11 Agosto 2025

San Lorenzo, martire: “Assum est, versa et manduca”.

Il patrono di Aidone

di  Nino Costanzo

Ogni anno, tra la fine di luglio e di agosto, durante la propria orbita la Terra attraversa uno sciame meteorico costituito da un insieme di frammenti lasciati dal passaggio della cometa Swift-Tuttle: ecco perché si verifica la nota pioggia di meteore. La tradizione vuole che la notte di maggiore intensità del fenomeno sia la notte di san Lorenzo, cioè il 10 agosto, sebbene, in realtà, la pioggia di meteore raggiunga il massimo livello intorno al giorno 12. Le Perseidi, così gli astronomi chiamano le meteore perché sembrano provenire dalla costellazione di Perseo sono dette in modo popolare stelle cadenti o, più poeticamente, “lacrime di san Lorenzo”. Questa manifestazione di solito si osserva in zone prive di inquinamento atmosferico e luminoso, come la montagna, o il mare, o la campagna e se il cielo è privo di Luna, la cui luce rende il fenomeno del tutto irrilevante. Le stelle cadenti sono bolidi originati dai meteoriti che, precipitando nell’atmosfera terrestre ad altissime velocità, sono resi incandescenti dall’attrito con l’atmosfera terrestre. Secondo la tradizione popolare, quando si vede una stella cadente, si esprime un desiderio che, forse, sarà esaudito in breve tempo. San Lorenzo è venerato da tutte le chiese che ammettono il culto dei santi, con attributi: graticola, palma e dalmatica (paramento sacro); e patrono di: cuochi, librai, bibliotecari, pasticcieri, pastai, pompieri, pasticceri, lavoratori del vetro e diaconi permanenti. Secondo le scarne note biografiche su Lorenzo, egli nacque nel 225 in Spagna in una piccola città aragonese adagiata alle pendici dei Pirenei e chiamata Osca. La famiglia di Lorenzo, illuminata e benestante, lo mandò da ragazzo a Saragozza, dove il giovane completò gli studi teologici e umanistici: in quella città uno dei suoi insegnanti era un uomo di origine greca, molto apprezzato per la sua sapienza e ritenuto uno dei migliori della città. L’insegnante sarebbe poi diventato papa con il nome di Sisto II e tra loro nacque una grande amicizia che durò per tutta la vita. Lorenzo era un giovane altruista e gentile, di grande intelligenza e sensibilità. Molto studioso, si distinse sempre e tra l’insegnante (il futuro Papa) e l’allievo l’amicizia divenne sempre più importante, soprattutto per le comuni scelte di vita che li univano grandemente. Il loro sogno più ambizioso era quello di recarsi nella “città eterna”. Roma, il punto focale della cristianità, dove Pietro aveva stabilito la sua sede; era lì che il futuro papa e il prossimo diacono volevano vivere nella fede per contribuire all’evangelizzazione del popolo. Fu così che un giorno decisero, di comune accordo, di lasciare la Spagna per trasferirsi a Roma e vivere appieno la loro vocazione. Il 30 agosto del 257 il maestro divenne Papa Sisto II e, non appena eletto, chiamò vicino a sé l’amico e discepolo Lorenzo, affidandogli l’incarico di protodiacono: il giovane rispose immediatamente alla chiamata e accettò l’offerta dell’antico maestro. Un solo anno di pontificato trascorse e Sisto fu portato al martirio, nel corso dell’ennesima persecuzione voluta, questa volta dall’imperatore Valeriano. Quando Lorenzo lo venne a sapere, corse dall’amico piangendo e chiedendogli che cosa avrebbe potuto fare perché non si sentiva di vivere senza colui che reputava da sempre un padre: il Papa gli rispose che entro tre giorni sarebbe morto anche lui e in modo assai più atroce e difficile. Infatti Sisto, perché più anziano fu passato a fil di spada, mentre Lorenzo fu arso vivo su una graticola: una tortura davvero terribile raccontata da diversi autori. Era il 10 agosto del 258 in Roma. Sant’Ambrogio, nel suo scritto De officis ministrorum, racconta con enorme dovizia di particolari il martirio di san Lorenzo senza nulla tacere. Il vescovo di Milano inizia descrivendo l’incontro tra Lorenzo e il Papa, nel corso del quale il protodiacono piange perché perderà il padre e Sisto lo consola; poi Ambrogio prosegue narrando l’episodio della richiesta, da parte di alcuni aguzzini, dei beni della Chiesa, (Agli aguzzini che volevano i tesori della Chiesa, rispose, indicando alcuni suoi fedeli: Ecco, questi sono i nostri tesori, che sono eterni e che non vengono mai meno, anzi crescono), per poi terminare con la descrizione della graticola, riportando la frase beffarda che san Lorenzo avrebbe detto in punto di morte ai suoi carnefici: “Assum est, versa et manduca” (Sono cotto da questa parte, girami e mangimi). In tempi posteriori, questa frase ha fatto pensare alla possibilità che, una volta arso sulla graticola, il corpo di Lorenzo sia stato poi spezzato e dato in pasto ai poveri affamati. Secondo un’altra leggenda, sembra che un legionario romano, presente al martirio, abbia raccolto con un panno del sangue del Santo: la reliquia è conservata ad Amaseno e ogni anno il sangue si liquefa come succede per il sangue di san Gennaro a Napoli. Molte città italiane hanno chiese dedicate a san Lorenzo, un santo davvero molto amato: solo a Roma ne esistono ben cinque.
Gli aidonesi, da tempo immemorabile, festeggiano l’amatissimo martire San Lorenzo il 10 agosto (morte e ricorrenza): la solennità è preceduta dalla Sacra Decima, con sermoni, lodi e cantilene dei fedeli aidonesi i quali gioiscono al solo nome di San Lorenzo che, su ogni altro Santo, «per le sue rare bellezze e magnificenze attrae ogni cuore, riscaldato dal suo ardore, che non si stanca mai di prorompere in voci di giubilo». Nel 1810 gli aidonesi, per dimostrare la loro dedizione al Protettore, mentre celebravano la solenne ricorrenza, istituirono un comune elogio in una Accademia a cui presero parte letterati indigeni e stranieri. Non è noto quando Aidone adottò come protettore il glorioso martire San Lorenzo, a cui eresse, oltre 1000 anni fa, un tempio, decorato sin dal 1740 con l’insigne collegiata, composta di quattro dignità, otto canonici, sei mansionari e due maestri di cerimonie. E non si conosce neanche quando pervenne la cara reliquia di un osso del braccio del «Santo Levita», rotondo e non a scheggia, lungo cinque dita, che, incastrato in un braccio d’argento, si conserva e si venera nella Chiesa Madre, con l’autentica, in foglio pergamena, sigillata e vistata da tanti vescovi diocesani: queste lacune si spiegano con la vetusta origine di Aidone, che sorge sulle rovine dell’antica Herbita. La chiesa, per la sua forma perfettamente regolare, senza sporgenze laterali, e per la sua struttura predominata da idee di calma e serenità, sembra un vecchio tempio destinato, in seguito al nascere del Cristianesimo, al culto cattolico. Successivamente furono aggiunte quattro cappelle, due a sinistra e due a destra, e il campanile. Avendo il terremoto del 1693 distrutto parte della chiesa, si provvide al restauro collocando nella facciata principale il materiale antico, in modo da non deturpare l’artistica porta maggiore, furono mantenute le due scanalature ad un lato della porta, che rappresentano le antiche misure abolite (il palmo e la canna). Purtroppo non fu conservata l’antica disposizione dei bolognini; infatti i pezzi su cui era incisa un’antica iscrizione latina sono distribuiti qua e là nella facciata; e la magnifica vedetta primatica, di puro stile gotico, fu rivestita di un deforme camicione di ordine toscano che costituisce l’attuale campanile. Le due cappelle, del lato del campanile, furono unite da un muro, nel quale fu aperta un’altra porta.

Per queste parziali ricostruzioni e ristrutturazioni il tempio assume un aspetto imponente e, nella parte interna, moderno, cosicché sembrano due rabberciature non intonate all’ambiente, i due monumenti ricollocati a destra e a sinistra dell’entrata principale.

 

 

 

 

 

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