
Fuori da ogni luogo comune e frasi fatte, la grammatica di Papa Leone sulla pace, accennata nell’udienza ai giornalisti che hanno raccontato il Conclave e le ultime settimane della vita della Chiesa fino a lunedì 12 maggio 2025 nella Sala Nervi, presenta accorgimenti umani di gran conto. Dalla consegna del messaggio cristiano ai discepoli e alle folle riunite presso la nuova montagna della vita quotidiana, quella fatta di promesse disattese e speranza disilluse, il Vicario di Gesù Cristo recupera il fascino delle parole e delle immagini disarmate dall’altra parte completamente rispetto al paradigma della guerra. Suona cosi la musicalità del messaggio di Gesù: «Beati i poeti della pace» (cfr. Mt 5,9); sì, perchè poieo, nella lingua greca è il verbo dell’invenzione poetica, sia per quando riguarda la letteratura che per l’arte visiva, cinematografica, musicale. In questa primissima esortazione pontificia è parsa evidente l’intenzione di unire la forza della scrittura con l’identità degli inventori poetici dell’informazione, rinnovando così anche i connotati di un identikit scontato per la gran parte dei giornalisti. Leggere la guerra e scrivere di pace può sembrare scontato, ma riscoprire il valore della pace anche nella stessa lettura della guerra, laddove cioè sono le stesse narrazioni a invocare odio, disprezzo e misantropia questo non è per tutti e di tutti, ma deve esserlo per questa generazione. Ne deriva che l’evidente frastuono mediatico, rispetto alla musicalità dell’informazione pacifica, è arrivato ad un bivio: o si cambia, o si esce allo scoperto, cioè ci si dichiara complici, succubi e carnefici secondo quello stesso motivo bellico che spinge quelli a mandare al fronte i patrioti e quegli altri ad istigarli sui social. Così non va! Di fronte a tanta confusione, ricominciare dalla creatività dell’informazione sulla verità dei fatti significa già di per sè calmare gli animi, mettendo ordine nel kaos genesiaco a cui soltanto uno spirito attento può dare un seguito buono agli occhi degli uomini e di Dio. E questo a prescindere dall’appartenenza religiosa, perchè l’informazione di per sè serve la verità e la verità rende liberi (cfr Gv 8,31-32). «Solo popoli ben informati fanno scelte libere», ha affermato Papa Leone, rileggendo di fatto il brano sulla libertà in cui Gesù si rivolge ai giudei che lo avevano rifiutato in continuazione, candendo nella “mediocrità” di una vita vissuta fuori dal tempo. Così ha continuato Leone XIV: «Non cedere alla mediocrità: mai fuori dal tempo! Dice s. Agostino: “Viviamo bene e vivremo tempi buoni”: noi siamo i tempi buoni». La contemporaneità è il tempo buono; il presente è già buono, non soltanto il futuro che, rispetto al passato, è sempre diverso, almeno per come la dottrina cristiana ci ha inculcato a pensare. Ma il presente, l’ “oggi”, l’odierno e il quotidiano sono il tempo buono, perchè è in questo momento che la presenza si decide rispetto all’assenza, all’indifferenza e al voltarsi dall’altra parte; e ciò vale per il cronista del quotidiano più importante al mondo come per l’invisibile cittadino che sui social ha massima libertà di espressione: parole di pace per tutti i “poeti” della pace che vivono dentro ad ogni nazione e popolo, fin nelle circostanze più remote. «Disarmare le parole per disarmare la guerra».