
Dal 12 al 15 giugno, la Rete Teologica del Mediterraneo (RTMed) ha svolto il suo Simposio internazionale e transdisciplinare sul tema «Sulle rotte del Mediterraneo. Linee di metodo per una teologia dal Mediterraneo». Il gruppo si è ritrovato presso l’isola di Malta, ospiti del seminario maltese della Diocesi. Il Simposio è stato organizzato dalla Rete e sostenuto dalla Facoltà teologica maltese. Il Mediterraneo è un mare testimone e protagonista di grandi civiltà e religioni mondiali: l’isola di Malta, situata nel cuore del mediterraneo, ha registrato nel tempo, i segni, ormai stratificati nel tempo e questi emergono nella lingua, nell’architettura, nella storia e persino nel suo senso religioso. Malta è un macrocosmo dell’intera regione mediterranea, in essa si coglie quanto di profondo le popolazioni del mediterraneo hanno in comune tra di loro. Pertanto, lì si coglie come in questo mare emerga un pensiero di ampio respiro, vigoroso, che ha influenzato per secoli anche altri popoli bagnati da mari diversi, ma rigenerati dalla stessa acqua.
Sin dal suo primo viaggio a Lampedusa, Papa Francesco (2013) ha raggiunto più volte le sue sponde, avvertendo tutti e ciascuno dal pericolo di guardare sconvenientemente al Mediterraneo unicamente come luogo di scambi di culture e di merci; ci ha suggerito che è necessario guardare a tali popoli con occhio penetrante, così da poter cogliere la ‟teologia dei popoli” che abitano questa regione. Dunque, era necessario avere uno sguardo oltre, direi profondo, per scorgere in profondità tale teologia e la Rete si è riunita diverse volte.
PERCORRERE VIE NUOVE DI RICERCA PARTENDO DAL VISSUTO CON ATTENZIONE ALLA SAGGEZZA E ALLA PIETA’ POPOLARE
I membri di codesta rete teologica hanno colto, nel desiderio di Papa Francesco, l’invito a percorrere vie nuove di ricerca. Egli desiderava, infatti, che si penetrasse dentro la cultura e il vissuto, con tutte le sue ferite, con sapienziale rispetto, per un approccio teologico che enfatizzava l’importanza della cultura popolare, della spiritualità e delle esperienze del popolo di Dio, specialmente dei poveri e degli esclusi, come fonte di rivelazione e luogo teologico. Questa teologia, che ha radici nel contesto latino-americano, sottolinea l’importanza di ascoltare e valorizzare la saggezza popolare, la pietà e le pratiche religiose del popolo come contributi preziosi alla comprensione della fede cristiana. Il mare Mediterraneo andava osservato e questi ci avrebbero sollecitati ad un nuovo approccio teologico, antropologico e culturale in genere.
Ormai il mare Mediterraneo è diventato, tra l’indifferenza e l’individualismo un vero e proprio cimitero di povera gente senza più volto né nome; i responsabili dei popoli e di molti Paesi avanzati, sono ciechi. Oggi il mare del mediterraneo e un vero luogo in cui sta avvenendo un «naufragio di civiltà» (Lesbo, 2021). Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: conflitti di sangue che si perpetuano senza prevederne una fine che salvaguardi le popolazioni di entrambe le parti in gioco. In questo contesto, sovvertito e sovvertente, risultano ancor più profetiche le parole che Papa Francesco disse nel 2018 rivolgendosi ai Capi delle Chiese e alle comunità cristiane del Medio Oriente, convocati in preghiera a Bari.
Egli affermò: «Qui contempliamo l’orizzonte e il mare e ci sentiamo spinti a vivere questa giornata con la mente e il cuore rivolti al Medio Oriente, crocevia di civiltà e culla delle grandi religioni monoteistiche… Per i fratelli che soffrono e per gli amici di ogni popolo e credo, ripetiamo: Su di te sia pace!». Pertanto, i teologi sollecitati da Papa Francesco a discernere «i segni dei tempi in contesti nuovi», si sono riuniti ormai varie volte, per il bisogno di dare forma a uno stile di pensiero e di linguaggio le cui categorie sono formulate a partire dalla storia degli uomini e dalle comunità di frontiera che vivono questo tempo con fatica e altrettanta speranza. In questo senso possiamo parlare di un vero e proprio «paradigma Mediterraneo» che conduce ad una visione vera della realtà e da essa trae il pensiero ricco di novità prospettica, la quale promuovela Pace. Come non pensare alle primissime parole di Papa Leone XIV: «La pace sia con tutti voi!» – l’8 maggio scorso – «Vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, ovunque siano, tutti i popoli, tutta la terra. La pace sia con voi! Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante». È stata questa la chiamata di Papa Francesco e adesso è ribadita da Papa Leone, il quale spinge la Rete teologica ad andare avanti e questa, si è datain una ulteriore tappa appuntamento a Malta, dopo lo scorso anno a Palermo, e l’anno prima, a Marsiglia dove fu stilato il manifesto.
UNA TEOLOGIA IN ASCOLTO “DELL’ISOLA”. L’OSPITALITA’ COME LUOGO TEOLOGICO
La riflessione praticata in questi ultimi giorni a Malta, nel desiderio di esperire quanto accadeva dallo Spirito tra i partecipanti, volendo saldare pensiero e vita, è stata una teologia «immersiva», che vive e pensa in contesto: una teologia che si è messa in ascolto della storia dell’isola, delle sue radici, ma con uno sguardo attento anche al presente, alle sfide e alle opportunità odierne, per immaginare insieme, come attraversare le complessità richiedenti un senso.
La riflessione è stata opportunamente accompagnata da esperienze culturali che l’hanno arricchita in modo tangibile. Nel pomeriggio del primo giorno, infatti, il programma ha incluso una visita guidata alle catacombe di Sant’Agata e alla Grotta di San Paolo; inoltre, non sono mancate le occasioni per entrare nell’esperienza della pietà popolare maltese: l’incontro con i ragazzi che preparavano l’infiorata per la festa del Corpus Domini; con i bambini delle prime Comunioni; la festa di Nostra Signora del Giglio a Mqabba. Tutti elementi che hanno chiarito, in maniera nuova e teologica il senso «dell’ospitalità» sino a elevarla come categoria e immagine teologica per una sorte di teologia, appunto dell’ospitalità. Chiaramente a partire dall’incarnazione e poi dall’esperienza di Paolo, il naufrago, che accolto e ospitato si è fatto capace, a sua volta, di accogliere e ospitare in sé, gli stranieri verso i quali ha approdato e, lui stesso straniero, si è lasciato ospitare in uno scambio di guarigione e di vita.
In tal senso, nella riflessione si sono delineate le linee per un metodo diverso, certi che il ‟nuovum”, che è il «Tra», è stato ulteriormente compreso. Infatti, la teologia del «Tra» porta i suoi frutti solo se si ha il coraggio di pensare con l’altro, sino a cogliere ciò che accade nella relazione, che non è, né la somma del pensiero e neanche l’addizione delle idee, bensì la novità che lo Spirito permette a quanti si pongono in ascolto l’uno dell’altro, cogliendo il frutto che è oltre sé stessi.
Il pensiero che ne propizia tale rinnovamento può solo sorgere «dalle viscere della Rivelazione» (Rosmini). È questo, in definitiva, l’impegno che la rete teologica ha portato avanti in questi tre anni di confronto e continua a portare avanti perché ha sperimentato la necessita di ripensare il pensiero. Tale esercizio è vissuto in comunità, anzi, molto di più in comunione, dove nella pluralità delle voci e degli approcci epistemologici, l’accoglienza e l’ascolto reciproco, si sono fatti risonanza della presenza del Risorto che vive ‟traˮ i suoi e fa di tutti uno, certi che il guadagno è di un vero rinnovamento.
Questo è lo stile del teologare dei membri della rete. Uno stile sinodale capace di abitare la reciprocità trinitaria e di far così sorgere di nuovo la Speranza in questo momento abbastanza serale della teologia. Partendo da questo stile e da questa modalità epistemica, nell’incontro di Malta si è ripresa la riflessione per orientare il viaggio della Rete e si è ripreso a solcare ancora una volta le rotte del Mediterraneo. Con rinnovata speranza e riconoscenza, soprattutto legata alla «rara umanità» (Atti 28,2) offerta dalla comunità maltese.
Dalla ricerca condotta sino a questa tappa si coglie come dal Simposio si è colto la pronta maturità della Rete teologica del mediterraneo; questa potrà andare avanti, in quanto ormai è pronta a tessere relazioni nuove, non solo tra studiosi e istituzioni, ma anche tra le diverse culture e religioni del Mediterraneo.Il lavoro di studio, avvenuto con un sereno confronto, sperimentando una vera e crescente amicizia tra i convenuti, ha dato voce a una pluralità di pensieri e di approcci che, pur nella diversità, hanno lasciato emergere una sintonia di fondo. Un intreccio di idee e di metodi o stili simili alla gómena usata dalle navi per l’ormeggio, che trova la sua forza proprio nella tensione e nei nodi tra i diversi fili. Con uno sguardo al futuro, la Rete si è interrogata, infine, su come trovare una configurazione capace di restare al servizio delle Facoltà, delle Università e delle Chiese locali del Mediterraneo, rappresentate dai docenti, pastorie esperi in diversi campi pastorali provenienti da Malta, Beirut, Istanbul, da Barcellona, Granada, Marsiglia, da Abu Dhabi, da Roma, Napoli, Bari, Venezia, Palermo, Lecce, Potenza, Genova, dalla Romania e dal Marocco, dall’Egitto e dall’Algeria.
Nell’intelaiatura suggestivo dell’antica città di Medina, la terza giornata si è conclusa accompagnata da sentimenti di gioia e di gratitudine reciproca per il lavoro svolto, alimentando il desiderio di continuare nella navigazione del pensiero, sospinti dal soffio dello Spirito del Crocifisso-Risorto. Mentre nel corso dell’ultima giornata, la Rete ha ricevuto l’invito a prendere parte alla Celebrazione Eucaristica, presieduta da mons. Joseph Galea Curmi, presso la Concattedrale di San Giovanni situata nella Valletta. In occasione della Solennità della Santissima Trinità, il vescovo ausiliare ha ricordato che «in un Mediterraneo segnato da conflitti, divisioni e migrazioni, la Trinità ci offre un modello di convivenza nella differenza. Così come le Tre Persone Divine vivono nella perfetta unità senza annullare le diversità, allo stesso modo, le nostre società mediterranee sono chiamate a valorizzare le culture, le lingue e le tradizioni senza paura dell’altro, per uno stile di vita e una teologia dell’ospitalità che si faccia vita».