11 novembre: una festa semplice, popolare che unisce generazioni e celebra l’autunno nel suo momento più bello. San Martino è legato a una delle immagini più famose della tradizione cristiana: il giovane soldato che incontrando un mendicante infreddolito taglia in due il proprio mantello per condividerlo con lui. Da qui nasce anche la famosa ‘estate di san Martino’ quei giorni insolitamente miti che spesso arrivano proprio intorno all’11 novembre, quando il freddo sembra prendersi una piccola pausa e invoglia ancora di più a uscire. Tradizionalmente, l’11 novembre era il giorno in cui si ‘aprivano le botti’ per assaggiare il vino nuovo. Per contadini e viticoltori era una data importante: si tiravano le somme del raccolto e si a degustare il frutto del lavoro in vigna.
San Martino, la cui ricorrenza è l’11 novembre, è venerato da tutte le chiese che ammettono il culto dei santi, i cui attributi sono mantello, bastone pastorale e globo infuocato è il patrono di albergatori, cavalieri, forestieri, fabbricanti di maioliche, mendicanti, militari, oche, osti, sarti, sinistrati, vendemmiatori e viticoltori.
L’11 novembre i bambini delle Fiandre e delle regioni cattoliche tedesche, austriache e dell’Alto Adige prendono parte a una processione di lanterne. A Venezia, l’11 novembre si è soliti cuocere il dolce di san Martino, un biscotto a forma di cavaliere decorato con confetti e caramelle. San Martino rappresenta infatti da secoli la fine del ciclo agricolo e l’inizio dell’inverno.
In tutta la Sicilia l’11 novembre si celebra la festa di san Martino, una ricorrenza che unisce fede, tradizione popolare e sapori d’autunno. Secondo un detto contadino, “a san Martino ogni mosto diventa vino”: E’ proprio in questi giorni, infatti, “che si apre la b otte per assaggiare il vino nuovo, frutto del lavoro di vendemmia di settembre. Dalle campagne dell’Etna a quelle di Marsala, dai Nebrodi alla Valle del Belice, si stappano bottiglie di moscato, novello e vino cotto, accompagnando i calici con piatti semplici e rustici. In molti borghi, soprattutto nelle zone rurali, si accendono i falò, si organizzano feste di paese e degustazioni, dove si condividono vino, castagne, formaggi e salumi”.Alla festa sono legati antichi proverbi che racchiudono lasaggezza contadina. A cominciare da ‘a san Martino si prova il vino’ che non è solo un modo di dire: “è un inno all’amicizia, alla terra e al piacere di condividere. San Martino rappresenta infatti da secoli la fine del ciclo agricolo e l’inizio dell’inverno. In Sicilia la sua festa coincideva con il momento in cui si mettevano al sicuro le provviste e si brindava ai frutti della terra. Non a caso, l’immagine del santo è quella di un uomo generoso, protettore dei poveri e simbolo di calore umano, proprio come il vino e il pane che si condividono in tavola”.
Martino vide la luce, nato in Sabaria (Ungheria) tra il 316-317,in una famiglia pagana. Suo padre era un ufficiale dell’esercito imperiale romano di stanza in Pannonia, l’odierna Ungheria, ma Martino, nonostante le sue origini, fin da bambino si interessò in modo serio alla cultura cristiana, sebbene non fosse battezzato. Trascorse l’infanzia a Pavia, dove il padre era stato trasferito per servizio. Ancora giovanissimo fu costretto dai genitori a seguire la carriera militare; si arruolò e fu destinato al servizio in Gallia.
Nel 356 decise di lasciare l’esercito, ma rimase in Gallia, raggiungendo a Poitiers il vescovo Ilario che aveva avuto modo di conoscere tempo prima. Poiché Martino si era fatto battezzare, forse ad Amiens, Ilario non indugiò, data la sua natura volitiva e decisa, e lo nominò esorcista, il primo passo per diventare sacerdote. Ma il vescovo era uno strenuo dell’eresia ariana, sostenuta invece dall’imperatore Costanzo, perciò fu esiliato per castigo in Frigia; Martino, abbandonato dal suo mentore, tornò in Pannonia e poi ripartì alla volta di Milano. Prima di rientrare in Gallia, si fermò di fronte ad Albenga, su una piccola isola chiamata Gallinara, per trascorrervi un periodo di solitudine e meditazione. Intanto, il vescovo Ilario era rientrato in patria e fu presto raggiunto da Martino che fu da lui, ordinato sacerdote. L’anno successivo Martino fondò a Ligugè una comunità monastica, il cui monastero ebbe il nome di Marmoutier. Nel 371 Martino fu eletto vescovo di Tours, ma continuò a risiedere con umiltà a Marmoutier, da dove si muoveva per le campagne nella sua formidabile opera di evangelizzazione che svolse con maniere burbere e alle volte forti, da ex militare qual era: distrusse simulacri pagani, ispirando talvolta irritazione e risentimento. Nonostante ciò, il suo lavoro diede ottimi risultati.
In ogni modo, nonostante i suoi difetti, Martino portò a termine in maniera brillante il suo compito di evangelizzazione perché sempre toccare il tasto giusto, decidendo di proteggere i poveri contro il fisco imperiale, dai ricchi e dai potenti: gli umili lavoratori della terra, la mplebe urbana e i derelitti si sentirono al sicuro con il loro vescovo e, per questo motivo, egli fu popolare da vivo e adorato da morto. Martino fondò diversi monasteri e, in tutti, i monaci pregavano, meditavano, si recavano nelle campagne per convertire i pagani e imparavano a condividere il poco che avevano.
Martino morì l’8 novembre del 397 a Candes, oggi Candes-Saint-Martin (Francia); al momento della morte, aveva già una consolidata fama di santo per i numerosi miracoli operati, quindi il suo culto nacque spontaneo e irrefrenabile, soprattutto tra i più poveri per poi affermarsi saldamente anche tra chi derelitto non era. Gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours se ne contesero le spoglie, fino a quando quelli di Tours non ebbero la meglio e lo trasportarono via fiume nella loro città.
A Tours la basilica dedicata a san Martino, un edificio molto imponente per l’epoca, fu meta di costanti pellegrinaggi da parte dei fedeli che onoravano il Santo. Nel 1562, a causa delle tremende guerre di religione che insanguinarono la Francia, la basilica fu saccheggiata dagli Ugonotti e le spoglie di Martino furono bruciate dai seguaci dell’iconoclastia protestante. Nel corso della rivoluzione francese, la basilica fu demolita togliendone l’incatenatura e provocando il collasso della navata. Nel XIX secolo iniziarono i lavori di ricostruzione.
Sembra che intorno agli anni 338-339, quando Martino serviva nella cavalleria imperiale ad Amiens, abbia avuto una visione che rappresentò un momento fondamentale per lui, ma anche l’episodio della sua vita più raccontato in assoluto, nonché un motivo di grande ispirazione per pittori, scultori e poeti. Martino quel giorno era alle porte di Amiens con la sua truppa di cavalieri quando vide un mendicante seminudo, scalzo e infreddolito; l’uomo gli fece una gran pena, quindi Martino decise di scendere da cavallo e avvicinarsi all’uomo: si tolse il mantello e con un colpo di spada lo divise a metà, offrendo una di queste al mendicante perché si coprisse. L’uomo la prese e rabbrividendo, dopo aver ringraziato Martino, si coprì. La notte stessa, Martino sognò Cristo che andava da lui per rendergli la metà del mantello di cui si era privato e ne sentì anche la voce mentre diceva agli angeli che lo accompagnavano: “Quest’uomo è Martino, un soldato romano che pur non essendo cristiano, mi ha dato il suo mantello”. Al suo risveglio, il Santo si accorse con enorme stupore che il mantello era di nuovo intatto. Divenuto oggetto di culto, il mantello fu conservato dai re merovingi, da quelli carolingi e poi diviso tra i santuari dedicati a san Martino, ognuno dei quali conservava un pezzo di stoffa di questa reliquia.
