Jacqueline Monica Magi è giudice penale del dibattimento al Tribunale di Pistoia ed è anche Presidente onorario della nota associazione contro la violenza verso la donna, intitolata alla compianta Anna Maria Marino, sua madre, partigiana e dirigente della Cgil. L’abbiamo intervistata.
Ha mai celebrato processi riguardanti, anche di riflesso, il fenomeno mafioso?
Ho fatto solo delle misure di prevenzione, relativamente alla camorra e alle sue infiltrazioni nel territorio di Prato in seguito ad una grossa indagine della Guardia di finanza, la quale accertò che all’interno della gestione di alcuni locali notturni della provincia di Prato si era infiltrata la camorra che riciclava il denaro proveniente da illeciti. I camorristi acquistavano una serie di ristoranti nella provincia di Prato ma anche in quelle di Firenze e di Pistoia. Insomma, in questa zona della Toscana applicammo una misura di prevenzione e si sequestrarono circa 41 milioni di euro tra merce ristoranti e negozi. Contemporaneamente la DDA dispose anche delle misure di custodia cautelare.
Se dovessimo fare una comparazione fra le infiltrazioni mafiose, chiamiamole camorristiche, chiamiamole ‘ndrine, chiamiamole cosa nostra, dalle vostre parti, con quelle presenti nel Meridione e in particolare in Sicilia, quale differenza vede? Ci spieghiamo meglio: ormai la mafia è una e lascia il tempo che trova. Dire che essa è solo in Sicilia è un luogo comune. E’ infiltrata dappertutto, soprattutto nel Nord Italia anzi forse di più. Agisce nel Nord Italia rispetto alla Sicilia perché la Sicilia è povera, invece da voi c’è più benessere, quindi è più facile per i mafiosi andare a caccia di denaro tra imprenditori e commercianti.
E’ così, come le ho già detto, ci rendemmo conto che una catena di ristoranti e una catena di negozi di abbigliamento erano praticamente gestiti dalla camorra quindi , quando si vede, non so, un negozio, un ristorante che cambia spesso gestione vi è un riciclo di soldi che proviene da attività estorsive o di spaccio.
E le mafie straniere?
Purtroppo ci siamo scontrati con altre forme di mafia come quella nigeriana e quella albanese dove è frequente la tratta delle donne. Quando ero ancora PM abbiamo fatto dei processi per la tratta delle nere ma anche quella delle bianche perché praticamente ci rendemmo conto che la prostituzione, quella di strada, era gestita dai nigeriani e dagli albanesi. Ora non so più la situazione perché di questi processi non ne ho visti più, però per un periodo ce ne sono stati molti soprattutto per quella che è la mafia nigeriana con la tratta delle nere che nei luoghi di origine, quindi in Nigeria, promette alle famiglie delle ragazze di portarle in Europa per fare lavori di baby sitter, cameriera, infermiera, badanti, e invece poi, quando arrivano qui le buttano sulla strada. Tra l’altro le famiglie ricevono dei soldi. Io avevo trattato in un libro che ho scritto “Le donne dell’articolo 18” ( ndr della Legge Bossi Fini) avevano anche pubblicato un contratto regolarmente registrato in cui la famiglia aveva ricevuto 30.000 € e il contratto medesimo era regolarmente iscritto al registro. Esso statuiva l’invio della propria figlia in Europa. Chiaramente quando poi queste ragazze arrivano in Europa invece si ritrovano sulla strada e dovevono pagarsi l’alloggio, il cibo, il posto sul marciapiede e rifondere i 30.000 € dati alla famiglia, quindi non finivano mai di pagare debiti e sono schiave sottoposte a quella che in nigeriano si chiama “medam” e la stessa cosa succede con la tratta delle bianche con gli albanesi. Ho fatto parecchi processi del genere ma non ne ho più visti ultimamente anche perché la prostituzione di strada è molto diminuita perché c’è stata una grossa campagna contro di essa.
Un episodio: ricordo una ragazza rumena diciassettenne che riuscì a raggiungere la caserma dei carabinieri e raccontò appunto che era stata rapita da degli albanesi in Romania mentre camminava per strada ed era stata portata a piedi attraverso tutta la Jugoslavia e il Montenegro, poi era stata venduta nel mercato di Valona dove in un sobborgo del porto c’era proprio una specie di stanzone spoglio. Qui queste ragazze nude venivano vendute come schiave a chi le portava poi col barcone in Calabria in Puglia e dalla Puglia poi risalivano in treno fino al Nord per fare le prostitute. Lei era stata molto in gamba perché dal primo cliente che si era presentato si era fatta accompagnare alla caserma dei carabinieri e aveva raccontato tutto. A protezione delle donne c’è l’articolo 18 della Bossi Fini per cui queste donne vengono prese sotto protezione gli viene cambiato luogo di abitazione, nome sul passaporto e dato un lavoro perché possano sfuggire alle rappresaglie di queste organizzazioni mafiose internazionali.
Lei è presidente onorario dell’associazione “Anna Maria Marino” quindi è attivamente impegnata nella protezione di donne che subiscono violenza. Immaginiamo che avrà avuto anche da fare con donne che hanno subito violenza ad opera di uomini che fanno parte di queste di queste organizzazioni criminali come mafia,camorra, ndrangheta, sacra corona unita e mafie straniere.
Si, ci siamo raccordati con le istituzioni che ce le hanno affidate nei casi che le ho appena raccontato e abbiamo dato e diamo loro supporto psicologico e materiale.
Cosa pensa della contaminazione che c’è fra il mondo degli affari, di pezzi della politica, con la mafia dei colletti bianchi e con la massoneria? Oggi la mafia si è spostata, non spara, si è inquadrata nel mondo degli affari. Qual è il suo pensiero in merito a ciò?
In generale il discorso che vale per la mafia dei colletti bianchi o per la mafia economica e per tutti i tipi di mafia è quello che a monte c’è un problema sociale di mancanza di valori. Noi cerchiamo di andare nelle scuole per far capire ai giovani che vi sono dei valori tali per vivere la vita e che non è il caso di bruciarsi in quelle che possono essere attività che compromettono la vita stessa. Quello che manca praticamente quando si sviluppa qualsiasi tipo di mafia è un tessuto sociale saldo ovvero una serie di valori sociali alti a cominciare dalla famiglia e dalla scuola. Un tempo c’era l’oratorio e delle agenzie sociali che ora non esistono più come non esiste più lo stato sociale. L’associazionismo, per esempio, ha preso il posto di quello che era lo stato sociale di un tempo, noi dobbiamo supplire anche a tantissime nuove povertà che sono in grande aumento e gli assistenti sociali riescono a fare poco, è tutto affidato alle associazioni come Caritas Croce Rossa o come la nostra e come altre che collaborano con noi in rete. Quello che manca, inoltre, è l’ascolto, infatti, la principale attività della nostra associazione è un telefono d’ascolto acceso 24 ore al giorno perché quello che manca è l’ascolto delle persone, dei giovani degli anziani, quindi bisogna ovviare proprio ad un problema sociale di mancanza di valori sani a cui non si sta rispondendo nello Stato e nella Chiesa. E’ necessaria un’inversione di tendenza.
