sicilia orientale nell’età del bronzo a cominciare dalla civiltà di Castelluccio e aveva suddiviso tutta la successiva evoluzione della preistoria e della protostoria siciliana in quattro periodi: i suoi quattro ‘periodi siculi’. Questa identificazione etnica delle popolazioni siciliane dell’età del bronzo, della prima e della seconda età del ferro coi Siculi della leggenda ebbe una enorme fortuna e per molto tempo non fu seriamente messa in discussione. Eppure chiamare ‘sicule’ le culture di Castelluccio e di Thapsos, affermava attraverso le sue ricerche Bernabò Brea, già allievo della Scuola Archeologica Italiana di Atene, “è in assoluto contrasto con tutti i dati delle fonti letterarie e delle tradizioni storiche conservate nel mondo greco. Queste due culture non hanno infatti alcuna affinità con quelle dell’Italia peninsulare da cui provenivano i Siculi. Al contrario le abbiamo viste permeate di elementi egeo-anatolici, che parlano piuttosto a favore di una loro origine orientale, e per di più sono fiorite in età molto più antica di quella in cui i Siculi sarebbero passati in Sicilia. I portatori delle culture di Castelluccio e di Thapsos certamente non erano Siculi”. Ma possiamo almeno attribuire ai Siculi la cultura di Pantalica, di Cassibile, del Finocchito che fiorisce nella Sicilia orientale nel periodo che segue all’estinzione della cultura di Thapsos ? E’questo un interrogativo al quale occorre dare una risposta attraverso l’esame di tale cultura. Secondo l’ispettore Luigi Bernabò Brea sosteneva “I greci senza dubbio chiamarono sicule queste popolazioni indigene con cui vennero in contatto nell’ultimo terzo dell’VIII secolo a.C. quando fondarono le loro colonie sulle coste della Sicilia orientale”. Tuttavia, l’assoluta discordanza che esiste fra l’aspetto della loro civiltà materiale, rivelatoci dall’archeologia, e quello che dovremmo supporre che fosse sulla base delle fonti storiche, ci induce a chiederci se questo corrisponda veramente ad una realtà etnica e culturale.
