
Introduzione Già gli elementi delle verità che emergevano nel precedente articolo sul pellegrinaggio accennavano e prendevano le mosse dalla cristologia. Ora si tratta di esplicitare e di chiarire meglio e più in profondità questo richiamo cristologico che il simbolismo e l’aspetto sacramentale (e non sacramento) del pellegrinaggio contiene in chiave, appunto, cristologica. Tutta la storia della rivelazione biblica include l’assunzione del tempo e dello spazio da parte di Dio, l’inserimento di Dio nella storia, una sorta di «incarnazione diffusa». Ma il mistero di Cristo comporta qualcosa di nuovo, di inedito e di assolutamente singolare: Dio si fà veramente uomo, non solo agisce antropomorficamente (come se fosse semplicemente uomo anche se è Dio), ma agisce da uomo pienamente e realmente avendo assunto ogni dimensione dell’umano; l’umanità di Gesù si è unita al massimo grado; l’umanità tutta nel suo essere possibile è stata unita all’unico soggetto divino, il Verbo, per cui si può dire che in tutte le azioni (e nello stesso patire dell’uomo Gesù) è Dio che agisce e si dona.
Il pellegrino dentro il ‟bacioˮ tra tempo ed eternità Tempo e spazio acquistano, almeno in Cristo, valenza di eternità. Egli nell’istante che vive la morte contemporaneamente vive la resurrezione, l’ascensione e l’ingresso nel seno del Padre e persino vive continuamente il suo venire, dal futuro. In altri termini, nell’eterno (la realtà perenne) avviene in Lui, Crocifisso e Risorto, una sorte di “bacio” tra il tempo e la realtà fuori dal tempo, tra il già e non ancora, cioè in Lui, «nell’istante» del suo essere, si compie per l’umanità già in Lui si compie l’eternità[1]. Tutto ciò non esprime solo provvisorietà, fuga continua da labili e illusorie promesse di essere, di vita, di bene, di felicità; ma quanto Gesù vive a Pasqua, racchiude premesse e anticipi reali del dono eterno che Dio promette. Dentro gli eventi dell’esistenza terrena di Gesù si nascondono i tesori di quella «pienezza di divinità» che è il dono dell’Incarnazione del Figlio di Dio fatto dal Padre all’umanità. In questo senso Cristo riempie di valore la memoria, ossia il guardare al passato (per ricapitolarne tutti i doni: la storia che lo ha preceduto resta viva, non costituisce un «tempo perduto», ma i suoi grandi fatti ed eventi conservano, anzi acquistano piena attualità), e carica di realtà anche l’attesa del futuro anticipandone nella Speranza il suo contenuto sostanziale, Egli è la Speranza in pienezza. Ci è dato di poter fare nostra tutta la storia; possiamo celebrarla! I nostri tentativi di rappresentare simbolicamente gli eventi che scandiscono il suo divino percorso (quelli del passato e quelli del futuro) possono arricchirsi di contenuto di grazia quasi noi avessimo il dono di poterci considerare, e di esserlo realmente, «presenti e contemporanei» protagonisti, e non solo spettatori, di tutti quegli eventi. La sollecitazione ad agire simbolicamente (pellegrinando) per rapporto a tutta la storia ci viene proprio dal dono di Cristo, Dio fatto uomo, eternità entrata nel tempo e il tempo e lo spazio contenuto dal Figlio l’eterno amante primigenio tra fratelli. Vittoria sull’effimero e sul contingente! Del resto i vangeli ci dipingono un Gesù sempre itinerante, sempre in cammino di villaggio in villaggio che percorre a piedi tutte le strade della Galilea, e, attraversando la Samaria, sale in Giudea a Gerusalemme nei grandi tempi del pellegrinaggio rituale.
La vicenda storica salvifica è come un pellegrinare In verità è Gesù il pellegrino per eccellenza: Egli ha interpretato la sua vicenda terrena, la propria esistenza storica, come un grande pellegrinaggio. Ha parlato di «esodo dal Padre» e di ritorno al Padre»[2]. In questomodo, ha offerto una chiave di lettura che ha ispirato la teologia cristiana fin dall’antichità a scoprire, nascosta dentro la famiglia stessa di Dio, dentro la Trinità, una sorta di misteriosa forma eterna di processioni (quasi un pellegrinaggio intimo a Dio stesso). Dio è essenzialmente amore, relazione, apertura all’altro, comunicativo: diremmo «espansivo»; Egli non considera «possesso geloso» la ricchezza della propria divinità[3], ma da sempre e per sempre la comunica, la riversa sull’uomo senza trattenerne residui o frammenti. Ecco il Figlio che «procede» eternamente dal Padre, ecco lo Spirito Santo che procede eternamente (sempre dal Padre, e, secondo la teologia latina, «anche dal Figlio»): due «processioni» costitutive della Trinità. L’esodo del Figlio per entrare nella storia e vivere con noi (diventando «uno di noi»), e poi la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa e sul mondo, non sono altro che sviluppo (libero e gratuito) e prolungamento verso l’esterno di quelle due originarie «processioni interne»[4]. Allora, pare proprio che il pellegrinaggio faccia parte della vita propria di Dio: il suo uscire da sé per darsi a noi intende proprio coinvolgere noi in un movimento analogo che ci rafforzi in un estremo, radicale e pieno «uscire da noi stessi» (ecco il segreto dell’Amore!) per restituirci a Dio e farci rientrare in Lui, Dio Amore. Il Figlio esce e si fà esodo dal Padre «senza di noi, ma pro nobis, per noi»;intende ritornare al Padre non più solo come Verbo eterno,bensì come «l’uomo-Dio» proprio «nobiscum», con noi. Questa è la forza prodigiosa della carità divina, la redenzione che ci fà da estranei figli nel Figlio, coinvolgendoci nel suo stile di vita cioè che in Cristo e per mezzo dello Spirito ci comunica e ci dona la «Caris», appunto diventa anche nostra carità, carità umana. Questo è il senso della vita cristiana; questo é il progetto di Dio.[5] L’evangelizzazione della Chiesa ha insistito e insiste costantemente sulla metafora del pellegrinaggio; «la vicenda di Gesù ha il carattere di un pellegrinaggio; la nostra vita terrena è un pellegrinaggio». Allora i pellegrinaggi reali e non metaforici potrebbero avere il valore di un forte richiamo simbolico a questo profondo senso della vita dell’uomo, della vita di Cristo, della vita stessa di Dio.
L’evento Cristico e la Chiesa pellegrina L’evento Cristico in considerazione universale, anche di spazio e di tempo, della efficacia della salvezza donata da Dio in Cristo, non taglia la storia o la geografia umana in modo da privilegiare quei pochi che hanno contatto diretto con Lui, ma si apre universalmente nel suo dono dilatato, perché ormai la storia è in Lui eternità. Dio in Cristo fà giungere a tutti l’influenza del suo amore salvifico. Possiamo dire che già nella creazione investe l’uomo della sua grazia; per la teologia cattolica sono decisivi i testi del Concilio Vaticano II, nei quali si recuperano antiche posizioni dei Padri della chiesa che parlavano di «semi del Verbo» diffusi ovunque e di azione universale dello Spirito che orienta Cristo ogni uomo[6]. Ogni uomo è sotto l’azione dello Spirito che svolge quella misteriosa «predisposizione o attrazione a Cristo» che fà entrare già nel circuito dell’amore trinitario. Il contesto vitale dell’uomo, in cammino verso l’oltre, è dentro il coinvolgimento dell’evento cristico che è il pellegrino per eccellenza, e la Chiesa, come segno per tutti, vive vitalmente come pellegrina la sua vicenda storica. Evidentemente fino al medioevo si parlava di tre stagioni o fasi di esistenza della chiesa: i fratelli defunti, in quanto li si considerava ancora bisognosi di purificazione appartenevano a uno stadio di provvisorietà «chiesa dei purganti»; i santi costituiscono la «chiesa trionfante»; mentre i cristiani ancora viventi, dentro i limiti della storia venivano indicati come membri di una chiesa di pellegrini. Ma più diffusa ancora, presso gli «spirituali» e nella teologia praticata dai monaci, vi era una sfumatura particolare che diceva altro; la distinzione era sempre di tre forme di realizzazione della chiesa: anzitutto la chiesa «interiore nelle anime» (ogni cristiano che vive nello Spirito Santo costituisce quasi una ricapitolazione della chiesa intera, uno specchio di essa una sua personificazione, sull’icona di Maria); vi era poi: la chiesa terrestre (detta appunta «pellegrinante»), e la chiesa celeste[7]. Solo più tardi, soprattutto col sorgere di ordini ecclesiastici di stampa militare (i cavalieri) e con le crociate, si consolidò invece la tripartizione che parlava di chiesa militante, chiesa purgante e chiesa trionfante che durò pochissimo. La tradizione più lunga e più forte che ha marcato anche lessicalmente la teologia è stata quella di Chiesa «pellegrina-itinerante»[8]. Il pellegrinaggio è noto costitutivo della chiesa. Non può essere altrimenti, se la chiesa è nata da Cristo ed è frutto della sua peregrinazione.
La Chiesa discepola e pellegrina di/in Cristo La Chiesa nei suoi membri ha la sua genesi in Cristo e le sue fondamenta sono nei testi del Nuovo Testamento, perché di fatto Gesù ha espresso intenzioni precise su alcuni punti (pensiamo soprattutto il compito degli apostoli e in particolare di Pietro), e in questo senso ha veramente parlato della sua chiesa e ha dato norme circa la costituzione di questa. Ma questo tipo di rapporto non è quello fondamentale e decisivo. La nascita della chiesa ha piuttosto i caratteri della vita, del prolungarsi dell’esperienza di Gesù, e cioè del rimanere sotto l’azione creatrice dello Spirito Santo, perché Questi porti a compimento quell‘azione-culmine attraverso la quale Egli ha realizzato il suo capolavoro, Cristo Verbo incarnato nel seno di Maria. Lo Spirito non può sostituire Cristo con la chiesa; con altra realtà, che non sia imitazione e riflesso di Cristo; quasi per sconfessare quell’unica e trascendente ricchezza e pienezza che si racchiude nel dono di Cristo. I caratteri dell’esistenza di Gesù devono essere riprodotti nell’esistenza della Chiesa. Diciamo più concretamente il pellegrinaggio disegnato da Gesù (dal Padre al Padre, dalla storia all’eternità) dovrà contrassegnare anche la Chiesa[9]. La chiesa può nascere ed espandersi quindi soprattutto come effetto vivo del santo contagio che lo Spirito produce su uomini innestandoli nella singolare, unica esperienza di Gesù, e cioè come espansione della «sequela» di Gesù, della imitazione di Lui, intesa in senso forte, quale coinvolgimento pieno nel vortice dinamico da Lui derivato nella comunità di quei primi discepoli che sono stati da Lui chiamati, a Lui donati dal Padre, e a Lui legati dallo Spirito.Come afferma Papa Francesco tra Cristo e la Chiesa c’è una intimità e continuità straordinaria. «L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria». Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti»[10].
Ecco perché assumono importanza capitale le due esperienze in cui sono stati coinvolti, e per così dire rapiti, gli apostoli (e i discepoli) da Gesù: quella del suo radicale esodo nella Pasqua, e quello della vera nuova diaspora disegnata nella Pentecoste. Gesù ha trascinato i suoi in un «pellegrinaggio» infinito, non più come passaggio (esodo) da una regione geografica ad un’altra, da una terra di schiavitù a una «terra promessa» di libertà ancora storica, bensì di fuoriuscita da tutta la storia e da tutta la geografia (esodo assoluto, quello verso il Padre, per l’ingresso dentro la vita divina, dentro Dio Trinità). E quando i discepoli rimangono incantati con gli occhi rivolti in alto a seguire Lui che sale in cielo, quasi sognassero di poter lasciare con Lui la terra, ecco che Egli li sollecita a restare nel mondo, a predisporsi alla discesa dello Spirito Santo, per poi disperdersi sulla terra e nella storia per salare e illuminare l’umanità che è già ontologicamente «pellegrina» in forza della creazione, l’anelito e la forza per trasfigurare il suo pellegrinaggio in senso più alto, e cioè in modo totale, radicale e assoluto. Ecco perché la Chiesa è chiamata a vivere in profondità e in pienezza la memoria e la profezia: riattualizzando il passato, non solo il segmento centrale e decisivo, quello costituito da Cristo e dal suo mistero pasquale, ma tutta intera la storia umana. Bisogna proiettarsi verso il futuro, anticipando non solo l’esito finale ed eterno, ma anche, attraverso tracce di anticipo e premessa, promuovendo il perenne rinnovamento e la conversione dei singoli cristiani e della stessa Chiesa in quanto tale, e continuo progresso della famiglia umana nella libertà, nella giustizia e nella pace. Egli pellegrino si pone a noi vicino, si pone continuamente vicino ciascuno di noi pellegrini. Egli si è fatto, e continuamente si fà, nostro prossimo, si continua a fare didascaleion come presso i viandanti di Emmaus[11] e ci spiega il metodo interpretativo delle Scritture e della vita per introdurci nella via che è Lui stesso[12]; inoltre ci ha dato la discepola fedele, Maria la madre, che ha percorso la stessa via e si è realizzata; Ella in Atti, perché realizzata è stata incastonata, come Chiesa già compiuta in Dio amore, Trinità.
La dimensione pellegrinante di Maria Guardare Maria, la discepola fedele, la pellegrina è coessenziale per il discepolo che è pellegrino e desidera percorrere la stessa traiettoria di Gesù, il pellegrino per eccellenza. Paolo VI ha dichiarato che: «se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale e provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù e che apre a noi la via che ci conduce a Lui»[13]. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: «Maria precede tutti noi ‟sulla via della santitàˮ…»[14], potremmo dire sulla via del santo viaggio verso il Padre. Per questo motivo ‟la dimensione mariana nella Chiesa precede la sua dimensione petrinaˮ». Il 25 marzo 2006, Benedetto XVI in occasione della creazione dei nuovi cardinali, non esitò ad affermare che il principio mariano della Chiesa e ancor più originale e fondamentale del principio petrino». Anche Papa Francesco, in questa traiettoria dottrinale, usa frasi molto energiche e nell’esortazione: Evangelii Gaudium, asserisce che: «Nella Chiesa le funzioni ‟non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altriˮ. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera ‟gerarchica”, occorre tenere ben presente che ‟è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristoˮ»[15]. Maria, perciò, è vista come sublime ‟figura trinitariaˮ. Pertanto «è sommamente conveniente – sosteneva ancora Paolo VI – che gli esercizi di pietà verso la Vergine Maria esprimono chiaramente la nota trinitaria… che in essi è intrinseca ed essenziale»[16] Nella Costituzione Lumen Gentium si legge: «Nella Chiesa, Maria occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi»[17], e si evidenzia che «Maria per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi doni della fede»[18]. Maria, dunque, è il compendio vivente di tutte le verità di fede. Ella per così dire è la raccolta, l’antologia spirituale nella quale trovano espressione compiuta tutte le voci che riguardano la dottrina e l’esperienza cristiana. Ancora Papa Benedetto XVI sottolineava che «in Maria, l’immacolata, incontriamo l’essenza della Chiesa in modo non deformato. (Pertanto) da Lei dobbiamo imparare a diventare noi stessi ‟anime ecclesialiˮ. Dunque Maria appare, con straordinaria bellezza, la pellegrina, dopo il Figlio, che ci indica la via che è il figlio stesso dicendoci ancora una volta: Fate quello che vi dirà[19]. L’ enciclica Redemptoris Mater ha evidenziato la spiritualità mariana ed esorta che tale spiritualità si tramuti in vita. Afferma San Giovanni Paolo II nella medesima enciclica che […] «la Chiesa cammina nel tempo verso la consumazione dei secoli e muove incontro al Signore che viene; ma in questo cammino – desidera rivelarlo subito – procede ricalcando l’itinerario compiuto dalla Vergine Maria, la quale «avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio fino alla Croce»[20]
Dunque, si deve comprendere che Maria, oltre ad essere madre del pellegrino per eccellenza che è Gesù, è anche sua discepola: ciò significa che è possibile seguire Gesù, ed essere suoi discepoli alla maniera di Maria, vivendone la spiritualità. Tale spiritualità è accessibile un po’ a tutti i cristiani, questa è la ‟Via Mariaeˮ, la via della Madonna. Ci sembra di capire che facendo propria la via di Maria si percorra il santo viaggio della vita, ricalcando proprio le tappe della ‟Via Mariaeˮ, cioè le tappe della vita di Maria che sono il dispiegarsi del suo cammino verso il Padre, come il Figlio e a questo è chiamata tutta la Chiesa e il singolo discepolo, egli che deve essere Anima ecclesiale. Maria accoglie l’annuncio, la novità dell’Incarnazione, anche il discepolo accoglie la novità del Kerigma (il vangelo) ed è chiamato, come Maria, a custodirlo, a dargli vita e ad annunciarlo. Pertanto, la Chiesa e il discepolo camminano nella via se ascoltano la Parola, non a caso la fede, dice Paolo nasce dall’ascolto. Quando ci si accorge che Gesù è dentro di noi, nel cuore, per la grazia, però è dentro, anche se un po’, è come una crisalide che diviene farfalla. Vivendo questa spiritualità, che è appunto la spiritualità mariana, dalla crisalide esce Gesù, come la farfalla, Egli incomincia a crescere e diviene uomo nuovo, ci fà sè Stesso. Avviene questa nascita nuova di Gesù dentro il discepolo. Il secondo momento della ‟Via Mariaeˮ, che noi conosciamo attraverso il Vangelo, è quello della visita di Maria a santa Elisabetta; quando lei và e racconta la sua straordinaria esperienza, dona Gesù. Una volta che Gesù cresce dentro il discepolo o dentro la comunità, c’è come una luce che si espande e attiva la Chiesa in uscita, direbbe Papa Francesco, generando e vivendo la spiritualità della relazione o dell’incontro. In tal senso prende significato ogni cosa della vita, sia il passato, sia il presente, sia il futuro e inoltre si fà memoria della storia che Dio compie con ciascuno di noi, così la chiesa e il discepolo donano Gesù. Nella ‟Redemptoris Materˮ si parla, infatti, di Maria che, nella visita a santa Elisabetta, ha espresso la sua esperienza[21]. Il terzo momento della ‟Via Mariaeˮ è quando Ella dà alla luce Gesù Bambino, quando nasce Gesù. Ebbene, avviene questo nella Chiesa e fra i discepoli che si amano e amandosi a vicenda riescono a stabilire la presenza spirituale, reale di Cristo in mezzo a loro[22]. E’ un po’ come disporsi a vivere nel cammino le celebrazioni, e tutte le occasioni di vita tra credenti, i quali vivono un pellegrinare dell’uno all’altro, amandosi nella reciprocità perché lì ci sia Lui, il Dio-uomo, Gesù che li plasma e li fà Chiesa, suo Corpo. Nella presentazione di Gesù al tempio succede, invece, che il beato Simeone annuncia alla Madonna la potatura, recidere con la legge e l’ebraismo, perché Ella ha ormai la novità del Figlio. Così anche nella spiritualità, in questo itinerario, a un dato punto capiamo, o per una circostanza o per aver trattato con una persona o per qualche altra cosa, che essenziale per la vita spirituale anche nostra è tagliare, con ciò di cui eravamo convinti, col peccato, con ciò che ostacola il nostro cammino[23]. (E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala) E così potremmo vedere un po’ tutte le tappe, la visita dei pastori, la visita dei maggi, la presentazione al tempio, l’insidia di Erode e la fuga in Egitto, il ritorno dall’Egitto, il ritrovamento di Gesù al Tempio e la vita nascosta di Gesù a Nazaret, le nozze di Cana, e su, su, su, su, fino alla desolazione di Maria e fino al cenacolo, per dare un esempio di come veramente Maria non è soltanto una figura da devozione, diciamo, ma è anche da imitare. Vediamo adesso solo la tappa della desolazione, nella quale Ella è madre di tutta l’umanità. In questa tappa decisiva del cammino di Maria acquista un significato decisivo la sua maternità nel suo sì alla volontà di Dio. A prima vista, sembrerebbe che Gesù disconosca Maria come sua madre e le offra, per colmare il vuoto, un suo discepolo: uno di noi. Parrebbe quì rivelare, rispetto alle altissime promesse dell’Annunciazione, uno scambio notevolmente svantaggioso, diremmo: ‟in perdita”, che, come afferma il teologo Di Pilato, non farebbe certo onore al Dio biblico. Chissà se il dolore immenso di quel momento ha consentito a Maria di ricordare le parole di Gesù: ‟chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”[24]. Di certo, sotto la croce non può essere avvenuta una sostituzione tra ‟figli”, perché nessuna madre meriterebbe un simile trattamento. Del resto Maria questo figlio l’accolto ed Ella l’ha solo ricevuto. Ella al calvario, non giunge per rivendicare nulla, anzi rimane semplicemente ‟stabat” madre dolorosa. Ella è lì solo per amore di suo figlio e Dio lo sa. Per tale motivo, infatti, Gesù ha deciso di farle ancora un dono più grande: l’ha posta nelle condizioni di partecipare allo stesso zelo che gli bruciava dentro e che lo consumava[25], alla sua stessa passione per la Chiesa nascente, così piccola, fragile e già divisa, prima ancora che spirasse. Ecco il passaggio decisivo: sotto la croce è accaduta una sostituzione di ‟cuori” e non di ‟figli”. Era necessario che Maria ricevesse un cuore nuovo capace di dilatarsi sul mondo intero e divenisse nuovamente madre, non più di un figlio, pur se unico, ma di una moltitudine. Tutto questo ancora una volta è opera dello Spirito effuso dalla piaga atroce del Figlio crocifisso e abbandonato. Uno scambio sì, dunque, ma di cuori: un cuore al posto di un altro cuore. «Cuore per cuore»[26]. Ella ancora una volta è chiamata a perdere per far spazio completamente allo Spirito Santo. Dunque, spostare tutto, perdere tutto sempre ed anche le cose più belle e più sante»[27]. E cosa c’è per Maria di più santo e grande di suo figlio? Ora se ciò è una tappa del cammino di Maria della pellegrina ciò è necessario che avvenga per noi, sì per ciascuno di noi, ci sia dato di perdere, anteporre tutto per avere in dono «un cuore nuovo»[28]. Ella perde tutto ed è la desolata, noi siamo chiamati ad imitarla così, siamo spinti a copiarla nell’arte, affatto indolore, di saper rinunciare alle idee, alle cose, alle persone di cui, in base alle nostre aspettative e precomprensioni, ci siamo appropriati in nome di Dio, di Gesù, del Vangelo, della Chiesa, di noi, degli altri, della realtà in generale, per aprirci al Dio vivo e vero, il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe[29];in tal modo gli permettiamo di rivelarsi per quello che Egli è: più grande del nostro cuore![30]. Evidente anche oggi aleggia lo Spirito Santo, che è anche lo spirito di Maria. Oggi nella Chiesa, noi cogliamo che è necessario vivere come Maria perché mi sembra che Maria sia un pò all’opera attraverso tanti carismi nella Chiesa e questi sono oggi presenti dicendo l’azione di Maria. Secondo me è lì che si coglie meglio la presenza di Maria Ella come prima discepola di Cristo, la più perfetta discepola di Cristo, è colei che vive la Parola di Dio, che è tutta rivestita della Parola di Dio, così come dice il teologo Laurentin, quando parla del Magnificat nel quale, secondo lui, si ripetono tante frasi dell’Antico Testamento. Potremmo concludere che Maria è il ‟dover essereˮ del discepolo e della Chiesa.
Conclusione Pellegrinare verso il Padre significa impegnarsi ad essere, anzi il ‟poter essere Mariaˮ, pertanto, è necessario guardare sempre a Lei come il dover essere, diventare altri Lei. Diventando altri Gesù, si diventa in qualche modo anche altre Lei, Maria. Questa è la spiritualità Mariana vera il concentrato dell’amore di un figlio alla propria madre; questo è il vero rapporto con Lei. Vivere il giubileo significa anche aver trovata la pellegrina che ha ripercosso ogni tappa verso il Padre con Gesù e allora ecco che abbiamo trovato in Maria il proprio modello, perché poi Maria è anche il discepolo più perfetto di Cristo e quindi il modello tanto alto, di tutti soprattutto dei laici. Maria è il volto della Chiesa già realizzata, Ella è il tutto nel frammento dice il teologo Baltasar, Lei è il volto della speranza, la forma Ella è colei che indica la Speranza, Gesù, ripetendoci: Fate quello che vi dira ci invita e ci spinge a costruire una Chiesa che sia sempre in cammino verso il Padre e sia ‟volto di speranza” per l’uomo di oggi. Se la presenza di Gesù in mezzo al suo popolo che è la Chiesa è la attuazione storica e vitale dell’esperienza di Dio nell’unità dei suoi membri; Gesù Crocifisso in quando modello della carità nel suo darsi totalmente è la Chiave della sua realizzazione per la comunione nell’intersoggettività dei suoi membri i quali sono chiamati a camminare l’uno verso l’altro sino a togliersi i sandali perché la terra che è l’altro, è terra santa, e ciò va fatto sia ad intra che ad extra. In altri termini egli è il vincolo ecclesiale e sociale dei credenti e degli uomini fra loro invece Maria ne è la forma, imitarla significa entrare nel suo stampo per uscirne altri Gesù. Nella enciclica ‟Dilexit nos”, Papa Francesco ha spiegato che la missione della Chiesa è «irradiare l’amore del Cuore di Cristo, [che] richiede missionari innamorati che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita»[31]. Per essere una Chiesa in uscita missionaria, occorre quindi essere prima di tutto una Chiesa innamorata, appassionata dell’umanità! La passione che Gesù ha partecipato a Maria ci porta a comprendere come Ella, pur rimanendo Madre di Dio, sia diventata anche Madre della Chiesa e dell’umanità. Luca ci mostra, infatti, Maria al centro della Chiesa mentre si pone al servizio dei poveri, perseverando «nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere»[32]. La Parola vissuta, l’amore ai fratelli / alle sorelle e l’Eucarestia rappresentano la triplice via aperta dal Risorto per accedere all’intimo di Dio, al ‟seno del Padre” – dice Giovanni [33]. È quello il luogo dove ‟sin dal principio” si trova il Figlio, ma con una radicale ‟novità”: la presenza in Dio della sua/nostra umanità. Una verità questa che ogni anno proclamiamo nella liturgia il giorno della solennità dell’Ascensione[34] in cui è avvenuto un triplice movimento: verso l’alto, verso l’altro e verso l’intimo della Creazione.
[1]In altri termini Gesù Cristo è la rivelazione singolare, universale ed escatologica di Dio Trinità fedelmente custodita e trasmessa dalla fede della Chiesa.
[2] Cf. Gv. 16,28.
[3] Cf. Fil 2,6.
[4] P. Coda, Dalla Trinità. L’avvento di Dio tra storia e profezia, Città Nuova, Roma 2012.
[5]La figura trinitaria del Dio dei cristiani non incide soltanto sul singolo nella determinazione del suo vissuto interiore e religioso, ma dice qualcosa di decisivo sulla qualità della sua relazione con l’altro e con gli altri, nel farsi storia dell’esistenza umana entro lo scenario cosmico dell’universo e del suo destino per questo, in maniera profetica Paolo VI nel 1967 nella Populorum progressio auspicò un «nuovo slancio del pensiero» centrato su una «metafisica dell’humanum come relazione» sempre e che attinge la sua luce risolutiva dall’intuizione cristiana di Dio Trinità; la relazione è un accadere di movimento pellegrinante da me a l’altro e dall’altro a me. Cf., P. Coda in Sophia – Ricerche sui fondamenti e la correlazione dei saperi – Firenze, 2010-2 pp. 174-189.
[6] Cf. Ch. Munier Introduzione a: Giustino, Apologia per i cristiani, introduzione, testo critico e note di Id., Sources Chrétiennes, n. 507, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2011, pp. 1-145; G. Mucci, I semi del Verbo. Gli elementi di verità nelle religioni non cristiane, in La Civiltà Cattolica, 2004, I, pp. 47-53,
[7] La dimensione della Chiesa che guarda Maria quale icona oggi col concilio è stata notevolmente recuperata perché è Lei l’icona di ogni discepolo e della Chiesa intera. Cf. G. Magro, L’Ave Maria. Dalla preghiera orale alla preghiera esistenziale, Cerchio Aperto, Delia 20252.
[8] Cf. G. Zanchi, Rimessi in viaggio. Immagine di una Chiesa che verrà, Vita e Pensiero Milano 2018.
[9] N. Ciola, Gesù Cristo. Figlio di Dio, Borla Perugia 2012, pp. 284 -417.
[10] Francesco, Evangelii gaudium, n° 23.
[11] Cf., Lc., 24, 13 -53; Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro.
[12] Cf., Gv., 14,1-6; Io sono la via, la verità e la vita.
[13] Paolo VI, Discorso durante la visita al santuario della Madonna di Bonario, Cagliari, 24 aprile 1970.
[14] Catechismo della Chiesa Cattolica, n 773.
[15] Francesco, Evangelii gaudium, n° 104.
[16] Paolo VI, Marialis cultus, n° 25.
[17]Lumen gentium, ° 54.
[18] Ibid., n° 65.
[19] Cf., Gv. 2,1-11; Sua madre disse ai servitori: ‟Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.
[20] Giovanni Paolo II, Redentoris Mater, n° 2
[21]Ibid., n° 12.
[22] Mt., 18, 20.
[23] Mt. 5,29-30.
[24] Cf., Mt 16,25 e S. Paolo scriverà anni dopo che: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21).
[25] Cf. Gv., 2,17.
[26] C. LUBICH, Cuore per cuore, in L’essenziale oggi, (Scritti spirituali 2), Città Nuova, Roma 1978, p. 85.
[27]Ibid.
[28] Cf. Ez 36,26.
[29] Cf. Mc 12,26.
[30] Cf. 1Gv 3,20.
[31] Francesco, Dilexit nos, n° 209
[32] At 2, 42.
[33] Cf. Gv 1,18.
[34] Cf. At 1,1-11.