17 Agosto 2025

Triste riflessione di Ferragosto

di Mario Antonio Filippo Pio Pagaria

Ero appena uscito dalla messa, erano le 19,30 circa del 23 maggio 1992. Un conoscente, con un ipocrita faccia da circostanza, passando con la macchina, si accostò e mi disse: “Hai saputo?”. “Cosa?” – gli  risposi. “Hanno ucciso Giovanni Falcone”. Allora, facevo, ancora per poco,  parte della Rete, il  Movimento per la democrazia, fondato da Orlando, ma già cominciavo a dissociarmene,  dopo gli attacchi che  Orlando stesso aveva mosso a Falcone in Tv da Maurizio Costanzo. Al sentire quella notizia mi vidi crollare il mondo addosso; capivo in quell’attimo che tutto era finito. No, non sapevo che tutto stava soltanto per iniziare, ma in negativo. Stava per iniziare una lotta donchisciottesca contro i mulini a vento. Stava per finire, difatti, la  mafia delle bombe, ma  di lì a qualche anno, si sarebbe consolidata quella dei colletti bianchi, saldamente alleata con la massoneria e con parte del mondo politico. Con il massacro di Capaci e dopo 57 giorni,  la preannunciata carneficina di via D’Amelio, il braccio militare della mafia aveva segnato la sua fine.
Palermo tremava e non soltanto per i contraccolpi delle bombe; tremava la sua gente perbene perché intuiva che la Sicilia, stava precipitando in un baratro dal quale non sarebbe più risalita. Tremava l’Italia intera perché spariva quell’agenda rossa, che forse avrebbe svelato tante verità. Non volli partecipare ad alcuna delle manifestazioni che furono organizzate da partiti politici e sindacati  vicini  alla DC o associazioni varie. Improvvisamente sembrava che tutti quanti, tanto per mutuare Leonardo Sciascia,  si fossero votati all’antimafia quali  professionisti della stessa.Tanti fluttuavano e sguazzavano sui fiotti di sangue di coloro i quali avevano dato la vita per una Sicilia, per un’Italia  migliori. Quattordici mesi dopo, il 15 settembre ’93, anche la Chiesa avrebbe pagato il suo prezzo, con l’esecuzione di padre Puglisi, in risposta alla forte  presa di posizione  di Giovanni Paolo II nel maggio di quello stesso anno, quando dalla Valle dei Templi ad Agrigento tuonò contro la mafia. Dopo le stragi, decine  e decine di notiziari,  dove i flagellatori e i crocifissori urlavano: “Davvero costui era il figlio di Dio”. D’improvviso, coloro i quali erano stati persecutori diventarono apologeti di una fede che fino ad allora avevano abiurato, che fino ad allora avevano sconfessato.
Sono passati trentatré anni da allora e ancora oggi appaiono sui muri le foto dei due magistrati eretti a icone di una società che non è affatto cambiata, di una politica che non è affatto cambiata, fatta di demagogia e di frasi fatte, di gente che si prepara alle varie elezioni promettendo a destra e a manca oro e argento e  ponti  sullo Stretto, foraggio sicuro per i riscossori di pizzo e di appalti, mentre questa Sicilia va sempre più a fondo, con le sue strade e le sue ferrovie e i suoi ospedali colabrodo, mentre questa Sicilia patisce giorno dopo giorno, il ripetersi di quelle stragi, nella gente che va via o nella gente che va ad inginocchiarsi presso il burattinaio di turno per elemosinare un posto di lavoro, in un concorso, possibilmente truccato. E sono gli stessi che parlano di rinnovamento e di liberazione dal sistema marcio. Imperversa la corruzione, politici di maggioranza e opposizione, indagati e/o rinviati a giudizio. E poi il teatrino. E poi, eccoli, tutti presenti alle commemorazioni, con immane sfacciataggine , con facce che non conoscono la mortificazione, a dire bugie su bugie. Ma non può e non deve affatto finire così, vogliamo crederci; vogliamo pensare ancora una volta che questa montagna di fango, possa essere  dal profumo del riscatto, quello vero che potrà avvenire soltanto attraverso la matita copiativa e l’azione di una Magistratura che deve essere legittimata dal popolo.

 

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