3 Dicembre 2024

Tempo d’attesa o di compimento?

Attesa del Santo Natale o dell’apertura della Porta Santa

di don Giacinto Magro

Il tempo d’Avvento, con il quale si apre l’anno nuovo liturgico è già iniziato da qualche giorno. Questo tempo è un tempo propizio per prepararsi al Santo Natale ma, quest’anno, sarà anche tempo per prepararsi all’apertura del Giubileo. Coincidono tanti inizi e tanti segnali di celesti favori. Eppure il tempo che ci sta dinanzi è un tempo per raddrizzare i sentieri e dirigere lo sguardo al Figlio dell’uomo. Spesso oggi il nostro sguardo è rivolto a molti altri bisogni che ci distolgono dell’essenziale. Per questo l’invito è quello di alzare lo sguardo e svegliarci dal sonno narcotico degli idoli e pregare – cioè stare alla presenza di Dio continuamente – per ricevere vigore e vivere tutto guardandolo a partire da Dio e dal cono di Luce di Lui, che è Gesù.
Alzare lo sguardo, il capo, significa non ripiegarsi su di sé, non lasciare che il cuore si appesantisca per le preoccupazioni e i mali presenti. Alzare lo sguardo significa esercitare la profezia che ci è partecipata dal Figlio col Battesimo, per avere uno sguardo critico e costruttivo sulla storia, su di noi, del nostro ambiente e sulla storia che stiamo vivendo per discernere ed essere segno di contraddizione.
Incontrato lo sguardo del Figlio, potremmo riabbassare il nostro sulle situazioni del mondo, della Chiesa, della nostra famiglia, e su noi stessi, con la luce e la mitezza e serietà di scelte nuove ed evangeliche che fecondano la vita nuova che in Lui è già iniziata. Così potremmo guardare ogni cosa con gli occhi di Gesù, l’uomo vero, l’uomo nuovo che ci ha manifestano lo sguardo del cuore misericordioso del Padre buono!
Oggi la fiamma della speranza che è Gesù Cristo – che ci libera dalla paura e dalla morte – continua a brillare nei nostri cuori, ma è proprio vero che brilla? L’amore di Dio è più forte della nostra paura e della morte! Dio è fedele e porta a compimento le sue promesse; Egli non ci dimentica, Egli ci promette la felicità che non avrà mai fine. Egli è colui che ha costruito la sua tenda in mezzo agli uomini!
Egli è venuto nel Figlio e continua a venire, perché è  il Figlio, Gesù, l’eterno veniente e desidera stabilirsi tra di noi. La festa dell’Immacolata infatti s’iscrive in questo orizzonte.
Ecco perché, come ogni anno, la solennità dell’Immacolata si celebra nel cuore del tempo di Avvento, che può tradursi con: ‟presenza, arrivo, venuta”.
Per questo l’Avvento, la novena dell’Immacolata compresa, è tempo di speranza. La speranza segna il cammino dell’umanità, che non è solo un sentimento di possibilità non sicura, per i cristiani essa è animata da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita. È altresì tempo della presenza e dell’attesa dell’Eterno. Proprio per questa ragione è, in modo particolare, il tempo della gioia, di una gioia che nasce dal di dentro del nostro essere, appunto interiorizzata. Contemplare Maria, piena di grazia, liberata da ogni peccato, potrebbe sembrare che Ella sia situata molto lontana da noi che, pur desiderosi di bene, spesso facciamo l’amara esperienza del limite, del peccato.
Al contrario, situata nel tempo liturgico dell’Avvento, l’Immacolata ci appare come segno da contemplare oltre che da pregare – come segno – di consolazione e di sicura speranza.
Per comprendere meglio il senso dell’Avvento è davvero opportuno guardare a Maria che, appartenendo al popolo di Israele, sperava e attendeva con tutto il cuore la venuta del Salvatore, del liberatore. Forse Lei lo attendeva in maniera trascendente; per questo Ella rimase assai sorpresa dall’annuncio di Gabriele quando le annunciò che Dio avrebbe desiderato realizzare la sua venuta sulla terra attraverso di Lei.
Il ‟Si” generoso e pieno di fede di Maria là posta difronte a Dio nella sua totale disponibilità, nel suo totale vuoto di sé per essere totale ricettacolo di Lui.
Per questo Egli, Dio-Amore, la trasformò in dimora di sé, del suo Figlio ed Ella, divenne vero tempio di Dio nel mondo e porta aperta attraverso la quale il Salvatore entrò nella storia.
Allora Maria è Madre di Dio e della Chiesa, anzi madre dell’umanità.
La Chiesa, infatti da sempre, nella costituzione  Lumen Gentium, l’invoca con fiducia, Mater Dei et Mater Hominum, ovvero «Madre di Dio e Madre dell’umanità». Pertanto và fissata l’attenzione al nesso indicatoci tra questi due titoli mariani indicatici dal Concilio.
La ragione risiede nel mistero del suo Figlio Gesù, vero Dio e vero Uomo. Nei Vangeli, fin dalle prime pagine, risulta evidente che la rivelazione cristiana è stata resa possibile per il libero coinvolgimento di Maria.
Tentare quindi di parlare di Lei sottraendosi al fascio di luce che si diparte dal Verbo incarnato è cosa impensabile. Maria non può essere contemplata senza il Figlio, Ella è relativa a Lui e noi come Chiesa non possiamo prescindere dal Figlio Gesù.
Questa era la ragione per cui il Papa, San Paolo VI parlava infatti del compito affidato a Maria nei confronti della Chiesa. Secondo lui, Maria come ha cooperato con Dio a dare un corpo umano al Verbo incarnato, così coopera anche oggi alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle persone, nei suoi discepoli, nei battezzati.
Il compito affidato a Maria nei confronti della Chiesa è “cooperare”.
Il verbo impiegato dal Papa cooperare è connesso all’opera di santificazione dello Spirito Santo che è il protagonista dell’azione della Chiesa.
L’Immacolata quindi ci appare come segno di consolazione e di sicura speranza, perché Ella ci dona il Cristo e, lo continua a dare, attraverso la Chiesa, la quale è tipologicamente Maria. Ella è con la Chiesa all’opera e ci dona Gesù il quale è la Speranza stessa.
La speranza non è soltanto un atteggiamento propositivo, o d’inclinazione alla resilienza, nel rialzarsi dopo qualche brutta caduta, nel remare – pur contro corrente – per migliorare il presente più o meno disastrato.
Ora cos’è la Speranza di cui Maria è Madre? Per San Paolo la Speranza è impersonata da Cristo Gesù: non è una nostra attitudine, ma è una persona di fronte e accanto a noi con la quale siamo chiamati ad intrattenere un reale rapporto personale, fino a configurarci a questa persona stessa, e fare nostri  – direbbe San Paolo – «i sentimenti», ossia la phronesis secondo Fil 2,5, fare nostra la stessa intelligenza e avere la medesima visione della realtà, lo stesso discernimento critico, costruttivo e prudenziale.
Per questo la densità cristologica della Speranza protende, rispetto a noi, anche se è un tutt’uno con noi che siamo chiamati a viverla come certezza che l’opera di Dio in Gesù è già compiuta, eppure ancora è da giungere al suo compimento.
La Speranza non solamente è nutrita da noi, soggettivamente: di più da chi è ottimista, di meno da chi è pessimista, ma – la Speranza cristiana – è, piuttosto, oggettivamente l’orizzonte nuovo in cui veniamo coinvolti. La Speranza è il luogo teologico dove possiamo attingere la salvezza, essendo la Speranza stessa proprio la Persona di Gesù, il Risorto, che non profila delusioni e non contrabbanda illusioni, la cui risurrezione ci guarisce dalla disperazione. Il tempo d’Avvento ci ricorda tutto ciò in una triplice dimensione;da una parte ammirando la prima venuta storica di Gesù, ma vivendo nella tensione del presente, la disponibilità ad accogliere la manifestazione gloriosa di Lui, il quale nella Grandezza porterà a compimento l’opera del Padre. In tutto questo Maria ne diviene la forma che noi siamo chiamati ad assumere come discepoli e come Chiesa.  Egli ci guarisce da tutti i fallimenti, dall’impressione d’aver fallito nell’accettare d’essere suoi discepoli, come l’accettò Maria.
Ella, vedendo il Figlio quasi come fallito e perseguitato fin da bambino, non si tirò indietro, ma continuò ad essere fedele a Dio che le stava difronte.
Ora ella è l’Immacolata perché vuota di Tutto fatta bella e tutta bella da Dio solo, ripiena solo di Lui, Dio, per questo non permise all’avversario di attaccarla. In questo Ella è nostro modello.
Guardando Lei dovremmo imparare la sua postura nello stare difronte a Dio-amore, difronte alla storia, sapendo che la Speranza, che è Gesù, ha già compiuto la sua promessa. Egli la promessa là già compiuta totalmente in Maria, ecco perché è anche l’assunta, ma ora vuole compierla per noi e con noi. Il giubileo  ci fa vivere tutto ciò. Infatti San Paolo in 2Cor. 11, 2. afferma: Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi ad un unico Sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo.

Pertanto l’atteggiamento che siamo chiamati a vivere anche noi è quello di cooperare con Cristo perché la promessa di Dio in noi sia accolta e attuata.
Eppure ogni promessa di Dio è certamente portata a un compimento e, in quanto Divino, sovreccede la promessa stessa (Dio promette tanto e dona ancor di più); venendo di fatto rilanciata verso un futuro da compiersi, ancor più grande e meraviglioso del già compiuto.
Così il già compiuto si dimostra un’anticipazione che s’innesta nella dialettica tra promessa e compimento. La storia allora si va dispiegando in questo intreccio tra il già compiuto e il non ancora che Dio va compiendo con noi, per essere anche noi Immacolati. In altri termini Dio in Gesù è giunto a oltrepassare Sé Stesso per giungere a toccare i limiti della nostra realtà umana, facendoli suoi e trasformandoli per liberarci dalla prigione del nostro ego. Questo l’ha realizzato e ha coinvolto Maria, Ella ha avuto un ruolo di primo piano perché ha favorito, come un piano inclinato, la relazione tra noi e Dio , sino a donarci il Figlio stesso ; dall’altro lato continua a cooperare e ci conduce a Lui, appunto coopera per realizzare l’incontro. Se da una parte però non possiamo sottacere che Lei sia stata investita da Dio di una missione unica e irripetibile dall’altra Ella è, al contempo, un esempio, il nostro prototipo di discepola, da imitare e non solo da contemplare o solo d’invocare con le preghiere, ma da realizzare in noi nella singolarità del nostro essere e nel nostro insieme, come Chiesa. Ma come va imitata Maria? per rispondere a questa domanda dovremmo cogliere in profondità l’atteggiamento di Maria sotto la croce il suo cosiddetto sostare o stare, ancora come la tradizione ci dice il suo:”Stabat Mater”. Guardare Lei con attenzione ci spinge ad imitarla nell’arte dello svuotarci. In altri termini si tratta di saper rinunciare alle proprie idee, abitudini, sicurezze; dovremmo, per imitarla, rinunciare alle cose, alle persone, alle nostre aspettative, dovremmo rinunziare alle precomprensioni e convinzioni di cui ci siamo appropriati anche in nome di Dio; persino all’idea di Dio che nel tempo ci simo creati, di Gesù, della Chiesa, degli altri, della realtà in generale. Sì, dovremmo, come Maria, perdere tutto per aprirci al Dio Vivo e Vero. Siamo chiamati ad aprirci continuamente al Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe con la Speranza che è Lui l’Eterno veniente che ci fa sé stesso, Uomo Nuovo. Così da permettergli di rivelarsi per quello che Egli è, ed Egli è più grande del nostro piccolo cuore.

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