21 Novembre 2025

Appunti di viaggio, terzo e quarto giorno

Nel silenzio della povertà, la voce di Dio: “Tambacounda” (2)

di don Osvaldo Brugnone

Don Osvaldo, da Tambacounda in Senegal, continua a condividere con noi i suoi appunti di viaggio con la missione di Don Bosco 2000 che proprio lì sta realizzando un dispensario medico. Le parole di don Osvaldo accompagnate da qualche scatto e brevi filmati ci raccontano le giornate di bambini, donne e uomini di questo lembo d’Africa dove “il tempo sembra non correre, ma respirare”.

TERZO GIORNO. Un altro giorno con i talibé a Tambacounda. Il sole del mattino cade sulle strade polverose proprio come ieri, mentre prepariamo latte e pane con un velo di maionese da distribuire ai bambini. Arrivano in piccoli gruppi, piedi scalzi, occhi che mescolano timidezza e speranza.
Tra loro c’è un bimbo che non avevo visto prima. Si avvicina piano, guardando prima il pane nelle mie mani, poi me. Il suo sguardo si ferma sulla croce che porto al collo. In un istante il suo volto cambia, come se avesse visto qualcosa di stonato nel quadro familiare della sua giornata. “Questa no!”, mi dice, con un’espressione infastidita e un dito puntato verso il pendente. Capisco subito. Sono musulmani, cresciuti nella disciplina delle daaras, le scuole coraniche. Il loro mondo è fatto di recitazioni, preghiere e istruzioni che imparano a seguire senza chiedersi troppo il perché. Per un momento, quella piccola croce aveva creato una distanza tra noi. Ma poi gli sorrido, gli allungo il pane, e i suoi occhi si addolciscono di nuovo. Era sempre un bambino, affamato, curioso, più grande delle paure che gli avevano insegnato. E così, anche oggi, Tambacounda mi ha insegnato qualcosa: che l’incontro tra mondi diversi può sorprendere, ferire per un attimo, e poi aprire un varco di comprensione. Anche solo nel silenzio di un gesto, o nel sorriso che scioglie un’iniziale diffidenza.
Siamo entrati nelle scuole con passo leggero, accolti dagli occhi curiosi dei bambini. Sono composti, gioiosi, pronti ad ascoltare e a lasciarsi sorprendere. I loro sorrisi, semplici e sinceri, hanno riempito l’aula di una luce che solo l’infanzia sa creare. L’associazione don Bosco 2000 ha donato dei banchi provenienti dall’Italia.
Abbiamo organizzato anche un incontro online con il C.I.R.S., una scuola di formazione professionale in Italia. È stato un momento prezioso di confronto e di vicinanza: due realtà lontane geograficamente, ma unite dal desiderio di conoscersi e condividere. Mondi diversi che si avvicinano, si osservano, si parlano. Sorrisi che attraversano lo schermo, sguardi che si cercano, domande che creano ponti. Così, in quel breve tempo, è nata una connessione. E, come spesso accade quando le persone si incontrano davvero, non è servito molto di più. Solo ascolto, apertura e la bellezza del sentirsi parte di qualcosa di comune. Il pomeriggio scivola lento mentre torno a far visita alla gente del villaggio. Appena imboccato il sentiero principale, le risate dei bambini mi sono venute incontro, leggere come il vento tra gli alberi. Corrono ovunque, inventando giochi con nulla e trasformando la polvere della strada in un campo di avventure. I loro sorrisi, sinceri e luminosi, sembrano illuminare l’aria più del sole stesso.
Le donne, come sempre, ci hanno accolto con quella naturalezza che solo chi vive in comunità conosce davvero. Alcune sono sedute all’ombra, altre intente nelle attività del giorno, ma tutte trovano un momento per salutare, scambiare due parole, offrire un sorriso. Nel frattempo, i loro mariti lavorano nei campi poco distanti: si intravedono da lontano, chine le schiene ma fermi nello spirito, parte del paesaggio quanto gli alberi e la terra. C’e una pace difficile da spiegare, una serenità che nasce solo dove il tempo sembra non correre, ma respirare. Immerso nella natura, tra volti familiari e piccoli gesti quotidiani, sento che ogni cosa ha il proprio posto, e che per un attimo anche io l’ho trovato.

QUARTO GIORNO. Stamattina i talibé mi fissano incuriositi. I loro occhi seguono ogni mio movimento, ma soprattutto si soffermano sul mio Apple Watch: per loro è un oggetto misterioso, mai visto prima. Ogni tanto il loro sguardo torna sulla croce che porto al collo; qualcuno allunga la mano, quasi volesse strapparmela, più per curiosità che per cattiveria. Poco distante, Ivan – un altro volontario – li fa ridere usando il suo telefono.
Basta un filtro buffo dei social per farli scoppiare in risate contagiose. Antonino ha iniziato a giocare con loro, battendo le mani in un ritmo che i bambini imitano con entusiasmo. Intanto Antonietta continua a lavarli con pazienza, uno per uno, con quei gesti semplici che somigliano a una carezza. Mi sono reso conto che non serve molto per regalar loro un sorriso: a volte basta la nostra presenza, un gioco improvvisato, un volto che cambia forma sullo schermo di un telefono. In quelle piccole cose c’e tutta la magia della mattinata.
Nella tarda mattinata siamo andati a trovare le donne di Tambacounda, quelle che ogni giorno lavorano la pietra per guadagnarsi la giornata. Le abbiamo viste, alcune vedove e altre sposate. Eppure sono lì, sotto il sole che spacca la terra, a compiere lo stesso gesto antico: scavare, raccogliere, selezionare. Il sudore brilla sulle loro fronti come un velo imposto, e le mani, forti e instancabili, setacciano la pietra con una precisione che nasce solo dalla necessità. Ogni granello trattenuto significa qualche moneta in più, ogni sasso scartato un peso da lasciare andare. Quanto sfruttamento in questa terra, dove il lavoro non conosce tutele e i diritti restano parole senza ombra. E noi, che veniamo da mondi abituati al superfluo, ci siamo ritrovati a osservare quel contrasto feroce: il nostro lusso e la loro resistenza. Mentre le guardo, penso al loro setaccio, al ritmo delle mani che separano ciò che vale da ciò che è inutile. E mi sono chiesto quanto, nella nostra quotidianità, dovremmo imparare a fare lo stesso: setacciare le parole, trattenere solo quelle vere, lasciare cadere quelle vuote, leggere, ingannevoli. Perché, in fondo, la verità richiede lo stesso gesto: forza, attenzione e il coraggio di scartare ciò che non serve.

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