
L’esperienza di un anno giubilare riguarda tutti coloro che hanno il desiderio di avvicinarsi a Dio sia con gesti compiuti nell’incontro con Lui, sia con il desiderio nei Suoi confronti, l’afflato che abita il cuore di quanti lo cercano “sinceramente”. Spesso nelle preghiere recitate durante la celebrazione eucaristica si ricordano tutti coloro che cercano il Signore “con cuore sincero” e il tempo del giubileo è dedicato proprio ad essi, che come uno specchio riflettono l’ansia di tutto un mondo alla ricerca di un incontro con il Signore, come anche riflettono il dono che Dio stesso fa di quella “sana inquietudine” con cui l’uomo da sempre si muove verso di Lui.
La sincerità è una nota essenziale dell’animo dell’uomo che, in un tempo opportuno, può trovare delle facilitazioni per sviluppare il desiderio dell’incontro nella realtà stessa, nella quotidianità: realtà che riguarda più persone e che traduce l’esigenza di condividere con qualcuno la delicatezza dell’amore. Non che ci siano tempi inopportuni perché Dio s’incontri con la gente anzi, «Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità» (Sal 145,8); dalla prospettiva dell’uomo, invece, è opportuno quel tempo in cui il cuore conosce predisposizioni adatte a fissare gli occhi nella direzione di Colui che sta sempre vicino, anche se in modi differenti da quelli delle altre creature e persone.
Il tempo in cui la sincerità dell’anima restituisce sentimenti genuini, spontanei e veri è il tempo della rinascita, quello che nella Parola di Dio viene ricordato come il tempo di una cosa nuova. Il profeta Isaia, ne parla quando scrive: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.» (Is 43,19).
Quello che nella tradizione ebraica era il tempo sabbatico del condono e del ripristino delle condizioni minime per la convivenza tra i figli dello stesso popolo ai fini di una produzione efficiente dal punto di vista economico e amministrativo, oggi trova nel contesto di una chiesa sinodale il dinamismo necessario per diventare tempo di sosta, di incontro e di dialogo. Fermarsi per incontrarsi ed incontrarsi per dialogare sono i passaggi che l’istituzione giubilare propone alle comunità perchéal loro interno ciascuno possa ritrovarsi con Dio e tutti possano condividere tra loro gli effetti del rapporto rinnovato con il Signore. Sicuramente non è un caso che il percorso sinodale abbia concluso il proprio cammino nel 2024, a distanza di alcuni mesi dall’inizio dell’anno santo del 2025; e non è un caso che la realtà di una chiesa “ridimensionata” nei numeri e nella partecipazione, abbia adesso la possibilità di riflettere, fermandosi e confrontandosi sia con il Signore che con il numero totale dei fratelli, pochi o molti non importa.
La cosa nuova profetizzata da Isaia riguarda il popolo che avrà un nome nuovo (Is 62,2) e cieli nuovi e terra nuova (Is 65,17), ma soprattutto riguarda il canto nuovo (Is 42,10) che il popolo canterà al Signore per non dimenticare di esprimersi ed esternare la bellezza della novità vissuta. «Cantate al Signore un canto nuovo, lodatelo dall’estremità della terra; voi che andate per mare e quanto esso contiene, isole e loro abitanti» (Isaia 42,10). Basterebbe questa espressione profetica perché la nostalgia delle incrostazioni di canti, preghiere, espressioni verbali, allocuzioni e pie movenze, che molto spesso agita gli animi di chi rifiuta il cambiamento interiore che il tempo dell’incontro tra la storia e lo Spirito di Dio provocano, vada in pensione senza tentennamenti; e perché il suono della novità si diffonda nelle comunità e, attraverso le comunità, nel pianeta circostante. E basta questa espressione per comprendere che il termine “Giubileo” prende il nome da iobel, ovvero dal corno di ariete usato per indicare, nella tradizione ebraica, il Giorno dell’espiazione (Yom Kippur); e per questoè un corno d’ariete, non di cervo o di toro:perché ricorda l’animale del sacrificio sul monte Morià che Abramo fece quando riebbe salvo il proprio figlio, Isacco, nel giorno in cui Dio mise alla prova la sua fede (Gn 22,1-19). La fine di una prova essenziale con la “resurrezione” di Isacco, che per Abramo ormai era destinato alla morte almeno nella parte più profonda della sua anima, è fissata dunque in un suono, in un canto nuovo. È il suono che ribadisce l’incontro tra due persone precise, Dio e Abramo, avvenuto ancor prima di salire sul monte; ed è il suono che fissa nello spazio e nel tempo il ricordo dei prodigi che il Signore ha fatto davanti a tutto il popolo, rappresentato dalla presenza “nuova” di Isacco.
Oggi, alle soglie del 2025,la comunità cristiana ha l’opportunità di essere presenza “nuova” nel mondo: una presenza che risuona attraverso l’esperienza sinodale, laddove “sinodale” vuol dire anche liturgia e cerimonia, ma non solo; perché soprattutto significa incontro di fraternità e di catechesi, istruzione, comprensione, approfondimento, propedeutico ad una evangelizzazione che si rivolga a tutto l’uomo: sentimenti, intelligenza, passione («spirito, anima e corpo», direbbe Paolo in 1Ts 5,23). Laddove “sinodale” e “sinodalità” riguardano anche la riscoperta del ministero nella liturgia, ma soprattutto sonodialogo nella verità studiata, approfondita e condivisa nelle comunità, non sui social o giusto per fare accademia. Il mondo attende il canto nuovo della comunità cristiana che è accoglienza libera e vera di ogni uomo. La gente spera in un modo nuovo di relazioni: relazioni fraterne, amiche e cristiane; a partire dalle comunità che dicono di essere cristiane, ma che rischiano la povertà della gioia proprio come chi ha perso la speranza.