Il mese scorso abbiamo ricordato il passaggio del venerato Papa Francesco nella diocesi, avvenuto il 15 settembre del 2018, l’evento è rimasto nella memoria ed è conveniente tornarvi nuovamente. Il discorso, che riprendiamo, egli ce l’ho consegnò con entusiasmo e noi avvertiamo di riprenderlo, in maniera puntuale, nei suoi punti focali. Ritornare al discorso di Papa Francesco è necessario perché ci ha visitato un profeta. Egli, allora ci invitava, in un passaggio del suo discorso ad essere Chiesa sinodale e cioè ad assumere la reciprocità dell’ascolto vero e autentico. E affermava: ‟Vi esorto, pertanto, a impegnarvi per la nuova evangelizzazione di questo territorio centro-siculo, a partire proprio dalle sue croci e sofferenze. […] Vi attende una missione avvincente, per riproporre il volto di una Chiesa sinodale e della Parola; Chiesa della carità missionaria; Chiesa comunità eucaristicaˮ. Egli ci disse che al centro della vita della comunità credente ci fosse la Parola e l’ascolto continuo della stessa e non meno importante diventasse l’ascolto reciproco a ‟partire proprio dalle croci e dalle sofferenzeˮ perché ogni fratello è Parola inedita di Dio.
A tal proposito Mons. Rosario Gisana in un passaggio della sua lettera alla diocesi del’8 settembre scorso afferma: ‟Il confronto con la parola di Dio è un atto di giudizio sul modo come viviamo le nostre relazioni; essa, infatti, discerne i desideri più intimi della nostra esistenza (cfr. Eb 4,12), vagliando e stimolando conversioni che rivelano il senso della figliolanza divina“. Egli sottolinea con vigore che una Chiesa che non scopre la figliolanza divina e non vive la comunione rischia di correre e, correre invano direbbe S. Paolo (Cf. 1 Corinzi 9:26-27). Pertanto, le parole di Papa Francesco risuonano ancora oggi come invito dinamico ad una Chiesa che ha bisogno di ritrovare la sua coesione e unità per rinvigorire, ancora di più, il senso comunitario di sé stessa. Inoltre, solo insieme, come grembo accogliente, le ferite potranno essere scoperte come risorsa purificante sino al punto da poterle alleviare proprio perché diverremo capaci di specchiarci in Maria-Chiesa e madre.
In questo senso solo se capaci dell’ascolto, della storia d’assumere con consapevolezza credente per cooperare con la Grazia – la quale è la presenza di Gesù risorto fra noi – che la performa dal di dentro e la rinnova, saremo Chiesa insieme missionaria, comunità poliedrica che assume la pratica nuova del relazionarsi e agire per diventare, in atto, ciò che la comunità cristiana è per grazia e, così, è chiamata a mostrarsi e operare. Ancora a tal proposito riecheggia il Vescovo nella sua lettera: ‟Essere figli di Dio è una scoperta che si deve all’opera benefica di Gesù, con lo scopo, essendo una chiamata, di illuminare i nostri rapportiˮ. Non possiamo pertanto eluderla, perché verrebbe meno quello che è essenziale nel maturare la nostra identità cristianaˮ. Pertanto, ritorna incalzante la domanda e non è dunque, quella alla fin fine teorica circa il ‟che cosa” significa essere Chiesa sinodale, ma è pratica discepolare, filiale e fraterna dell’ascolto? Sì, l’ascolto reciproco va assunto come metodo pasquale da vivere qui ed ora per lasciarsi fare, dalla Grazia, sempre più figli e fratelli. Il metodo è un criterio – va precisato – da esercitare come conversazione nello Spirito Santo. La ‟conversazione nello Spirito Santoˮ comporta un ascolto reciproco in preghiera, finalizzato al discernimento comunitario e alla comunione sotto la guida dello Spirito Santo. Implica un processo in cui ogni persona condivide liberamente la propria esperienza, ascolta attentamente gli altri e insieme si colgono non i punti chiave emersi, ma la novità che emerge dall’unità – la quale è sempre dono dall’Alto – costruendo un consenso e una sintesi quale frutto dello Spirito che l’abita. In realtà, l’impegno d’assumere è la pratica della ‟conversazione nello Spiritoˮ e ciò implica assumere uno stile e questo non in maniera strategica ma come dialogo che ha radici in Dio Trinità. Tutto questo non solo è senz’altro significativo ma rivela la decisa conversione dell’accoglienza reciproca. Inoltre, nell’articolare una risposta pertinente ed efficace alla domanda sul ‟come” essere Chiesa sinodale va posta la consapevolezza d’essere Chiesa comunità, famiglia di Dio e questa va colta e pensata tutta, nel suo insieme e in missione. Perché si tratta di cogliere e implementare il significato evangelico e le espressioni performative di tale metodo. È solo così che un vero spirito sinodale e una correlativa cultura sinodale possono plasmare con realismo e in profondità – dischiudendo prospettive inaspettate – la vita della Chiesa a servizio dell’avvento del Regno di Dio. E ciò nel tornante epocale della nostra storia: sfidante e drammatico, ma al tempo stesso – lo diciamo nella fede e con speranza in solidarietà con tutti coloro che soffrono, cercano, gridano – promettente luce, giustizia, pace. Se non si dà questo scatto di novità – incipiente e tentativo quanto si vuole, ma effettivo e profetico – si resta sul piano delle pur buone ma in fin dei conti inefficaci intenzioni idealistiche. In realtà si tratta di assumere lo stile di Dio-Amore nell’ascolto e nella reciprocità dell’amore che passa solo per la luce stravolgente della Pasqua. Tale dialogo si fa storia, esperienza solo rinunciando a sé stessi e accogliendo, in maniera prettamente marina, l’altro nella certezza che il ‟Tra noiˮ – lo Spirito Santo che è lo Spirito del Risorto – dischiuda e irradia la luce della novità. Ecco che la dinamica sinodale e questa può raccogliere con cura e ordinare con intelligenza gli orientamenti che da tempo risuonano tra noi; eppure, a questi bisogna ritornare e non come riflusso ma solo come palestra, allenamento di vita evangelica. Il documento finale sul sinodo, infatti, ai numeri 27 e 28 affermano: Esiste uno stretto legame tra synaxis e synodos, tra l’assemblea eucaristica e quella sinodale. Pur in forma diversa, in entrambe si realizza la promessa di Gesù di essere presente dove due o tre sono riuniti nel Suo nome (Cf. Mt 18,20). […] È Lui che assicura l’Unità del Corpo ecclesiale di Cristo nell’assemblea eucaristica come in quella sinodale. ‟[…] La sinodalità è il camminare insieme dei Cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in unione a tutta l’umanità. […]ˮ In questa linea comprendiamo meglio che cosa significa che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa[1].
Ovviamente si tratta di incamminarsi dentro la via che è Gesù, in un cammino di rinnovamento spirituale che è previo delle riforme strutturali imparando man mano a vivere a corpo, nello stile Trinitario dalla quale la Chiesa proviene ed è generata. Solo il metodo dell’amore reciproco, in altri termini renderà la Chiesa più partecipativa e missionaria, rendendola cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce del Risorto. Oggi è necessario riprendere ancora l’invito formulato già undici anni or sono da Papa Francesco: «Siate donne e uomini di comunione, rendetevi presenti con coraggio là dove vi sono differenze e tensioni, e siate segno credibile della presenza dello Spirito che infonde nei cuori la passione perché tutti siano una sola cosa (Cf. Gv 17, 21). Si tratta di vivere la mistica dell’incontro: ‟la capacità di sentire, di ascoltare le altre persone (a motivo di Gesù e in Gesù). La capacità di cercare insieme la strada, il metodo”, lasciandovi illuminare dalla relazione di amore che passa fra le tre Divine Persone (Cf. 1 Gv 4, 8) quale modello di ogni rapporto interpersonale»[2].
Tale invito può sembrare ad un lettore distratto o poco accorto, un invito campato in aria – o se non altro eccessivo e in definitiva utopistico – ma se vogliamo essere onesti l’invito di Papa Francesco ci aiuta a declinare uno stile concreto ed esperibile, nel vivere le relazioni entro la comunità ecclesiale e in dialogo con tutti. In realtà a partire dal luogo di vita inedito ed esigente di cui Gesù stesso è la porta (cf. Gv 10, 7) è la via (Cf. Gv 14, 6). Questo stile non fa altro che donarci la possibilità di amare vivendo lo stesso – pur con le dovute limitatezze e differenze – stile d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In realtà, è questo il «mistero» di Dio in cui la Chiesa è per grazia coinvolta e di cui – insegna il Vaticano II – essa è, in Gesù, il «sacramento» per tutti: il «segno» e lo «strumento», cioè, «dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[3] ed è «dal Battesimo» – nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – che scaturisce l’identità mistica, dinamica e comunitaria del Popolo di Dio, orientata alla pienezza della vita in cui il Signore Gesù ci precede e invia in missione (cf. Mt 28, 18-19) proprio perché è col Battesimo che Gesù ci riveste di sé e condivide con noi la sua identità e la sua missione (cf. Gal 3, 27). Innescando da qui una dinamica di condivisione della vita di Gesù che giunge a pienezza nella partecipazione, attraverso l’Eucaristia, al suo corpo e al suo sangue. Così, la liturgia – «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutto il suo vigore»[4] è contemporaneamente «la fonte della vita sinodale della Chiesa e il prototipo di ogni evento sinodale, facendo apparire ‟come in uno specchio” il mistero della Trinità[5]. Detto ciò, si può affermare che l’identità della Chiesa è innanzi tutto un’identità mistica. Perché radicata in quello che l’apostolo Paolo descrive come il grande mystérion: il disegno d’infinita e universale agápe che sgorga dal cuore del Padre, si manifesta al mondo «nella pienezza dei tempi» nel Figlio unigenito fatto carne e si comunica nel dono «senza misura» dello Spirito Santo, invitandoci e introducendoci nella comunione di libertà e di gioia con Dio e in lui tra noi – persone umane e creature tutte[6]. Questa l’identità in cui s’esprime la missione della Chiesa: la comunicazione del dono straordinario e inesauribile di cui essa già vive, in un’anticipazione vera che urge al compimento. E proprio perché mistica, e cioè radicata ed esprimente il mistero di Dio in Gesù, l’identità del Popolo di Dio è dinamica e comunitaria: cammina e cresce nella storia e si realizza in concreto, nel chiaro-scuro delle cose umane, attraverso le relazioni e le pratiche che vive, come comunità cristiana e con tutti. Perché «una Chiesa sinodale è una Chiesa relazionale, in cui le dinamiche interpersonali formano il tessuto della vita di una comunità in missione, in un contesto di crescente complessità». Si tratta, dunque, di attivare tra tutti e a tutti i livelli «una dinamica reciprocità relazionale persino mistica». Ora, se la Chiesa è – in Cristo e, per lui, in seno alla Trinità – questo profetico «noi», questo «soggetto comunitario e storico» che è chiamato a testimoniare e trasmettere il progetto della comunione di Dio e di tutti in lui. Dunque, si fa chiaro che la forma e lo stile della sua vita che è missione son chiamati a esprimere il mistero di cui essa vive e che è destinata a veicolare. Ecco perché l’ekklesía (l’assemblea dei discepoli di Gesù) è per definizione sýnodos (il loro camminare insieme) ritmato da uno specifico méthodos: e cioè da uno specifico ‟come” nell’orientarsi e procedere lungo il cammino che deve compiere, alla luce del Vangelo, con e per tutta l’umanità. Non si tratta di «una strategia gestionale, ma di una pratica da vivere e celebrare con gratitudine»: perché nella Chiesa si ha a che fare con un dono immenso e gratuito d’accogliere e trafficare responsabilmente per il bene di tutti. Pertanto, perché ciò accada la prima e fondamentale conversione che è chiesta agli uni e agli altri, a tutti, come Chiesa, da attuare con determinazione, fiducia, pazienza e perseveranza, per imparare a custodire e a esprimere nei nostri rapporti, nel discernimento delle situazioni, nell’assunzione delle responsabilità e delle decisioni, e nella loro esecuzione, il modo di pensare e di agire di Gesù. Come l’apostolo Paolo esorta a fare la comunità di Filippi (cf. Fil 2,1ss). In definitiva si tratta di accoglie un dono immenso e viverlo nello stile di Maria. È in questa logica che va assunto l’impegno sinodale e cioè a coniugare con rigore e libertà di spirito la dimensione teologale con quella procedurale del «metodo» sinodale. Maria in tutto questo ci appare come la presenza orante nel cuore della comunità apostolica nel Cenacolo (Cf. At 1, 14) Ella è il modello vivo e guida generativa di un’autentica spiritualità sinodale: in ascolto perseverante e responsabile della Parola e nel discernimento meditativo degli eventi (Cf. Lc 1, 26-38; 2, 19.51), in generosa apertura all’azione dello Spirito Santo (Cf. Lc 1, 35), nella condivisione del rendimento di grazie per l’opera del Signore (Cf. Lc 1, 39-56) e nel servizio concreto e puntuale a ciascuna e ciascuno (Cf. Gv 2, 1-12) che Gesù ha affidato alla sua cura materna (Cf. Gv 19, 25-27). La ‟via” nella quale entrare è Gesù, ma l’andatura con la quale camminare è quella di Maria, – la prima discepola del Figlio e, in Lui, la Madre del suo Corpo vivo, la Chiesa – Ella è iconicamente, e concretamente, il metodo da seguire.
[1] Cf., DFS, 27ottobre 2024, n. 27 -28; CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018, n 1.
[2] Francesco, Lettera apostolica in occasione dell’Anno della vita consacrata, 28 novembre 2014.
[3] Concilio vaticano II, Lumen gentium, n 1.
[4] Id. Sacrosanctum Concilium, n. 10
[5] Cf., 1Cor 13, 12; Cf. Dei Verbum, n. 7
[6] Cf. Id. n 2.
