
L’evento
Recentemente presso la città di Roma, esattamente dal 14 al 15 febbraio, si sono dati appuntamento alcuni amministratori accumunati dall’ispirazione cristiana e dallo sguardo verso il bene comune. A Trieste in luglio, al termine della Settimana Sociale dello scorso anno, un gruppo di questi amministratori hanno dato vita a una proposta nuova e audace: la «Rete di Trieste» questi hanno immaginato un percorso trasversale, libero e originale, capace di superare le divisioni politiche tradizionali. Tutto questo vuole essere un servizio disinteressato per aiutare la politica a ritrovarsi intorno al principio di solidarietà che promuova il Bene comune. Gli attori che hanno promosso l’incontro sono persone che operano nei contesti locali più disparati, formando un patrimonio di competenze e passione il cui potenziale rimane ancora in gran parte inespresso. Questo potenziale, quale risorsa umana e diversificata nella competenza sia disciplinare che del servizio, va oltre la dimensione locale, perché l’amministratore, con la sua capacità di affrontare i problemi a partire dalla vita concreta delle persone, si rivela un antidoto potente alla polarizzazione esasperata che caratterizza il dibattito politico nazionale e internazionale. Purtroppo oggi assistiamo ad uno scenario alquanto preoccupante perché il Bene comune è stato scardinato dall’obiettivo originario che ha la politica, l’interesse non è più ‟la persona in sé ˮ e nella sua relazione sociale, e al sociale stesso nel suo insieme, ma semplicemente ella è uno strumento per l’interesse egoistico di parte e di pochi. In questa iniziativa pare di risentire il grande don Luigi Sturzo il quale promosse moltissimo la cooperazione che libera l’uomo dal centramento su di sé. Egli scriveva: «…lo spirito della cooperazione abbraccia ogni ramo di attività perché fa appello alla fratellanza umana e alla collaborazione reciproca…Ormai i fatti ci provano che si può trasformare intere regioni in una rete di cooperative [o di cooperazione] così fitta da non esserci più luogo per le imprese a scopo di lucri capitalistico; […]. [Questo principio] riafferma l’idea e la pratica della cooperazione fra gli italiani, ma l’insegna per il futuro del nostro paese»[1]. Per don Sturzo “la cooperazione, in tutte le sue forme, deve essere alla base di ogni riforma sociale; noi dobbiamo preferirla perché tende, per il suo carattere specifico a superare gli egoismi tanto del capitalismo reazionario e sfruttatore che del sindacalismo politicante”.[2] I detti di don Sturzo sono così attuali che vanno riproposti ricomprendendoli nell’oggi storico che stiamo vivendo. Pertanto se nel periodo storico di don Luigi lo Spirito Santo con l’enciclica di Leone XIII, “Rerum Novarum”, segnò il ‘periodo’ della nuova era alla quale Sturzo e tanti altri risposeroallo Spirito anche oggi è necessaria una risposta chiara e la ‟Rete di Triesteˮ sembra l’ho stia facendo.
Nell’oggi della Storia ‟lo Spirito dice alle Chiese… ai battezzatiˮ
Anche oggi lo Spirito dice alla Chiesa (Popolo di Dio) attraverso l’Enciclica Laudato Sì di Papa Francesco o della Fratelli Tutti, qualcosa e pertanto bisogna rispondere. Non lasciamo cadere l’invito o meglio l’appello dello Spirito Santo che spinge ciascuno e tutti insieme verso il cuore del messaggio chiaro di Papa Francesco; egli fa appello al valore morale e relazionale di ogni nostra azione, per piccola che possa sembrare. Dalle grandi multinazionali alla madre di famiglia, tutti siamo invitati, e a maggior ragione chi si occupa di politica attiva, a riflettere sulle conseguenze dei nostri comportamenti, perché essi non sono mai privati, neutri: su un pianeta come il nostro ogni gesto entra in relazione con gli altri. Il testo di Papa Francesco, in sostanza, si dirige in modo chiaro ed energico contro l’individualismo, ma non si esaurisce per questo in una condanna: è l’invito a costruire insieme una creazione ancora in status viae. Ne viene così rivista la nozione di “qualità della vita”: essa non è più solo legata ai beni materiali e di consumo di cui si dispone, ma alle relazioni di cui si è protagonisti; relazioni storiche, familiari, culturali, ambientali che ci arricchiscono e ci fanno essere noi stessi[3]. Si trova qui un’importante ermeneutica di tutto il documento: quando parliamo di “ambiente”, afferma Papa Francesco, facciamo riferimento alla relazione tra la natura e la società che la abita[4]. Aspetto fondamentale di questa ecologia integrale la quale è in continuità con il pensiero di S. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. L’ecologia umana implica la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella propria natura, indispensabile per creare un ambiente dignitoso e vivibile, nel quale l’essere umano si trovi a proprio agio. Ed esiste una “ecologia dell’uomo” perché anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere[5]. Inoltre nella situazione odierna, la nozione di bene comune non può essere impiegata senza far riferimento anche ad un “principio di solidarietà”[6]. Parlare di ambiente si traduce dunque, necessariamente, in un discorso sull’attenzione ai più poveri, che dei comportamenti contrari ad una retta ecologia, sono i primi a pagarne le conseguenze. Siamo dunque difronte ad un documento di dottrina sociale della Chiesa, nel quale il tema della giustizia, dell’equa distribuzione dei beni e della difesa dei più deboli costituisce la maggiore preoccupazione di fondo che ne motiva le riflessioni. Sarebbe però riduttivo inquadrarla come una semplice enciclica sociale, così come sarebbe riduttivo, per quanto prima visto, interpretare la nozione di ecologia come semplice cura dell’ambiente naturale. Mentre nella “Fratelli tutti,” ancora con più chiarezza, egli sottolinea che la fraternità è da promuovere non solo a parole, ma nei fatti;fatti che si concretizzano nella “politica migliore”, quella non sottomessa agli interessi della finanza, ma al servizio del bene comune, in grado di porre al centro la dignità di ogni essere umano e di assicurare il lavoro a tutti, affinché ciascuno possa sviluppare le proprie capacità. Una politica che, lontana dai populismi, sappia trovare soluzioni a ciò che attenta contro i diritti umani e, per fare questo, è necessario vivere la prossimità che poggia sull’amore vero.
Chiarezza della crisi e del messaggio – quale proposta operativa?
L’amore cuore é sorgente della vita cristiana e questo va declinato anche in politica. Papa Francesco ricorda le due declinazioni dell’amore politico: l’amore elicito («gli atti che procedonodirettamente dalla virtù della carità, diretti a persone e a popoli»[7] e l’amore imperato (gli «atti dellacarità che spingono a creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali»)[8].In questo quadro, l’impegno politico – nella visione credente – viene in qualche misura liberatodai suoi elementi “strategici”, per configurarsi piuttosto come riconduzione dell’alterità a un comuneparadigma agapico, a partire dal rapporto tra formazioni politiche alternative, fino al punto di«praticare l’apparente paradosso di amare l’altrui idea o partito o schieramento come il proprio.»[9]Questa visione e affermazione è sorprendente, anche alla luce della concezione corrente della politica come “conflitto di visioni”, ma solo questa pratica può formare una vera rete capace di condure un azione nuova. Quanti si ritengono che la fedeltà all’idea che motiva l’impegno politico sia un dovere dicoerenza e una responsabilità potrebbero fraintendere, talvolta, il senso di questa altaconsiderazione per “il partito altrui”. Anche in questo caso, in realtà, l’attenzione deve essere rivoltaalla matrice intrinsecamente relazionale della visione agapica ed evangelica, attraverso la quale vienefiltrata ogni eventuale radicalizzazione identitaria.A Trieste, al termine della Settimana Sociale dello scorso luglio, un gruppo di questi amministratori ha risposto allo Spirito e dato vita a una proposta nuova e audace, libera e originale, capace di superare le divisioni politiche tradizionali.Si è fatto un grande passo, perché è necessario sviluppare aggregazione e collaborazione. Tale iniziativa Mons. Renna la definì una «sorpresa dello Spirito» e a Roma ha proseguito il percosso coraggioso, in un clima di speranza. Questo progetto il 14 e 15 febbraio ha vissuto una tappa fondamentale:i 300 amministratori provenienti da diverse formazioni politiche si sono ritrovati a Roma, alla Domus Mariae, e non per darsi una identità precisa, ma intanto, per crescere nella conoscenza e nel dialogo. Non si è trattato di fondare l’ennesimo partito o una nuova corrente, ma di favorire una “costituente” per il bene comune, un patto di uomini e donne di buona volontà, giovani e adulti, pronti a mettersi in gioco. L’obiettivo è affrontare con serietà e passione i veri problemi del Paese, attraverso azioni concrete, guidati da ideali forti, ma senza cadere nelle trappole delle ideologie elettoralistiche.Si è tenuto conto dell’incipit originario:”trasversalità e concretezza”;il programma, frutto di numerosi incontri regionali (oltre 600 amministratori si sono iscritti alla “Rete di Trieste”) e di confronti con associazioni e movimenti. Il metodo che ha guidato l’iniziativa è stato quello di Trieste: un dialogo serrato, orientato a prendere l’iniziativa, a diventare protagonisti e non spettatori, riscoprendo il piacere di discutere e partecipare, che sembra ormai perso anche all’interno dei partiti. L’obiettivo che la Rete vuole perseguire rimane creare uno spazio aperto dove discutere di progetti, superando le barriere delle coalizioni e le polarizzazioni che esasperano le posizioni e spesso impediscono anche ai cattolici di dialogare tra loro. La via del dialogo è la prima e più importante strada per riattivare la partecipazione. In un contesto oggi in cui solo il 40% della popolazione vota e i corpi intermedi stanno scomparendo, la democrazia rischia di trasformarsi in una “democratura”. Impegnarsi per rinnovare gli strumenti della democrazia, restituendo loro credibilità, è un passo da compiere insieme. Il prepolitico non basta è necessario incoraggiare il cammino intrapreso.
Conclusione
Trieste ha segnato una vera svolta, ha rappresentato un appello a chi è già impegnato e a chi sente nel cuore il desiderio di un impegno pubblico lo faccia con coraggio. La scena politica non va lasciata a quanti si servono della politica e non servono la comunità ma impegnandosi a servire l’altro mettendo le mani nell’agone della politica. La Settimana Sociale ha sancito la fine della retorica del prepolitico: ogni ambito di impegno, se sa coniugare azione e riflessione, se è inclusivo e trasformativo, è di per sé un terreno politico. Bisogna continuare sulla via del dialogo, organizzare la partecipazione, trovare linguaggi comuni e azioni condivise: è un obiettivo ambizioso, forse addirittura più importante che fondare un nuovo partito. Igino Giordani che fù parlamentare ed ebbe un grande amore per la Chiesa, per l’uomo e sentiva la corresponsabilità di fare della società la città di Dio,[10] così diceva: “Politica e religione”- ‟città dell’uomo e città di Dio”-“l’una per l’altra”. Non regge quella senza questa. La città dell’uomo, separata dalla città di Dio, è divenuta una città di morti: morti che camminano. […]. C’è chi vaglia i fatti politici alla stregua del marxismo, c’è chi li vaglia alla stregua del liberalismo o di altra ideologia. Il cristiano, in qualunque partito militi, deve vagliarli e risolverli alla stregua del Vangelo […]ˮ[11]. Il suo vivere fu particolarmente radicato nella dimensione cristologica .egli vedeva nel Crocifisso-Risorto la primizia del rinnovamento della storia, è Lui che rinnova ciascuno e tutti insieme perché Egli, il Cristo, è presente nella relazione; questo è il costituito vero segreto del rinnovamento politico e sociale[12].
[1]Il 27 marzo 1946 don Luigi Sturzo firmava l’editoriale del primo numero de “l’Italia cooperativa”, l’organo di Confcooperative che sarebbe uscito poco meno di un mese dopo, il 25 aprile.
[2]Sturzo L., lettera Agli amici Siciliani, 1947
[3] Cf. Enciclica LaudatoSì, n. 145
[4]Cf. Ib., n. 139
[5] Cf. Ib., n. 155
[6] Cf. Ib., nn. 155-158
[7]Ib.,Fratelli Tuttin. 186
[8]Ib.
[9] Cf., Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Milano, Mondadori 2001, p. 299
[10] Giordani I., Cristianizzare la politica. I Centri di Santa Chiara. Città Nuova Roma, 1962, p. 9 – 13.
[11]Ib., p. 28-30
[12] “L’amore è l’esperienza fondante della morale, che integra in sé l’assoluto dell’accettazione della persona (elemento intersoggettivo) e la finalità intrinseca del desiderio del bene (elemento oggettivo). Questa integrazione è opera della ragione, che deve dirigere l’agire umano verso la realizzazione della comunione: amore e ragione si trovano fin dall’inizio, intrinsecamente e originalmente uniti. In questa esperienza si svela anche il senso ultimo della vita, come vocazione ad una comunione delle persone nella storia mediante il dono di sé. Cf., Gaudium et spes, 1965, n. 24.