
Se l’uomo contemporaneo ha imparato a valorizzare ciò che sta ai margini, facendone ponte per le connessioni alla rete e ha impiantato degli “host“, cioè delle interfacce per comunicare con il resto del pianeta o, allo stesso tempo, permettere al resto del pianeta di comunicare con lui, il segreto è tutto nelle cosiddette “periferiche“. È così che si chiamano gli attacchi USB utilizzati per congiungere due contesti, due realtà a volte praticamente complementari ma all’apparenza incompatibili. Ed è così che il nuovo Papa, Leone XIV, ha voluto connettere il proprio mandato con quello del predecessore Francesco quando, in questi giorni, ha pensato “Dilexit te“: la prima esortazione del suo ministero pietrino.
Agganciando il tema centrale del pontificato di Francesco, che ruota attorno alla persona del “povero” come attorno ad un universo dalle molteplici sfaccettature, con un testo che lo stesso Francesco aveva iniziato a scrivere, senza però riuscire a continuare a completare, ha scelto un’espressione tratta dall’ultimo libro biblico, l’Apocalisse, per introdurre quanto aveva in mente. Un’espressione tratta da un libro “chiave” per la comprensione di molti aspetti oscuri della realtà dell’uomo di sempre ma anche per la lettura di quanto espresso nello stesso mondo biblico, in cui si intrecciano storie, modi di vivere e punti di vista sulla realtà che sembrano contraddirsi in continuazione. Il libro dell’Apocalisse è un testo molto prezioso per il credente, così come per l’uomo animato da quello spirito divino che lo richiama spesso ad una connessione con Dio attraverso, magari, le esperienze periferiche vissute e ormai “cestinate”. Una dichiarazione che «attesta un termine», come si legge nel libro del profeta Abacuc (2,3), rilanciando volentieri lo sguardo al panorama del vissuto quotidiano nella sua interezza e complessità.
L’espressione. «ti ho amato» con cui si introduce l’esortazione, nel testo della lettera alla chiesa di Filadelfia secondo il libro dell’Apocalisse, non introduce ma conclude. «Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei, ma mentiscono perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato» (3,8); e continua: «poiché hai custodito il mio invito alla perseveranza, anch’io ti custodirò nell’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra» (3,10). Dunque una dichiarazione che fa da cerniera e cuce la scelta di Dio nei confronti della comunità con la scelta della comunità nei confronti di Dio. Questi ha amato chi ha custodito la perseveranza nella comunione in un tempo di incertezze, confusione e instabilità; e Questi ha, in questo modo, promosso una reciprocità affettiva in grado di recepire, proteggere e promuovere la voglia di rimanere insieme dentro ad un luogo vitale come la comunità, per fronteggiare la negatività esterna.
L’amore del Signore segna un passaggio, delinea un perimetro come un confine, dentro al quale si sono collocati da un lato quelli che hanno scelto la comunità e dall’altro quelli che hanno scelto la “sinagoga di Satana”, la non comunità, la non comunione, i quali non sono abbandonati alla propria scelta, come dopo un naufragio spirituale enormemente dannoso per loro; bensì sono considerati ancora parte della periferia, elementi centrali di una marginalità comunque interna all’ambiente religioso, anche se non ecclesiale verso cui Dio ha scelto di agire facendoli venire verso coloro che vivono la comunione, per prostrasi e conoscere l’amore che Dio rivolge a coloro che rimangono nella comunità.
Le parole di questa esortazione insinuano una certa determinazione laddove il punto centrale e il centro stesso corrisponde non tanto a un’idea o, peggio, ad una ideologia, quanto piuttosto ad una persona, con tutta la sua dignità: il povero. Attorno a lui e alla sua condizione interiore ed esteriore di precarietà esistenziale e materiale, chi sceglie la comunità e la comunione con Dio impara a disegnare il proprio stesso baricentro, come di fronte ad inevitabili squilibri mondiali, relativi cioè “al mondo intero“ e agli “abitanti della terra“. È nella persona del povero che l’amore di Dio si riversa a garanzia della comunione con Lui e tra i fratelli. Vivere il tempo della Chiesa in questa epoca significa riorganizzare il vissuto di tutti in funzione di chi sta al margine per evitare l’indifferenza e l’esclusione come scelte che allontanano i credenti dalla Chiesa stessa e dalla propria comunità. Non si tratta quindi di una questione di secondo ma d’identità: un passaggio ineludibile di fronte al quale ogni battezzato è chiamato ad essere sè stesso fino in fondo.
Con le parole dell’ultimo libro biblico sulla perseveranza “Dilexit te” inizia un programma pontificio che è molto più che pontificio, cioè relativo alla sensibilità di questo pontefice o del suo predecessore, o quella di un altro pontefice ancora; perché è legato al Vangelo, al messaggio di Dio fatto persona, alla “carne dei poveri”. E questo luogo è il punto di incontro e di connessione/Comunione scelto da Dio e, dunque dalla chiesa, che con Papa Leone XIV riprende il passo nel lungo procedere per le epoche storiche, fissando con gli occhi una destinazione e un destino umano, reale e concreto: all’altezza di ciascun credente in Gesù Cristo. È un luogo periferico, una realtà di confine e di margine in cui lo sguardo umano vede una congiunzione tra il destino di Dio e quello dell’uomo: un’occasione unica per continuare a fare comunità, tenda in mezzo agli uomini.