
La follia di un dittatore, succube di un altro folle e sanguinario dittatore, che pur di concretizzare la loro avidità di potere, non esitano a mandare, nel gelido inverno russo, degli uomini, molti dei quali, non avrebbero capito il perché di quella assurda, parossistica, guerra, di quell’assalto vigliacco che fu ribaltato a Stalingrado, segnando il principio della fine del nazifascismo. Ma quanti uomini, lasciarono la pelle, nel gelo di quelle lande, dove ululava, greve, il vento e tuonava l’artiglieria. Ed è l’Odissea di uno di questi uomini, un figlio dell’entroterra siciliano, della sperduta Enna, da meno di vent’anni divenuta provincia, ma rimanendo un borgo di contadini montanari, che Paolo Fulco, con grande abilità narrativa, racconta nella terza pubblicazione del suo cammino letterario, “Fuga dalla terra russa” . E lo fa con talento, rispettando i canoni letterari e dando al lettore la sensazione di essere con il protagonista di prima fra le campagne ennesi a pascolare le pecore, poi a fidanzarsi e, infine, a salire su quella maledetta tradotta che lo porterà nei ghiacci metaforicamente “eterni” di una terra ostile dove il tenente lo guida all’assalto per uccidere il proprio fratello, reo, soltanto di portare una giubba di diverso colore. E Peppino, il protagonista, ispirato ad una storia vera, si ritrova in quell’inferno, morto di fame e senza scarpe, tanto da cercare di toglierle ad un commilitone apparentemente morto, per calzarle lui. Ma quando si accorge che le scarpe gli stavano piccole, scopre che l’uomo respira e allora fa di tutto per salvarlo. Il soldato è un giovane di Enna, Mario, con il quale si conoscono. Se lo carica sulle spalle fino a quando incontrano una colonna italiana in fuga che, tuttavia, ha spazio per una sola persona. Qui, avviene il miracolo: Peppino, che era entrato perfino in una casa di gente del luogo e per sfamarsi aveva razziato delle patate, togliendole ad una vecchietta e ai suoi nipotini, probabilmente orfani, si sacrifica per il commilitone e lo fa salire sul camion dandogli una speranza di salvezza mentre lui riprende il suo disperato cammino di fuga verso la vita che sente, sempre più, fuggire dal suo corpo. Non sa quale sarà il suo destino, pensa che sia tutto finito ma segue la strada ferrata fino a quando non sale a bordo di un treno di fuggitivi italiani e fa rientro ad Enna dove ritrova Mario, il commilitone che aveva salvato e si sposa, ma quei ricordi non andranno mai via dalla sua memoria e spesso in vita sua si chiederà il perché di quella guerra. E noi ci chiediamo il perché di tutte le guerre, del genocidio a Gaza, dei crimini di guerra in Ucraina, del fatto che spietati mercanti italiani forniscano di armi i teatri di guerra di tutto il mondo mentre i politici fingono di opporsi. Il libro di Paolo Fulco in questo momento va letto e meditato, perché serve a far pensare il lettore sull’inut
ilità di ogni guerra, mentre, prima Papa Francesco e adesso Papa Leone, ma anche i pontefici loro predecessori, hanno speso fiumi di parole per la Pace. Il volume è edito da Maurizio Vetri.