
Padre Filippo Salerno ha 63 anni ed è cappellano all’ospedale di Enna. Ha sempre desiderato vivere l’ esperienza della cappellania che esercita dopo aver fatto un percorso di pastorale sanitaria. “Ho vissuto e vivo anche la gioia di stare con i malati e quando sto con loro, partecipo con loro, quando ascolto loro riesco a dare qualcosa perché sempre da loro io ricevo sempre tanti benefici per la mia vita sacerdotale”.
Le tappe della sua vita: l’ ospedale di Enna dal 1987, poi a Genzano al Fatebenefratelli a vivere in un percorso con i malati speciali che erano i malati psichiatrici dove si è formato ulteriormente, poi il cappellano all’ospedale di Gela per 25 anni e infine di nuovo ad Enna. Spiega p Filippo: “Quella del cappellano è una delle figure importanti all’interno di una struttura ospedaliera in quanto ha una funzione non solo tecnica e organizzativa ma più profonda e spirituale quindi la presenza del cappellano influisce soprattutto in chi si trova in una situazione di bisogno di difficoltà e sperimenta la malattia e la sofferenza. I cappellani ospedalieri – e p Filippo incarna alla perfezione questo modello – di fronte a posizioni di bisogno si pongono come coloro che ascoltano ed interpretano”. “Il cappellano è soprattutto colui che dà la consolazione e porta ad ogni persona che lo chiede la serenità e la pace” . Il sacerdote, che è pure parroco della comunità di San Tommaso in Enna, è molto presente all’interno dell’ospedale: “Non ci sono altri presbiteri in quanto sono io solo cappellano in una struttura ospedaliera che è grande; però ci sono dei ministri straordinari una coppia e due singoli che mi aiutano, soprattutto la domenica, per la distribuzione della Comunione e quindi completiamo anche questa opera sacramentaria all’interno del nosocomio per chi lo desidera in modo che tutti possano avere anche questo dono che è Gesù”
Il sacerdote è anche coadiuvato dal diacono Salvatore Orlando e assicura la celebrazione quotidiana della messa nella cappellina dell’ospedale . Ovviamente non viene fatta alcuna distinzione fra malati e il sacerdote, come è giusto che sia, ha il massimo rispetto verso tutti coloro che non abbracciano la religione cattolica confessando altre religioni o non credono in alcuna entità sovrannaturale. “Quello che conta è l’opera di consolazione. Ci sono malati che desiderano i sacramenti e quindi questi hanno bisogno anche giornalmente di fare la Comunione e ci sono altri cui ciò non interessa, anche se questi sono pochi”.
Come si colloca verso gli appartenenti ad altre confessioni religiose?
“Penso che la figura del cappellano sia importante anche per loro anche se non riconoscono Gesù Cristo. Da qui scaturisce il fatto che bisogna dotarsi di molta umanità” In ogni caso il coordinatore dell’attività spirituale all’interno dell’ospedale è il cappellano e qualora ne ravvisasse l’esigenza dovrebbe costituire una cappellania della quale dovrebbero far parte anche quelli che professano altre confessioni. A Enna, comunque questa esigenza non si è ancora presentata ma p. Salerno è pronto, nell’eventualità dovesse porsi, ad accogliere e dialogare con chiunque. Poi soffermandosi sulla sofferenza dice: “La malattia fa paura a tutti e il tempo della sofferenza diventa tante volte anche un peso per chi si ritrova a vivere la sua lungaggine. Ciò a volte determina una presenza sicuramente determinante per le persone che stanno accanto al malato e che talvolta si conclude con la morte che subentra. La Chiesa deve assumere il tono della consolazione, della tenerezza e della compassione. Di fatto questi percorsi non ci sono perché credo che non abbiamo delle comunità mature ché si occupino di ciò. Inizialmente si è proposto che ogni cristiano che vive un’esperienza più spirituale dovrebbe occuparsi anche del malato e ciò consiste non soltanto nel portare la comunione in un giorno festivo ma nell’ occuparsi e preoccuparsi di questo portando la stessa parola di Gesù “Ero ammalato e sono venuto a visitarti”
Però mipare che ci sia l’AVO in ospedale:
“sì c’è ed l’unica realtà che nel passato ha funzionato ma con il COVID e scomparsa per diversi anni. E’ riapparsa da circa un mesetto ma occupa un ruolo molto limitato.
Ci sono molti malati indigenti?
“In media no, non sono molti; di tanto in tanto può capitare qualche indigente e di fatto se ne occupa sempre il cappellano oltre che l’assistente sociale ma poi questi si rivolge al cappellano e chiede, ad esempio, il pigiama o la biancheria o qualche altra cosa.
Qual è il suo rapporto con l’Istituzione Asp quindi con la Direzione di Presidio e con quella Generale?
“Ho un rapporto molto bello anche intensivo perché io non mi occupo solo dei malati; difatti la mia presenza si estende anche al personale e li vedo quasi tutti i giorni e con loro ho instaurato anche un percorso e mi vengono incontro con molta umanità. Sono molto sensibili e sicuramente sono anche molto molto presenti quindi c’è una sensibilità delle istituzioni verso questo complesso mondo della sofferenza. La volontà di chi presiede è sempre una volontà benevola e indiscriminante, quindi edificante.
Il Giubileo della speranza. Come va vissuta la speranza nei luoghi di sofferenza e di cura tanto per rimanere in tema di quello che ha detto Papa Francesco?
“L’atteggiamento di speranza fa parte dell’atteggiamento di chi ama e dona l’amore ed è sempre presenza di speranza e di consolazione nel percorso di questo cammino in cui siamo chiamati. Siamo tutti– conclude p Filippo Salerno – mendicanti di amore perché bisognosi di amore e desiderosi di amare e di essere amati e ancora l’amore se non è impegno di ogni giorno e rimpianto per tutta la vita”