
Per proseguire la nostra riflessione su alcune dinamiche relazionali e spirituali nella vita di coppia prendiamo spunto da un passo del Vangelo di Luca, dove Gesù viene giudicato dai farisei “Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. 15Ma alcuni dissero: “È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni” (Lc 11,14-15).
Gli uomini religiosi interpretano l’agire di Gesù come opera del demonio. Non riesco a superare i loro pregiudizi, stereotipi religiosi; per cui tutto quello che non corrisponde ai loro schemi mentali è giudicato negativamente, addirittura, diabolico.
Piuttosto che guardare la realtà nella sua oggettività caricano gli eventi delle loro interpretazioni, paure, giudizi, ferite, limiti, ideali, pretese. Gesù, infatti, aveva appena liberato un uomo muto afflitto dal male eppure gli uomini religiosi giudicano tale intervento come opera del diavolo, proprio perché non riescono ad accogliere il suo modo di manifestare Dio scevro da vincoli religiosi.
Il Dio rivelato da Gesù è oltre la religione, anzi, spesso è fuori la religione quando essa si pone come gabbia dottrinale che pretende di categorizzare l’agire di Dio all’interno di assunti teologici, senza mettere al centro la dignità umana. L’esperienza di Gesù non è diversa da quella che facciamo noi tutte le volte che subiamo interpretazioni soggettive o le alimentiamo a nostra volta nei confronti degli altri. Questo accade anche all’interno della vita di coppia tutte le volte che ci facciamo un’idea distorta del nostro partner e siamo pronti a interpretare il suo agire secondo le nostre categorie, i nostri pregiudizi, schemi, esperienze, cultura e, soprattutto, paure e voglia di rivalsa, ponendoci come vittime.
Il Vittimismo è atto di deresponsabilizzazione nel perverso tentativo di scaraventare le nostre incongruenze esistenziali sugli altri. Altre volte, invece, assumiamo il ruolo del persecutore oppure del salvatore. Manifestiamo questi meccanismi di attacco e di difesa tutte le volte che non siamo corrisposti nelle aspettative e pretese, accrescendo i nostri pregiudizi verso la persona amata.
Il pregiudizio e le interpretazioni mentali spesso si rivestono di ipocrisia, di una maschera di facciata, dove all’esterno ci mostriamo sorridenti e accoglienti, ma interiormente siamo sepolcri imbiancati, pieni di veleno, di rabbia, odio, invidia, gelosia.
Per guarire bisogna riconoscere la trappola del vittimismo, del pregiudizio per desiderare la liberazione da tale stato relazionale menzognero, falso e giudicante.
Una via di uscita è offerta dal Vangelo, dalla proposta di vita nuova che è Gesù e consiste nel prendere contatto con i nostri demoni interni, con le nostre schizofrenie, coltivando uno sguardo misericordioso, colmo di umile tenerezza, per prenderci cura delle nostre incongruenze; ascoltarle, amarle, assumerle e purificarle attraverso una cura dello sguardo, del linguaggio, dei gesti.
Piuttosto che fidarci dei nostri pregiudizi e delle nostre interpretazioni mentali dovremmo avere l’umiltà di ascoltare il nostro partner, senza proiettare le nostre aspettative, senza calcolare il suo valore in misura dell’utile che ne possiamo trarre a livello affettivo, emotivo, psicologico.
I pregiudizi crescono dentro di noi quando abbiamo paura della diversità. Non c’è autentica relazione d’amore nella vita di coppia senza l’accoglienza incondizionata e non giudicante delle diversità strutturali di ciascuno.
Solo se ci sentiamo amati siamo capaci di amare. I pregiudizi, le interpretazioni soggettive, le incongruenze esistenziali e relazionali, le ipocrisie sono tutte disfunzioni d’amore.
Per esserne guarite bisogna coltivare spazi, tempi, parole, pensieri, letture, relazioni che ci nutrono al bene, al vero, al bello. Il Vangelo è una via di guarigione.
Imparare a guardare la realtà senza giudicarla, ad accogliere il nostro partner così com’è senza idealizzarlo è un processo necessario nel cammino di crescita nell’amore di coppia. Quando idealizziamo carichiamo il nostro partner di un compito gravoso: soddisfare a pieno i nostri bisogni, al punto da dipendere in tutto e per tutto da questo. Il partner diventa oggetto della nostra soddisfazione e non soggetto. L’alterità diventa un ostacolo e si protende a ridurre l’altro all’immagine di sé. Considerare il nostro partner come il nostro salvatore blocca la relazione d’amore perché fa della persona amata il nostro idolo.
Nella Bibbia idolo è un termine che significa scultura, rappresentazione; in greco eidolon significa anche specchio, rispecchiare. Entrambi i significati sono eloquenti perché attestano che l’idolo è una nostra rappresentazione, opera delle nostre mani. Ogni qualvolta ci rappresentiamo Dio e lo facciamo coincidere con le nostre proiezioni, aspettative, deliri di onnipotenza, lo riduciamo a idolo. Lo stesso accade con le persone ridotte a oggetti per il soddisfacimento dei nostri bisogni. Gli idoli sono sempre funzionali ai nostri bisogni e determinano dei legami con le persone e le cose che ci rendono schiavi, ci imprigionano dentro la gabbia d’orata delle nostre pretese egoiche e narcisiste:
“Costruiamo aspettative per fare dell’altro il balsamo delle nostre ferite”.
L’idolo è sempre un errore antropologico oltre che teologico. Non a caso all’interdetto “Non avrai altro Dio all’infuori di me”, corrispondono altri due: “ non prenderai moglie fra i tuoi consanguinei” (Lv 18) e “ non ucciderai” ( Es 20,13). Il denominatore comune di questi tre interdetti è quello dell’immediatezza. L’idolo procura una soddisfazione immediata. Elimina la distanza, elimina l’alterità. IL Dio invisibile diventa visibile attraverso l’idolo. L’inaccessibile diventa accessibile. Così accade al popolo d’Israele che snervato dall’attesa di Mosè decide di costruirsi un vitello d’oro per rappresentare Dio, per oggettivarlo, renderlo tangibile, immediatamente disponibile.Ogni qualvolta non sappiamo abitare la distanza, il vuoto, l’attesa, l’invisibilità di Dio, il silenzio, la distanza, l’alterità, la non soddisfazione…noi cediamo all’idolatria perché cerchiamo di compensare i nostri bisogni in modo immediato e corrispondente alle nostre attese oggettivando le persone, dominandole per avere tutto e subito.
Nella vita di coppia nessuno può essere ritenuto “salvatore” dell’altro; nessuno può corrispondere alla piena felicità dell’altro. Quando la vita di coppia si fonda sulla soddisfazione del proprio bisogno la relazione rischia il fallimento. Perché l’amore non si regge sulla soddisfazione dei bisogni ma è relazione, incontro, viaggio, cammino di reciproca accoglienza delle diversità, senza cedere alla volontà di assorbire l’altro/a se, di spersonalizzarlo, ridurlo a oggetto da usare per la soddisfazione del proprio piacere.
Il piacere nella vita di coppia è importante e riguarda l’intimità, la sessualità, purché non diventi forma egoistica, narcisistica piuttosto che un vero incontro amante tra due persone nel rispetto e nella reciproca tenerezza. Impariamo ad amare non in maniera egoistica e idolatrica ma realmente, imparando dal Vangelo, da Gesù il quale ha rivelato il vero Amore divino capace di liberarci da ogni forma di pregiudizio, attaccamento, idolo, per donare amore gratuitamente. Eros e Agape, Amore per attrazione e Amore per donazione s’intersecano in maniera armoniosa in una vita di coppia sempre meno condizionata dai propri pregiudizi e attaccamenti. Solo il distacco dalla filautia, dall’amore di sé ci permette di amare autenticamente e di lasciarci amare.
Concludiamo con l’inno alla Carità, agape, dell’Apostolo Paolo, per un cammino di liberazione dai nostri pregiudizi, idoli, egoismi, narcisismi: «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.» ( 1 Cor 13,4-7)