
Da pochi giorni abbiamo ricordato il passaggio del venerato Papa Francesco nella comunità diocesana. Da allora sono trascorsi ben sette anni; era infatti il 15 settembre del 2018 e l’evento rimane impresso indelebilmente nella memoria della città di Piazza Armerina e di tutta la diocesi. Chissà per quale ragione fu scelta tale data, forse per calendario papale oppure per commemorare il martirio del Beato Pino Puglisi, visto che subito dopo il Papa raggiunse la diocesi e città di Palermo. Eppure, dentro questa data vi si possono leggere alcuni segni che dicono la misteriosa provvidenza di Dio-Amore che nulla mai lascia al caso. Il 15 settembre è la festa di Maria Addolorata e superando un certo pietismo, bisogna cogliere nel passaggio del vicario di Cristo, che venne a confermarci nella fede, proprio nel giorno della sua festa, una sottolineatura; sì, è necessario cogliere in Lei, Maria, il segno di una Chiesa chiamata a lasciarsi fare madre sempre più, uniformandosi a Cristo. Egli dalla croce, col suo grido di dolore e con i segni, sgorgati dal cuore, come il sangue e acqua, (segni del parto) ci ha generati figli donandoci lo Spirito Santo. Mentre Maria cooperando con il Figlio si è lasciata lacerare il cuore, anzi direi che è avvenuto uno scambio di cuori. Ella, come martire, (sia come martire, consumata dall’amore per il figlio sia come testimone dell’amore) ha consumato il suo cuore accogliendo in dono il cuore di Gesù e in Lui, Gesù, con cuore aperto e dilatato ha accolto tutti come figli. In Lei si è realizzata la parola di Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo” (cf Ez. 36,26-27). Pertanto, la Chiesa come comunità di credenti è chiamata a vivere la reciprocità dell’amore come la reciprocità che fu vissuta tra Gesù e Maria, come madre e sposa; così bisogna vivere la reciprocità dell’amore tra pastori e popolo di Dio e come comunità nel suo insieme. La Chiesa è chiamata a recuperare il senso di comunità con il senso d’appartenenza, così da divenire grembo accogliente per un territorio ormai smarito e ingabbiato solo nel ritualismo devozionale e pietistico.
L’altro segno può leggersi nel Beato Puglisi il quale in anni precedenti, nella qualità di direttore dell’Ufficio Vocazionale Regionale, veniva a Piazza a presiedere l’incontro che si tenne proprio il 15 settembre. Noi siamo un popolo che venera come patrona Maria Santissima delle Vittorie e in altri tanti comuni si ha come patrona e compatrona la Madonna; pertanto, siamo chiamati a vedere in Lei la madre non solo per lasciarci abbracciare e amare, ma altresì per imitarla e vederla come modello, in Lei è nascosto il nostro dover essere che potrà alimentare le vocazioni. La vocazione in verità è solo la vocazione alla vita, la quale si realizza trovando nella comunità credente sollecitazioni che abbiano lo spessore luminoso della luce di Cristo che illumina i granelli del profondo, i quali sono attivati dal clima lucente e caloroso della comunità stessa. Quel giorno fu emozionante nell’accogliere il Papa e non possiamo dimenticare quando ci consegnò; ci parve così aderente alla realtà del momento che avvertimmo amore, incoraggiamento e speranza. Vedere le nostre strade colme di fedeli, la gioia negli occhi della gente, il calore di una comunità intera stretta attorno al Santo Padre è stato un momento indimenticabile. Ma non possiamo solo averne un ricordo emotivo, siamo chiamati a ritornare al suo discorso, che mi pare sia stato molto aderente a quanto vivevamo allora e viviamo oggi, per rintracciarne le linee che potranno aiutarci a vivere da figli e fratelli.
La storia di Piazza e dell’intera diocesi è stata segnata da quell’evento ed esso non può passare come un fatto solo storico. Nel discorso, che Papa Francesco rivolse alla diocesi di Piazza Armerina, ringraziando per l’accoglienza, egli riconobbe le difficoltà sociali e culturali che affliggono la comunità siciliana, come lo sfruttamento dei lavoratori e l’emigrazione, che sta svuotando i diversi comuni del nostro entroterra. Egli esortò la Chiesa locale a una nuova evangelizzazione, partendo proprio dalle sofferenze del territorio e vedendo in esse le ‟piaghe del Signoreˮ. Il Pontefice propose un modello di Chiesa fondato su tre pilastri: sinodalità e Parola, carità missionaria, e comunità eucaristica, incoraggiando l’ascolto reciproco, la lettura quotidiana del Vangelo e un servizio concreto ai bisognosi, agli anziani e ai giovani. Sottolineo l’importanza di una carità che non sia mera filantropia, ma che agisca sulle cause del disagio, e raccomandò ai sacerdoti di porsi al servizio del popolo con pazienza e compassione. Concluse affidando la diocesi alla Vergine Maria e chiedendo preghiere per sé, estendendo la sua benedizione a tutti i presenti e ai loro cari, inclusi i nemici. Credo che sia necessario ripartire dai punti salienti e affrontarli, sviscerando in profondità, punto per punto, per non perdere la ricchezza profetica del passaggio Papale. Andando per ordine, Papa Francesco, avendo saputo che la nostra comunità aveva celebrato il bicentenario della Diocesi e avendo scelto di darsi come criterio l’approfondimento della Parola attraverso la Lectio Divina esortò l’intera comunità a ripartire dalla Parola per una nuova evangelizzazione. Chiese che la comunità fosse tutta missionaria e che tale missione fosse avvincente, integrante e coinvolgente, partendo proprio dalle croci e sofferenze del territorio. Ancora oggi l’intera comunità è invitata a essere parte attiva di questa missione, con un impegno condiviso di evangelizzazione. Evidentemente si tratta di essere disponibili alla conversione piena nell’oggi della storia. Allora chiediamoci quale idea di evangelizzazione ancora persiste nella prassi di oggi? Se siamo seri dobbiamo ritornare al documento Evangelii gaudium dello stesso nostro pontefice, Francesco e quali priorità sono necessari oggi. Pertanto, ci chiediamo cosa bisogna intendere per ‟conversione” e per “missione”? Evangelii gaudium usa questa espressione in diversi contesti ma soprattutto nei nn. 25-33 dedicati alla ‟pastorale in conversione”. L’espressione si riferisce all’azione ecclesiale, alle sue strutture e ai suoi soggetti; significa attivare il soggetto ecclesiale perché si apra alla testimonianza dell’amore di Dio verso gli ultimi. Conversione si comprende meglio con l’analisi del termine ‟riforma”; termine anch’esso presente prevalentemente nei nn. 25-33 nei quali si mette in collegamento il rinnovamento delle strutture (la parrocchia, la organizzazione della Chiesa locale e della predicazione) con la fedeltà a Gesù Cristo. Questa espressione non rappresenta una novità perché fu già usata da San Paolo VI. La ‟missione come riforma” è via principale della missione della Chiesa. La comprensione della ‟conversione missionaria” di Evangelii gaudium come questione di testimonianza del Vangelo si arricchisce molto se si chiarisce in primo luogo il valore della espressione ‟evangelizzazione”. Il vocabolario della evangelizzazione (Vangelo, evangelizzazione, annuncio, kerygma, dottrina) struttura il compito missionario individuato da Evangelii gaudium. Il processo di evangelizzazione si compone di Vangelo, di annuncio e di kerygma. Questo annuncio è la base-fondamento della progressione performativa dei credenti; diventa catechesi kerygmatica e mistagogica ma anche impegno sociale. Il Vangelo non esclude la dottrina ma non ne fa il suo centro interpretativo che, invece, rimane la comunicazione della gioia. Sì,della gioia che diviene segno della Pace vera e non secondo le logiche del mondo, ma pace che accade creando le condizioni relazionali per una comunione reale e vera. Solo se si accoglie come dono dall’alto possiamo dire che essa è la Pace di Cristo. Ecco perché, facendo eco alla lettera pastorale del nostro vescovo Rosario Gisana per il nuovo anno pastorale che si sta iniziando, l’impegno della nuova evangelizzazione è riformare noi stessi e costruire la pace, è – come sottolinea ancora Mons. Rosario Gisana – «vivere l’essere figli di Dio, per cui è importante che la virtù della pace ‟regoli i nostri rapporti – ancora scrive il Vescovo – essa ci aiuta a riconoscerci fratelli e sorelle in quella consanguineità spirituale, ben delineata da Paolo in Ef 2,19: “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19)». Per cui l’impegno principale è appunto quello di costruire la pace perché in questo modo si impara a essere discepoli di Gesù nelle relazioni, le quali diventano il segno che si è obbedienti alla Parola del Signore e si è guidati dallo Spirito Santo. La missionarietà della Chiesa di cui dicevamo ha come fonte e ultima possibilità la missione del Figlio di Dio. Ecco perché l’agire e operare dei discepoli di Cristo necessita la conformazione a Lui come figli, nel Figlio, dell’unico Padre. Solo la fraternità quale accoglienza dell’unità di Dio rende la Chiesa veramente missionaria. Scrive von Balthasar: «La missione di Cristo è nella sua archetipicità – in quanto identica con il personaggio – il luogo da cui possono essere trasmessi ruoli o missioni (come carismi) personalizzanti ai soggetti spirituali umani» . Questa missione universale del Figlio è però una ‟missione trinitaria”, assunta in obbedienza, nella morte, per la riconciliazione del mondo con Dio. Di conseguenza, la trasmissione non riguarda semplicemente i ruoli, ma coinvolge l’uomo in una partecipazione attiva come risposta alla oggettività della fede. Difatti, «la rivelazione del Dio trinitario e la distribuzione dei ruoli ai coagonisti umani non sono, in Gesù Cristo, funzioni separate; perciò, quelli che in forza del suo centrale ruolo personale sono riforniti di ruoli personalizzanti ricevono parte anche alla sua funzione rivelatrice» . Così la missione ecclesiale si configura, in ultima analisi, come missione in Trinitatem. Si potrebbe dare questa chiave di lettura al mandato gesuano che troviamo in Matteo: «Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19). La missionarietà della Chiesa indica una caratteristica legata alla sua stessa identità. «[la missione è] l’essenza sostanziale della persona nella sua terrestre fenomenicità» . Tuttavia, si rischia una riduzione fenomenica del soggetto-Chiesa e della sua missione se si prescinde dalla sua identità teodrammatica, anzi è lì che Dio abita, nella realtà dell’umano perché né ha fatto la sua carne. Egli con l’incarnazione, ha assunto il dramma, il grido dell’umanità perciò la abita ed è sempre con essa (cf. Mt. 28, 20). Pertanto, la persona teologica della Chiesa va intesa a partire dal suo prototipo, che è Maria ed avendo un ‟carattere” mariano, «la missione della Chiesa ha tre espressioni essenzialmente femminili: la verginità, la sponsalità, la maternità». La Chiesa-Maria: è vergine se abbandona le logiche del sospetto e del giudizio mondano ed apre la via all’ospitalità degli uni con gli altri, (sia nella realtà intersoggettiva sia nella realtà aggregativa, accogliendo il carisma dell’altro come il proprio in una dimensione relazionale dei diversi carismi); è sposa se il suo vivere è ancorato a Cristo, il quale diviene fondamento della reciprocità nell’amore che la rende capace di nuova attrattiva; è Madre se impara a generare nell’amore, libero e liberante, quanti a lei desiderano legarsi in profonda appartenenza. In altri termini, come l’intende il teologo von Balthasar, è Chiesa missionaria, in quanto in essa la Parola di Dio si fa carne, storia e in una vera e trasformante azione salvifica permea, con la creatività dello Spirito, il quale soffia sulle ossa inaridite di oggi (cf. Ez. 37, 1-14). Di conseguenza, essa è Luce delle genti (sapendo che la Luce le proviene dal Cristo) e Gesù è l’evangelizzatore attraente. Ella «è solo un mezzo, un raggio che dall’Uomo-Dio si diffonde per tutti gli spazi mediante l’annuncio, l’esempio e l’imitazione di Cristo»4
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[1] H. U. von Balthasar, Teodrammatica. Le persone del Dramma, vol. 3, 234-236.
2 Id., Teodrammatica. Le persone del Dramma, vol. 3, 241.
3 Id., Teodrammatica. Le persone del Dramma, vol.2, 290 La Chiesa vive in una tensione verso l’esterno, cioè in un “movimento centrifugo” – espressione cara agli scritti di von Balthasar. Il movimento “centrifugo” è contrario a quello “centripeto” della sinagoga e di Israele. (Cf. Id., Esperienza della Chiesa in questo tempo, 19; Cf. Id., Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono, 119.) Se è vero che l’esperienza immediata di questo movimento è il trascendimento verso il mondo, tuttavia, più reale ancora è l’evento della sua ultima possibilità, cioè il trascendimento della Chiesa verso il Signore, nel cuore della Trinità stessa. La questione identitaria della Chiesa in rapporto alla missione si legge in un altro luogo: «Si dà Chiesa soltanto se essa è pronta a superarsi missionariamente verso il mondo, in uno spazio in cui essa troverà spermata pneumatika». (Id., Teologica. Lo Spirito della Verità, 329-330.)
4 Cf. H. U. von Balthasar, Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono, 158.