L’Angolo della poesia                     

Domenico Pisana, vincitore del 25° Concorso nazionale di poesia “La Gorgone d’Oro

"Nella tomba di Lazzaro" vince il premio del Centro di Cultura e Spiritualità Cristiana Salvatore Zuppardo di Gela.

di Emanuele Zuppardo

Con la poesia Nella tomba di Lazzaro il poeta di Modica Prof. Domenico Pisana si è classificato al primo posto del 25 Concorso nazionale di poesia “La Gorgone d’Oro” promosso dal Centro di Cultura e Spiritualità Cristiana Salvatore Zuppardo di Gela.

Nella motivazione la poetessa Maria Luisa Tozzi di Parma, componente della giuria del premio, ha scritto che “Lazzaro, ognuno di noi, scegliendo il buio del male, sospende l’esistenza, vive in una tomba, pur restando nel tempo terreno. Ma, nella disperata coscienza di essere prigioniero dell’ergastolo da lui stesso creato, non potrà che attendere la Voce di Colui che, chiamandolo per nome, sgretolerà la crosta fangosa del peccato. E soltanto a quel richiamo, invocherà, piangendo, la sua liberazione. A questo punto il testo del Poeta da lirico si fa ontologico: perché, dopo aver elencato i vizi capitali, guidati dalla superbia e dall’ egoismo, dichiara il trionfo di quel Crocifisso che ha annientato il male; ha riscattato con misericordia ogni Lazzaro, aprendogli la porta del sepolcro e riportandolo ad una Vita sacra, invaghita di Infinito”.

Domenico Pisana ha anche partecipato con un’altra poesia, Il gallo canta tre volte, che ha dato il titolo all’antologia poetica pubblicata dall’associazione in occasione del suo 25/esimo.

Per l’occasione Mons. Rino La Delfa, ha scritto la prefazione e afferma che “il componimento si distingue per la potente espressione: «la vita ci vive nella morte», che sintetizza l’esperienza personale di Pietro quale parallelo della Passione di Cristo.

I quattro vangeli – continua – ricordano unanimemente il canto del gallo nel contesto della Passione, quando a Pietro che gli ostenta la sua fedeltà anche a costo della morte, Gesù annuncia che, nel momento della prova, intorno alla terza delle quattro veglie notturne, detta appunto “del canto del gallo”, l’avrebbe rinnegato tre volte. Nel contesto della Passione, il canto del gallo non è solo indicazione temporale, ma elemento che risveglia in Pietro il ricordo e la consapevolezza della sua fragilità; favorisce l’incontro del suo sguardo con quello mite di Gesù, suscitandogli il pentimento accompagnato dal pianto. Anche se storicamente si può dubitare della presenza fisica del gallo, ciò che conta è il suo valore simbolico: annuncia il sorgere della luce e, con essa, la misericordia divina che precede il nuovo giorno e dissolve le tenebre del peccato, dando inizio a una vita nuova.

Il gallo nel Vangelo è dunque legato simbolicamente all’annuncio della Resurrezione di Cristo e diventa immagine del trionfo della vita sulla morte, della luce sulla notte. A Gerusalemme, sul monte Sion, la chiesa di San Pietro in Gallicantu custodisce la memoria del pianto dell’Apostolo. In molte chiese, anche protestanti, il gallo sui campanili simboleggia la veglia, la risurrezione, la testimonianza. Tutta la tradizione cristiana lo considera simbolo del potere della luce di scacciare le tenebre e le malvagità a loro connesse. È il primo ad annunciare il giorno, proprio come le donne discepole furono le prime ad annunciare il Risorto.

Nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale, più che mai, serve una rinnovata sapienza per umanizzare le tante scoperte tecnologiche. Popoli poveri materialmente ma ricchi di spirito possono diventare luce per altri.

La coscienza è il sacrario dell’uomo, il luogo più intimo dove Dio parla. Obbedire ad essa è segno di libertà; sostituirla con padroni esterni significa rinunciare alla propria dignità. La coscienza, retta e ben formata, unisce tutti nella ricerca del bene. Quando è offuscata, si apre la strada a guerre, ingiustizie, disuguaglianze. Non si perde la dignità se l’errore deriva da ignoranza invincibile; ma si diventa colpevoli se si rifiuta di cercare la verità.

«Non vedo più bellezza», scrive Pisana. Ma la bellezza si ritrova nel momento in cui l’intelligenza e la coscienza, liberate da ideologie e inganni, rinascono all’interiorità. Pietro ha rivisto quella bellezza in sé attraverso lo sguardo del Signore posato su di sé. E dal suo pianto è nato l’uomo nuovo

   Nella tomba di Lazzaro

 Siamo tutti Lazzaro
nell’oscurità della tomba
in attesa che Qualcuno venga e ci dica: vieni fuori!

Siamo tutti Lazzaro,
con le palpebre cucite dall’invidia
che corrode l’anima con l’acido della gelosia
che atrofizza il cammino della vita
come carie che s’avvinghia nelle ossa;

cadaveri nella tomba della superbia,
leoni curvi sotto il peso della nostra onnipotenza
mentre ci specchiamo nello stagno del delirio
in attesa che Qualcuno venga, e ci dica: vieni fuori!

Siamo tutti Lazzaro
con volti crucciati nella tomba dell’ira,
ora belve ora cavalli imbizzarriti, bufera,
tempesta, intenti a spremere la collera
nel torchio; cadaveri distesi sul letto dell’accidia

in dormiveglia, avvolti nell’odore dell’indifferenza,
imbalsamati nella viltà del silenzio e nel miele
di parole che non scuotono dal sonno
in attesa che Qualcuno venga, e ci dica: vieni fuori!

Siamo tutti Lazzaro
nella tomba del piacere, uomini e donne
belli nei corpi ma con l’anima perversa,
ubriachi del vizio e accecati dalla trasgressione;
nella tomba della gola con la lingua consumata
da odori senza fine e a discutere col ventre
che non ha cuore e orecchie.

Siamo tutti Lazzaro
nella tomba dell’avarizia, con le spalle al cielo
il volto a terra, pesanti e lividi come il metallo;
cadaveri nella tomba del potere che nell’ombra
lascia l’amore, attraendo come luce nel buio,
strozzando con perle di parole e garbo
paure ed omissioni.

Siamo tutti Lazzaro nell’oscurità della tomba
in attesa che Qualcuno venga, e ci dica: vieni fuori!

   Il gallo canta tre volte

C’è un bruire di parole dentro il Paese,
il gallo canta tre volte e il cigno gli fa eco,
il richiamo alla carta e gli sguazzi oltre oceano
iniettano refoli di perfido fumo nell’aria
che attende il suono della tromba che annuncia
l’inizio della rivolta sugli usci dei palazzi.

La nostra bandiera cerca riscatto, vibra
sulla solitudine dei cipressi, il sole di ottobre
si nasconde alle lacrime di cuori affranti
sotto i ponti e la notte asciuga lacrime
chiamate a resistere alle piogge
e al freddo dell’inverno che ci attende.

Ecco, voci rimaste sotto la polvere
riecheggiano tra gli impenetrabili sortilegi
di chi smuove i comandi,
ancora Ulisse mi tormenta
e viaggio con pensieri e sogni,
ove s’oblia una lucerna di speranza spenta.

E qui sulla collina, pioggia battente
segna l’ansia della sera:
rinasce in quel segno la terra
ancora calda di sole nell’attesa
degli aratri pronti a tracciare i solchi
che ci svelano il dono della morte
per far crescere il grano della vita.

Non vedo più bellezza, non voglio morti;
la vita ci vive nella morte,
la morte usurpa il volto della vita.
Ogni giorno è una sfilata di cadaveri.

Uno toccherà la fine
e Tu, con me, dirai parole di pace e di speranza.

Qui ai piedi della croce, le mani
giunte, come di bambini,
chiedono al Paese riflessi di luce
dentro il sangue dei chiodi che s’immola.

E ogni pelle che s’unisce
nel liquido rosso, non nasconde fiele nel cuore,
solo miele da gustare insieme.

 

 

 

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