La Sicania dei popoli indigeni è chiamata Trinacria dai Greci ed è raffigurata con una testa di Gorgone cinta da tre gambe. Tra gli storici brilla la figura di Tommaso Fazello nel XVI che in ‘De Rebus Siculis Decades Duae’ è elevata a una potenza mediterranea.
In Sicilia storia e mitologia convivono al punto da non rendere agevole tracciarne i confini, basti pensare ai poemi omerici e virgiliani, alle vicende di Ulisse e di Enea, ai miti di Cerere e Proserpina, di Cocalo, di Dedalo e di tanti altri che vissero nella ‘Isola del Sole’ le loro vicissitudini; è anche vero però che negli storici prevale spesso un carattere apologetico, o si ricorre al mito per risolvere ogni fenomeno inspiegabile. Il fatto che la morfologia della Sicilia sia stata a grandi linee da sempre nota evidenzia più e meglio di altri fattori l’identità dell’isola. Basti ricordare che la immagine della Sardegna è stata variamente assimilata a un sandalo, a un piede umano, a una rana, così come all’Italia è stata attribuita la forma del trifoglio, prima che si affermasse quella dello stivale. La Sicania dei popoli indigeni è chiamata, sostiene Antonino La Gumina (autore di ‘Imago Siciliae, Cartografia storica della Sicilia’; Curatore dell’esposizione ‘L’Isola a tre punte’; Curatore dell’esposizione ‘La Sicilia raccontata dai cartografi’; Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana), “Trinacria dai Greci ed è raffigurata con una testa di Gorgone cinta da tre gambe, immagine dell’isola a tre punte di Pindaro, seppure la simbologia sia riferibile ad ambienti orientali di più antica affermazione. La Trinacria greca è citata da Omero nell’Odissea, nonché dagli storici Tucidide, Antioco di Siracusa e Timeo di Taormina. Le fonti letterarie sono confermate da reperti archeologici, conservati al museo di Gela e a Tindari. In età romana, l’immagine grafica si arricchisce con spighe di grano quale simbolo della fertilità del suolo. Per secoli i Greci si erano avventurati nello Ionio e nel Tirreno e, una volta raggiunte le coste della Sicilia, avvertirono l’esigenza di avere una più esatta conoscenza dell’estensione dell’Isola e delle genti che l’abitavano, il tutto inteso alla conoscenza delle foci dei fiumi e degli approdi sicuri, utili a favorire il flusso migratorio. A essi dobbiamo la prima ricognizione della Sicilia e della costa meridionale dell’Italia. In seguito, avendo acquisito una migliore conoscenza delle correnti marine, delle maree e dei venti, dopo aver perfezionato le tecniche della navigazione, i Greci consolidano la loro presenza stabilendo basi, di preferenza su aree costiere. Lo spirito d’avventura dei Greci dell’epoca arcaica ha un riscontro letterario nella Divina Commedia, nel celeberrimo passo del Canto XXVI dell’Inferno, quando Ulisse sprona i suoi compagni a ‘seguire virtute e conoscenza’. Occorreranno circa cento cinquant’anni per portare a termine il processo di ellenizzazione della Sicilia e della Magna Grecia: solo verso la metà del secolo VI si sarebbero consolidate le posizioni acquisite. L’agricoltura conosce un notevole incremento; è creata una rete stradale che collega i vari centri abitati, pur essendo ancora preferita la navigazione di cabotaggio e per via fluviale. La ‘Periegesi’ di Ecateo (550 a.C.-476), nel quadro delle conoscenze geografiche dei Greci del secolo VI a.C., fornisce per la Sicilia una descrizione del tracciato della costa; nel suo ‘Periplo del mare che bagna le terre abitate di Europa, Asia e Libia, Scilace di Carianda (secolo V o VI a.C.) scrive ‘la Sicilia è un triangolo e ogni suo lato misura circa 1.500 stadi’ e segnala nel contempo qualche località dell’entroterra; Tucidide nelle ‘Storie’ valuta la superficie della Sicilia associandola al percorso che una nave oneraria avrebbe percorso in otto giorni.
Tra gli ‘storici’ di Sicilia e Magna Grecia si può fare menzione di Ippi di Reggio (secolo VI-V a.C.), che nella sua ‘Storia della Sicilia’ cita, tra l’altro, il mitico Cocalo re dei Sicani, e ragguaglia sul congresso tenutosi a Gela nel 424 a.C., quando, sotto la guida di Ducezio, si erano mosse le città siceliote contro l’invadente presenza delle colonie greche nell’Isola. Ancora, sono da ricordare la ‘Storia della Sicilia’ di Antioco di Siracusa, contemporaneo di Erodoto, e lo storico Timeo vissuto nel IV secolo a.C. Con Strabone e Claudio Tolomeo veniamo a conoscenza di dati più precisi sul perimetro della Sicilia: il primo fissa il periplo della Sicilia in 4.400 ‘stadi’ e riconosce le città di maggiore importanza in Agrigento, Catania, Enna, Erice, Megara, Messina, Nasso, Siracusa e Taormina, conferendo a Cephaloedium, Segesta, Palermo e Tindari un rilievo minore. Sul piano propriamente grafico, la rappresentazione fornita ‘storici’ greci risulta non conforme alla realtà, specialmente riguardo all’orientazione dell’Isola. La conquista romana segna il declino del toponimo M… ‘E…, sostituito nella rappresentazione topografica coeva con i rispettivi nomi delle antiche popolazioni che abitavano il sud della penisola; l’Italia comprende ora tutto il Mezzogiorno fino alla Campania e a nord fino all’Arno e all’Esino, fiume che scorre nelle province di Ancona e Macerata, confini che, nell’età augustea, avrebbero raggiunto le Alpi. Alla caduta dell’Impero, gli antagonismi etnici metteranno via via in luce la coesistenza di due ‘Italie’, oltre alla Sicilia, che tra l’altro non era stata integrata ai territori continentali dal punto di vista del rilievo geografico. Nessun progresso rispetto alla raffigurazione greco-alessandrina è percepibile nell’unico documento pervenuto dall’antichità romana, la cosiddetta ‘Tabula Peutingeriana’, in cui la Sicilia ha una forma quadrangolare che individua le città di Siracusa, Messina, Lilibeo e Thermis”. Sostiene, ancora, il dottor La Gumina , “Intorno al 1145, il re normanno Ruggero II affida il geografo arabo Idrisi il compito di redigere una descrizione della Terra; nell’opera, la Sicilia ha una forma triangolare ma viene mantenuto l’errore di disposizione della carta tolemaica. Nel 1528 Benedetto Bordone pubblica a Venezia il suo ‘Isolario’, che presenta su unico foglio le due versioni cartografiche ‘Secondo Tolomeo’ e ‘Secondo Moderni’; nella resa ‘moderna’, in particolare, l’Isola appare meglio orientata, ma la morfologia della costa è ancora approssimativa”. A contribuire sensibilmente all’ampliamento della conoscenza delle ‘cose di Sicilia’, sostiene infine La Gumina (già direttore generale del Banco di Sicilia, filiale di Parigi nonché Chevalier de la Légion d’Honneur), “è una schiera di eruditi, storici, geografi e matematici. Tra gli storici brilla la figura di Tommaso Fazello, che in ‘De Rebus Siculis Decades Duae’ (1558) narra gli avvenimenti che fecero della Sicilia -elevata a regno con Ruggero II nel 1130- una potenza mediterranea con influenze sull’Italia meridionale e sulla costa africana da Tripoli a Capo Bon. Nel secolo dei Lumi, particolare rilievo assume in Sicilia la figura e l’opera di Vito Amico (1697-1762), che nella prefazione al suo ‘Lexicon Topographicum Siculum’ (pubblicato nel 1757 e riedito con traduzione italiana da Gioacchino di Marzo tra il 1855 e il 1856) passa in rassegna alcuni dei principali autori che si sono occupati della Sicilia, dichiarando altresì di voler descrivere nel suo Dizionario ‘i monasteri di più, le torri, i boschi, i fonti, i fiumi, le paludi, gli stagni, i laghi, i ponti, i seni, i lidi, le isole adiacenti, le penisole, gli scogli, tutti finalmente i luoghi dell’Isola descritti, illustrati, accuratamente indicato il sito, e come innanzi agli occhi collocati’. Va ricordato, infine, il valore documentario degli scritti di storie patrie che, oltre a tramandare vicende che altrimenti sarebbero state cancellate dalla memoria collettiva, rappresentano un patrimonio di conoscenza del territorio utile anche sotto il profilo cartografico”. Nel corso del tempo, afferma il prof. Elio Di Bella (docente, storico e giornalista), “le tecniche di rappresentazione cartografica si affinarono, passando da forme approssimative a rappresentazioni sempre più vicine alla realtà della geografia fisica.
Nel XVII, emerse una nuova concezione cartografica, la topografia, con una maggiore attenzione al dettaglio e alla precisione. La carta dello Schmettau del 1721 è un esempio di questo approccio più accurato. Nel XIX, la cartografia ufficiale borbonica, come la Carta della Sicilia di Francesco Badalamenti del 1860, riportava dettagli come strade, telegrafi, miniere e fari. L’Istituto Geografico Militare di Firenze produsse carte topografiche dettagliate della Sicilia e varie scale nella seconda metà del XIX secolo. Rappresentazione esterna e autorappresentazione: L’immagine della Sicilia nelle carte geografiche è il risultato dell’incontro tra lo sguardo esterno dei cartografi (spesso non siciliani) e quello interno, una vera e propria autorappresentazione delle élites locali. I siciliani fornirono gran parte delle informazioni utilizzate per l’elaborazione di queste carte”. In sintesi, afferma ancora il giornalista Elio Di Bella (che cura, tra l’altro, il sito web agrigenbtoierieoggi.it), “L’evoluzione delle rappresentazioni cartografiche della Sicilia è stato un processo complesso, influenzato da una combinazione di fattori scientifici (tradizione tolemaica, progressi in geografia e astronomia, sviluppo di proiezioni e coordinate), politici e militari (importanza strategica, esigenze di controllo e difesa) e tecnologici (stampa, tecniche di rilevamento). Questa evoluzione ha portato da rappresentazioni schematiche e spesso errate a mappe sempre più precise e dettagliate”, riflettendo i cambiamenti nella comprensione geografica e nella gestione del territorio. Occorre precisare, sostiene lo storico Elio Di Bella, che “La suddivisione della Sicilia in tre regioni amministrative, noto come ‘valli’ (Val Demone, Val di Noto e val di Mazara), rappresenta uno degli aspetti più interessanti dell’organizzazione territoriale siciliana, la cui origine risale al periodo della dominazione araba e che persistette fino alle riforme amministrative borboniche del XIX secolo. Le origini della Sicilia in tre valli ha origini che risalgono al periodo della dominazione musulmana (827-1091). Gli arabi introdussero un sistema amministrativo basato su distretti chiamati ‘iqlim’ (plurale aqalim). Questa organizzazione venne successivamente modificata durante il periodo normanno (XI-XII secolo), quando si consolidò la divisione dell’isola nelle tre grandi circoscrizioni amministrative” descritte da Tommaso Fazello nel suo ‘De Rebus Siculis’ (1558). In effetti il sistema amministrativo delle tre Valli rimase in vigore per secoli, dice il Di Bella, “attraversando i periodi di dominazione normanno-sveva, angioina, aragonese e spagnola. La sua persistenza dimostra l’efficacia di questa divisione, che rispettava le caratteristiche geomorfologiche e le vocazioni produttive dei diversi territori. Durante il periodo borbonico, nel 1817, questa suddivisione fu sostituita da un nuovo ordinamento basato su sette province (Palermo, Messina, Catania, Siracusa Girgenti, Trapani e Caltanissetta)”. Tuttavia, la memoria dei tre Valli è rimasta viva nella cultura siciliana tanto che alcune denominazioni geografiche attuali ne conservano ancora traccia. La tripartizione della Sicilia descritta da Tommaso Fazello nel XVI secolo riflette, afferma infine il docente Elio Di Bella, “un’organizzazione territoriale che aveva radici profonde nella storia dell’isola e che si basava su una comprensione accurata delle diverse caratteristiche geomorfologiche e vocazioni produttivi dei territori. Questa divisione amministrativa, lungi dall’essere arbitraria, rispecchiava la complessità e la varietà del paesaggio siciliano, evidenziando come già nel passato si fosse sviluppata una articolata del territorio che teneva conto delle sue peculiarità e potenzialità”. Lo studio dei tre Valli rappresenta quindi non solo un importante capitolo della storia amministrativa siciliana, ma anche “una chiave di lettura per comprendere il rapporto tra uomo e territorio in un’isola che, per la sua posizione strategica nel mediterraneo, ha sempre rappresentato un crocevia di popoli, culture e tradizioni”.
