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Lectio Divina 1_Stupore e meraviglia del segno di Croce e dell’invocazione iniziale dello Spirito.

Ripercorrendo gli anni passati nella lettura orante della Parola di Dio nelle nostre comunità parrocchiali, ci sembra bello ritornare sul senso che essa ricopre sia per la chiesa che per ognuno di noi attraverso la ripresa semplice, ma non banale e meccanica, dei vari momenti di cui è composta.
Lectio Divina è lettura continuata nello spazio e nel tempo della propria quotidianità. Un’antica pratica di questo rapporto con la Parola di Dio insegna che il primo passo da fare è scegliersi un angolo della propria casa, abitarlo, entrarci come fosse una seconda abitazione tutta dedicata alla “presenza” di Dio: non un museo, un tempio inviolabile o, addirittura, un monumento funerario; bensì uno spazio attuale in cui ciò che è accaduto può succedere nuovamente. La scelta di un tempo e di uno spazio da dedicare al rapporto con la Parola rappresenta una modalità del vivere in grado di stabilire connessioni di senso, una rete in grado cioè di restituire significato alle domande che accompagnano la vita di ognuno nel suo rapporto con gli altri e con Dio che non può essere lasciata, perciò, al caso ma verso cui occorre che un’intera comunità, più che soltanto il singolo credente, seppur tanto innamorato della Parola, se ne faccia carico.
Fin dai primi istanti del proprio incontro con la Parola, tra meraviglia e stupore, il tempo ha un nuovo ordine di sviluppo e lo spazio si distende verso la comunità, cioè gli altri e l’Altro, Dio. L’approccio che suscita apertura richiede adattamento, come tutto e come in tutte le cose. «Continuo o lascio perdere?» è la domanda che, prima in sottofondo e poi come ritornello, s’impone ed evidenzia il disagio di un incontro con una realtà viva, che effettivamente (e non per soggezione) ha la pretesa di interagire con gli occhi e con la mente, suscitando appetito proprio come scrisse il profeta: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità» (Ger 15,16). Già in questo ingaggio iniziale si crea un “noi”, una pluralità che strappa dall’isolamento e proietta nella relazione, sempre più intima, confidenziale e segreta: è la Trinità che siede e apparecchia quanto occorre per nutrirsi insieme, il segno della Croce iniziale che circoscrive nel corpo fisico del lettore i nuovi confini di spazio e tempo all’interno dei quali la relazione può nascere e vivere nutrendosi dell’amore verso Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze (Dt 6,4ss). È vero, infatti, che ci si nutre di ciò che si riceve e si mangia, mastica e digerisce; ma è ancora più vero che la prima cosa da fare è aprire la porta di casa, far entrare e accogliere con stile l’ospite atteso. E cosa vuol dire attendere se non mostrare per primi attenzione, interesse e cura?
Il fascino del “noi” che oggi tanto riverbera con nostalgia nel silenzio esistenziale assordante, tramite la Lectio Divina attira per creare comunione, stabilire connessioni di senso, cioè un rapporto di verità con qualcuno che ha soltanto il desiderio del bene nei nostri confronti. La scelta di uno spazio e di un tempo dedicati alla Parola traduce l’antica scelta di Dio alla santità, alla separazione dalle masse anonime, dai circuiti meccanici e dai modi di dire e di fare confezionati e ingessati, per introdurre alla vita come un dono da ricevere e da far circolare. Una scelta affascinante suscitata dalla stessa Parola: un magnetismo verso la Parola che la Parola medesima ispira. Perciò, al segno di Croce assieme alla Trinità e attorno alla tavola della Parola viene chiesto in modo speciale e solenne il dono dell’ispirazione, quello stesso dono che chi ha scritto la Parola nella Bibbia ha saputo custodire e tramandare, accogliere e consegnare, ricevere per dare. L’ispirazione dello Spirito di Dio ha messo le mani nelle dita degli scrittori sacri di quei brani che stanno per scivolare sopra gli occhi, accarezzando senza stancarsi l’anima sulla quale aprono spiragli di luce gentile; pregarne la presenza, invocandone fin dall’inizio l’intervento, è come smuovere Dio perché prenda il suo posto ancora una volta al centro della comunione, cioè nello spazio attuale in cui ciò che è accaduto può accadere di nuovo.



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