11 Marzo 2025

L’afflizione che precede il giubilo nel tempo della prova

di don Salvatore Chiolo

L’attenzione suscitata dalle parole di Gesù rivolte al diavolo, durante gli incontri nel tempo del deserto, è indicata dalle prime comunità cristiane in poi come un dono a cui bisogna guardare con una certa responsabilità. Non basta la frequenza e la presenza solo fisica di chi sceglie il vangelo come stile di vita della propria quotidianità, occorre essere presenti, cioè maturare quella compostezza interiore che fa la differenza tra l’esserci e il fare numero e che si chiama “fraternità”. Nella fraternità, l’attenzione alle parole di Gesù e l’attenzione al fratello coincidono poiché le parole di Gesù sono scritte nella vita dell’altro, come musica sopra un pentagramma, e, allo stesso tempo e ritmo, la vita dell’altro riverbera l’insegnamento di Gesù più essenziale, che è l’accoglienza.
Il tempo della Quaresima, in quanto «segno sacramentale della nostra conversione» (come fa pregare il Messale nella colletta della prima domenica), dispone ad una gioia immensa, unica e inalienabile: il ritorno alla vita. Esso è scandito da prove e tentazioni, in cui sia Dio che il diavolo si fanno interlocutori e a cui si è certi di poter rispondere soltanto in base al rapporto che si ha con sé stessi e con l’altro, il fratello, ovvero con colui per «per il quale Cristo è morto» (1Corinzi 8,11).
La prova delle fede di Abramo da parte di Dio introduce la “nuova” presenza di Isacco, immagine della fraternità riscattata, così come la tentazione del pinnacolo del tempio inizia il cristiano alla comunione con l’altro in quanto testimone dell’amore di Dio toccato, stretto a sé e custodito con gelosia.
La prova del popolo nel deserto da parte di Dio stabilisce i confini entro i quali muoversi per rendere testimonianza a Colui che salva ogni giorno i suoi figli dall’isolamento (Deuteronomio 8,2ss), per condurli mano nella mano fin dentro alla Chiesa; la tentazione del diavolo di una vista mozzafiato sopra tutti i regni della terra rivela, a sua volta, il modo di camminare, di collocarsi e fissare la propria dimora in una patria il cui governo è giustizialista, meritocratico e sempre più belligerante.
Infine, la prova della casa d’Israele da parte di Dio istituisce l’afflizione come terapia alla testardaggine e alla durezza del cuore nell’obbedire al Signore (Isaia 48,10), mentre la tentazione del diavolo durante la fame di Gesù anticipa l’appetito del cristiano verso la Parola da gustare, masticare e vivere sempre più in profondità alla maniera del profeta che racconta: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità» (Geremia 15,16a). Non è dato alcun ritorno alla vita, alcuna resurrezione se non attraverso il desiderio di rimanere nella vita stessa, come il segno di Giona fin dentro al «cuore della terra» (Matteo 12,40); e non vi è accesso alla vita eterna nell’ “oggi” del Signore se non si rimane nelle sinagoghe e nei sinedri allestiti ad hoc per accusare, imputare e condannare con processi brevi e sommari, senza alcun contraddittorio. È un dono resistere con attenzione alle prove del Signore nei confronti dei suoi figli; ma lo è ancora di più produrre resilienza di fronte alle tentazioni dell’avversario storico di Gesù Cristo, tanto intelligente e furbo, ma anche impaziente, convulso e agitato al punto tale da cadere «nella fossa che ha fatto» (Sal 7,6). È una grazia dall’alto che bisogna imparare a custodire essere capaci di gioia, seppur innanzitutto svuotati e sgomberati dal di dentro attraverso manovre all’apparenza inopportune, ma in realtà provvidenziali; è un privilegio riservato solo a chi ascolta e vive la Parola nella propria storia senza sottrazioni, tentennamenti o tremori, ma con mitezza e coraggio, con eleganza e tenacia, cantare l’intervento dell’Onnipotente perché: «Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri» (Isaia 51,11).

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