20 Dicembre 2024

Le parole del profeta Isaia per la preghiera durante l’avvento

Un solo Dio e un solo popolo. Amore e comunione nella visione cristiana della bellezza della vita.

di don Salvatore Chiolo

La terza settimana di Avvento introduce ai nove giorni che precedono la celebrazione del Natale e, quindi, ad una sorta di conto alla rovescia con cui scandire parole, sensazioni e suggestioni che evocano non soltanto la venuta di una persona mandata da Dio ma anche la redenzione di tutta una situazione disastrosa in cui il popolo versa da diversi anni ormai.

Sin dal 17 dicembre, la lettura continua del libro del profeta con i brani scelti per l’ufficio delle letture prosegue  il filone introdotto con le letture proposte dal lezionario fino alla II settimana. Quello che si era annunciato dall’inizio dell’Avvento con le letture della celebrazione eucaristica, prima con la promessa di invitare tutti gli uomini alla convocazione a Gerusalemme, la città Santa, e poi con la promessa di custodire, tra tutti gli uomini, i poveri e gli stanchi in modo privilegiato, viene completato dai brani proposti nell’ufficio delle letture dal 17 al 24 dicembre. Un’opera di composizione liturgica minuziosa, elaborata e di profonda facilitazione per le comunità che vivono questo tempo con la preghiera sulle labbra e nel cuore.

Ciro, re Di Persia, è subito presentato al 17 dicembre come il diretto esecutore degli ordini del Signore d’Israele, che ci tiene a ribadire essere l’unico Signore: all’infuori di lui «non c’è alcun altro» (Isaia 45,5.6). La ripetizione esplicita di questo carattere distintivo del Dio degli ebrei è utile a non confondere la persona di Ciro con il Signore, nonostante Egli lo abbia investito di poteri straordinari che restaureranno la sorte del popolo. L’inviato ha una sua missione, che gli riguarda sempre di più dal momento che egli non è Dio, ma il suo strumento. Dinanzi al Signore non esistono altri idoli, poichè Egli sostiene: «Fino alla vostra vecchiaia io sarò sempre lo stesso, io vi porterò fino alla canizie» (Isaia 46,4); il passare del tempo può mutare la condizione del popolo, ma non quella di Dio che, addirittura, non si lascia turbare da niente e nessuno mantenendo immutato anche il proprio desiderio di salvare il popolo come fosse suo figlio. «Sono colui che dice: Il mio progetto resta valido, io compirò ogni mia volontà!» (Isaia 46,10), così si legge al 18 dicembre. Puntuale e determinata l’azione di Dio muove nell’intento di colpire chi ha umiliato il popolo eletto, che attraverso le scritture del profeta ricorda nel brano del 19 dicembre quanto sia stato importante credere in Lui: «Scendi e siedi sulla polvere, vergine figlia di Babilonia. Siedi a terra, senza trono, figlia dei Caldei, poiché non sarai più chiamata tenera e voluttuosa» (Isaia 47,1). La figura e l’immagine di altri salvatori e redentori si dovrà distruggere senza remore, lasciando che l’unica presenza, quella che veramente ha garantito sulla bontà del destino di un popolo in grado solo di oscillare il più delle volte, sia la stessa di una persona dedicata al resto d’Israele: popolo spesso poco onesto e sincero ma, alla fine, rimesso in piedi in ciascuno dei figli di Giuda, come creature veramente nate dalle sue viscere. «Per riguardo a me, per riguardo a me lo faccio; altrimenti il mio nome verrà profanato. Non cederò ad altri la mia gloria», sono le parole scelte tra quelle da leggere il 20 dicembre per ricordare alle comunità ecclesiali di tutti i tempi la fedeltà con cui Dio rende nota la potenza di tutta quanta un’opera che ha un nome preciso (Isaia, 48,11). Senza dimenticare che la prima parte del libro del profeta aveva promesso un bambino al popolo, un fanciullo in grado di guidarlo e tirarlo fuori dalla paura dell’Assiria, il nome di Dio, che mai verrà profanato, non è per niente diverso da quello che avrà proprio lui, l’Emmannuele: «Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Isaia 9,5). Un nome che riporta continuamente alla memoria fatti, eventi, persone, circostanze miracolose in cui il resto del popolo è scampato alla sciagura; un nome che crea, riproduce e facilita comunione, intesa e obbedienza filiale. Non un appellativo di terrore; ma un richiamo gentile e fiero, penetrante e dinamico che promuove atteggiamenti di totale ripresa verso un futuro sempre più capovolto dalla parte del bene. «Giubilate, o cieli, rallégrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri», si legge al 21 dicembre giusto per non lasciare più spazio ai dubbi con cui l’anima spesso viene rallentata nella comprensione piena della bellezza della vita (Isaia 49,13).

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