27 Gennaio 2025

Il Giubileo del popolo cristiano, saggio e intelligente che cerca Dio

di don Salvatore Chiolo

La ricerca di Dio ha da sempre contraddistinto l’uomo dal resto delle creature. Dal profondo del cuore egli si è inoltrato in argomentazioni che potessero giustificare il senso della sua presenza e della bellezza della relazione con Lui; ma ogni parola è risultata ripetitiva e, a volte, anche povera rispetto all’esperienza dell’incontro, appunto. La scienza e il suo impegno nel dimostrare che Dio esista o meno non ha potuto sostituirsi al bisogno di toccare e vedere Dio, motivo per cui le religioni sono diventato un riferimento costante per l’umanità al fine di mediare una tale esigenza e permettere all’uomo di avere un dialogo con il quale dare del “Tu” a questa realtà immateriale ma viva. Questo però, ad un certo punto, ha provocato anche delle stagnazioni, delle risacche nelle quali l’uomo si è perso illudendosi di averlo conosciuto definitivamente ed è stato necessario, quindi, ricominciare da capo, recuperando tutto il buono possibile dalla storia passata e costruirvi sopra un nuovo step, un nuovo percorso.

Nella religione ebraico-cristiana è stato essenziale il ruolo dei profeti, cioè di uomini che aveva contemporaneamente un rapporto profondo con Dio e la capacità di evitare gli schemi, le strutture rigide dell’istituzione religiosa del momento. Grazie ad essi l’uomo si è percepito anche in collegamento con gli altri, proprio in virtù della ricerca di Dio condivisa e partecipata sia individualmente che comunitariamente. Isaia è stato uno dei primi profeti a comporre una tradizione spirituale codificata e scritta attraverso cui tracciare un solco per i figli d’Israele; su di esso avrebbero potuto continuare a percorrere la stessa direzione spingendola sempre più avanti e, soprattutto, senza dover ogni volta improvvisare nuovi inizi. La sua attività inizia proprio nel momento in cui la risacca spirituale della religiosità ebraica si è persa nel formalismo dei riti e nella presunzione di sapere tutto ormai su Dio. «Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue» proclama  il Signore con tono lapidario, indicando tramite il profeta un modo per recuperare il rapporto: «imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Isaia 1,15.17).

Cercare Dio è veramente un gesto nobile; ma cercarlo sinceramente è diverso. La sincerità del cuore espone ad un’iniziativa che non viene dall’uomo, ma da Lui; perché è Sua la costanza e la fedeltà e ad essa l’uomo accorda la propria fiducia con umiltà e spirito semplice, docile, proprio come è scritto al termine del libro del profeta: «Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola» (Isaia 66,2). Cercare, avvicinarsi, lasciarsi guidare e poi anche rilanciare e spingersi in avanti sono tutti atteggiamenti di uno stile che esprimono sia il bisogno di Dio che la sua iniziativa fascinosa e attraente. Se è vero che: «Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità» (Sal 145,8) è ancora più vero che  Egli: «chiama all’esistenza le cose che non esistono» (Romani 4,17), perché: «Quanto più si è in grado di ricevere l’amore di Dio, tanto più lo si ama» (Diadoco di Fotice).

La relazione con il Signore si alimenta della relazione con gli altri, nei confronti dei quali ciascuno è esposto in modo umano, semplice e naturale. I camuffamenti e i trabocchetti allontanano gli altri e, di conseguenza, allontano l’uomo da sé stesso e da Dio, da Colui che il suo cuore sente di cercare, ma rifiuta di ascoltarne la chiamata, l’attrazione, il fascino. Ogni incontro con gli altri è un incontro che celebra la presenza di questa forza interiore sempre creativa ed originale per cui ha senso pregare dicendo: «Tu lo chiami a cooperare con il lavoro quotidiano al progetto della creazione e gli doni il tuo Spirito, perché in Cristo, uomo nuovo, diventi artefice di giustizia e di pace» (prefazio Comune IX). Ma l’esperienza giubilare, della ripresa magari, ma sicuramente della continuità nel rapporto fraterno e comunitario, ha bisogno di recuperare sincerità e, gradualmente, correttezza, chiarezza, onore, dignità affinché l’incontro con Dio sia reale, storico, e non come quello in cui i discepoli ebbero paura e gridarono: «È un fantasma» (Matteo 14,26; Marco 6,49): nella rotta in mare aperto ogni comunità segue la stella e sopra le acque in tempesta come sopra quelle piatte procede sicura per la guida puntuale dello Spirito dato al popolo saggio e intelligente (Dt 4,6).

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