
Dopo tante fatiche e tante pubblicazioni nel campo storico, culturale e archeologico, ecco l’ultima dal titolo “la meta del pellegrino”, con note di Mariologia; una miscellanea di argomenti in capitoli, a volte disgiunte l’una dall’altra, ma con l’intento che la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede, ovvero dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo (secondo san Paolo). Nella premessa del testo, l’autore, don Filippo Vitanza rammenta Dante Alighieri “iniziando il secondo canto che parla della ‘sua esperienza mistica’ del Paradiso, avverte i suoi lettori con queste parole: O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi d’ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca, tornate a riveder li vostri liti; non vi mettete in pelago, ché, forse, perdendo me rimarreste smarriti”: il poeta invita i suoi lettori a non proseguire se sono forniti di poco sapere, dotti solo della scienza che viene dalla ragione.E l’autore a proposito del primo capitolo “La meta del pellegrino”, parafrando, cita la Lettera di Paolo ai Filippesi: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”, sottolineando tre frasi (Anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù; Non ho certo raggiunto la meta; Corro verso la meta). E qui l’autore Vitanza ricorda l’accaduto di un missionario italiano a cui fu assegnata una vasta regione dell’Africa: “Questi rimaneva in un villaggio per parecchi mesi e dopo aver evangelizzato e lasciati dei catechisti, come responsabili per la catechesi, passava ad un altro villaggio. Dopo diversi anni, ritornava al primo villaggio per constatare il grado di evangelizzazione. Accadde questo fatto: appena arrivato fu accolto con grande gioia dai cristiani del villaggio, anzi un giovane subito lo interloquì: facciamo subito la Santa Messa e il missionario bonariamente gli dice: prima ti devi confessare; il giovane sorpreso di quella domanda gli rispose: dopo aver conosciuto Gesù si possono commettere peccati?”. Dio è amore: papa Benedetto XVI scrisse la sua prima enciclica. Queste parole esprimono, secondo Vitanza, il centro della fede cristiana: in un mondo nel quale il nome di Dio viene collegata la vendetta o perfino l’odio e la violenza il messaggio cristiano del Dio amore è di grande attualità. “In Gesù Cristo, che l’amore incarnato di Dio l’eros-agape raggiunge la sua forma più radicale; nella morte in croce, Gesù, donandosi per rialzare e salvare l’uomo esprime l’amore nel mondo più sublime”.A questo atto di offerta Gesù ha assicurato una presenza duratura attraverso l’istituzione dell’Eucaristia: “Partecipando all’Eucaristia coinvolti alla dinamica della sua donazione, ci uniamo a Lui e allo stesso tempo ci uniamo a tutti gli altri ai quali Egli si dona, diventiamo così tutti un solo corpo”. In tal modo amore per Dio e amore per il prossimo sono veramente fusi insieme. Ricordando ancora Benedetto XVI e l’Eucaristia, dice il Vitanza, occorre attenzionare l’unità intrinseca dell’azione liturgica e riflettere sull’unità del rito della santa Messa: “Bisogna evitare che, sia nella catechesi che nella modalità di celebrazione. Si dia adito ad una visione giustapposta delle due parti del rito. Liturgia della Parola e liturgia eucaristica sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto. Infatti, esiste un legame intrinseco tra la Parola di Dio e l’Eucaristia. Ascoltando la parola di Dio nasce o si rafforza la fede; nell’Eucaristia il Verbo fatto carne si dà a noi come cibo spirituale”. Invero, con la riforma, dopo il concilio Vaticano II, la struttura della Messa ha guadagnato in chiarezza e trasparenza. Essa è costituita da due parti la “liturgia della Parola” e la “liturgia eucaristica”; esse sono così strettamente congiunte tra loroda formare un unico atto di culto. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e conforto. Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te, questo il titolo del capitolo XII delle note di Mariologia del testo di Filippo Vitanza: “L’angelo Gabriele, inviato da Dio a Nazareth, ad una vergine sposa di nome Maria, la saluta non chiamandola per nome, ma entrato in quella casa disse: Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te.Non è un educato ‘buongiorno’, ma un augurio e un annuncio. Il profeta Zaccaria, annunciando la venuta del re Messia, aveva esclamato: Rallegrati, figlia di Sion, esulta, figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re”.Il motivo della gioia è il Signore che abita in mezzo al suo popolo, sostiene il don Vitanza, “Questo invito, questo comando alla gioia, come è avvertito in Maria, deve essere avvertito e deve avvenire nella Chiesa e nella vita di ogni credente.Ormai è assodato che Maria è il tipo, il modello della Chiesa: ciò significa che tutto quello che si dice di Maria, si dice anche della Chiesa e di ciascuno di noi. In tal senso noi siamo chiamati a rivivere Maria, non tanto ad onorarla, anche questo, ma certamente, il modo più bello per onorarla è riviverla”.Da qui l’Ave Maria, dalla preghiera orale alla preghiera esistenziale (cfr. il teologo Giacinto Magro).Infatti, il culto di Maria Vergine ha da sempre il suo fulcro nella Chiesa cristiana. La venerazione della Madonna esiste nella liturgia cristiana fin dai primi tempi, tanto come oggetto di culto in se stessa quanto come potente mezzo di intercessione nei confronti di Gesù; ma non solo perché Maria è considerata anche un esempio dai fedeli, c’è poi il suo aspetto di “intermediario” tra Dio e l’umanità: questo aspetto fu su suggellato da Cristo stesso che dalla croce affidò sua madre a Giovanni che in quel caso rappresentava l’umanità. Ma fu riconosciuta come Madre di Dio solo dal concilio di Efeso.