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Parla Gabriele Cantaro, avvocato della Diocesi di Piazza Armerina

Caso Rugolo su ‘Domani’, “alterate deliberatamente le presunte responsabilità del Vescovo”

Il metodo è sempre lo stesso, quello della distorsione e decontestualizzazione di fatti, dichiarazioni e di quant’altro emerga nel corso del processo, usando alcuni dati e tacendone o alterandone altri, in maniera tale da creare un quadro suggestivo da offrire all’opinione pubblica, al fine non tanto di informarla correttamente, ma di offrire un giudizio che vorrebbe sovrapporsi ed anticipare quello che il Tribunale di Enna sarà chiamato ad esprimere.

ALTERAZIONE DEI FATTI

È sorprendente come l’articolo presenti, ancora una volta ed in barba a quanto è emerso nel corso del processo, che il Vescovo abbia offerto del denaro per coprire le responsabilità di Giuseppe Rugolo. È un dato processuale accertato che, tanto i genitori del Messina Antonio quanto quest’ultimo personalmente, abbiano deciso inizialmente di non presentare una denuncia all’Autorità Giudiziaria ma di chiedere un accertamento in sede canonica e con le regole del diritto canonico.

È un dato altresì incontrovertibile che dopo la generica segnalazione fatta al Vescovo dal Sacerdote Fausciana, i genitori lo abbiano incontrato a distanza di quasi un anno non perché il Vescovo sia venuto meno alla immediata disponibilità ad ascoltarli e – quindi, a conoscere tanto i fatti quanto i protagonisti della vicenda – quanto perché questi ritenevano che avrebbero dovuto essere convocati (anche se don Fausciana, nel suo colloquio con il Vescovo non aveva dato recapiti di sorta della famiglia) piuttosto che presentarsi per essere ricevuti, cosa che il Vescovo ha fatto immediatamente quando i genitori del Messina hanno effettivamente preso contatto con la Curia.

Nel corso di tale colloquio i Messina, pur perfettamente coscienti (anche in ragione dell’appartenenza alla Polizia di Stato del sig. Messina padre) del fatto che avrebbero potuto presentare una denuncia all’Autorità Giudiziaria, hanno invece chiesto espressamente l’accertamento canonico dei fatti ed “il massimo riserbo sulla vicenda a tutela del loro buon nome e della reputazione del ragazzo”.

CIRCOSTANZA AMMESSA NEL CORSO DELLA PROPRIA DEPOSIZIONE PROPRIO DAL SIG. MESSINA

Il fatto poi che il signor Antonio Messina fosse da tempo divenuto maggiorenne e la necessità che l’esposizione dei fatti, anche in sede canonica, richiedesse una sua personale e circostanziata denuncia, ha fatto si che il Vescovo chiedesse di farlo presentare personalmente e che quest’ultimo incontro sia avvenuto a distanza di un altro anno dal momento in cui c’è stato il colloquio col Vescovo non è stato certo per indisponibilità di quest’ultimo, ma solo perché, ancora una volta, i Messina ritenevano che dovesse essere il Vescovo a convocare il figlio, piuttosto che fargli prendere contatto direttamente e senza attese di sorta, con la Curia.

LA RICHIESTA RISARCITORIA

Ancora una volta anche in questo articolo, nonostante sia stato il padre di Messina Antonio a farne esplicita ammissione, si tace sulla circostanza che l’iniziativa di richiedere un risarcimento appartenga alla famiglia Messina. Assai singolare, ma proprio per questo significativo, appare il fatto che il signor Antonio Messina abbia scopertamente glissato sul punto, arrivando persino a dire che la pretesa risarcitoria non appartenesse a loro ma fosse frutto di una sorta di “autonoma” iniziativa del loro avvocato, preoccupato di “portare risultato”.

È palese l’equivocità di tale atteggiamento, che non spiega come e perché il loro avvocato abbia, correttamente e professionalmente, costantemente informato proprio il signor Antonio Messina dell’andamento delle trattative concernenti la loro richiesta, durante tutto il corso del loro svolgimento, come dimostra proprio la produzione dei numerosi messaggi intercorsi tra Antonio Messina e l’avv. Marti, mentre per converso appare evidente la finalità diffamatoria di come tale questione sia stata più volte presentata, cioè come una sorta di autonomo tentativo del Vescovo di “comprare” il silenzio della famiglia Messina offrendo il denaro della Caritas, dimenticando che il Vescovo, come loro ben sapevano, agiva nel contesto e nel rispetto delle regole del diritto canonico, da loro liberamente scelto, nel trattare i termini di una LORO richiesta risarcitoria.

L’articolo, alterando la realtà dei fatti, presenta il Vescovo come colui che avrebbe svolto l’investigatio praevia dimenticando di precisare che questa è stata svolta da un Giudice canonico appartenente ad altra Curia Vescovile, dimenticando di precisare che le persone indicate dal Messina Antonio come testimoni della vicenda non si sono, per lo più, presentate, che gli strumenti di accertamento a disposizione del Giudice canonico non erano certamente quelli a disposizione degli inquirenti della Giustizia Ordinaria.

Quanto al fatto che il segreto confessionale e quello della direzione spirituale siano presentati dall’articolo come “strumenti per celare la verità” la dice lunga sulla portata mistificatoria e sull’assoluta strumentalità di tale preconcetto atteggiamento, dimenticando persino di evidenziare che proprio il protagonista di una delle vicende contrabbandate dall’articolo come ulteriore prova della presunta copertura offerta al “prete pedofilo” abbia permesso di chiarire, per bocca dello stesso protagonista della vicenda, che i suoi rapporti personali con Giuseppe Rugolo si siano intrattenuti quando egli era maggiorenne, che le sue esternazioni al Vescovo siano sempre avvenute in un contesto di confessione o di direzione spirituale e, soprattutto, che egli abbia opposto un netto rifiuto all’invito rivolto da Monsignor Gisana a formalizzare in altro contesto quanto egli riferiva, per dare avvio ad un accertamento canonico o giudiziario.

DECONTESTUALIZZARE

Oltre alla vicenda, sopra richiamata, che riguardava il giovane maggiorenne anche all’epoca della vicenda che lo ha interessato, che riferisce fatti che non sono connotabili come abuso, posto che lo stesso ha avuto cura di precisare che, al suo invito rivolto a Rugolo di cessare le proprie effusioni, in due distinti e successivi momenti, abbia fatto seguito l’immediata interruzione delle stesse, la ricostruzione delle dichiarazioni appare palesemente distorta perché nulla viene detto tanto sui sentimenti che legavano i due e che pure sono emersi nel corso della deposizione ed a seguito della produzioni della corrispondenza che era intercorsa tra loro all’epoca dei fatti, come nulla viene detto sulle ragioni che hanno portato il ragazzo a riferire la vicenda, nel ricordato ambito della confessione e della direzione spirituale, riferiva del fatto che il disagio e l’imbarazzo gli derivavano dal fatto che Rugolo oltre ad essere sacerdote, destava in lui sentimenti di amicizia ma non di coinvolgimento sentimentale e che lo stesso abbia declinato l’invito a denunciare il fatto pure rivoltogli dal Vescovo, proprio in ragione del rapporto di amicizia che lo legava comunque al Rugolo.

L’articolo offre altresì una scorretta prospettazione dell’agire del Vescovo, allorquando fa riferimento ad altre vicende del tutto estranee ai fatti che riguardano Giuseppe Rugolo e le sue responsabilità nel processo che si svolge ad Enna.

Come “sostegno al prete pedofilo” viene presentata anche una vicenda che nulla ha a che vedere con i fatti del processo, relativa ad un aiuto economico che era stato dato al Rugolo in un momento di particolare bisogno familiare, così come suggestivo appare il riferimento alle spese legali sostenute dalla Diocesi in un contesto processuale in cui proprio la famiglia Messina e, precisamente, non solo Antonio ma anche i suoi genitori, con distinte costituzioni di parte civile e relative richieste risarcitorie, abbiano chiamato in causa la Curia per ottenere un ristoro economico.

La deliberata volontà di alterare le presunte responsabilità del Vescovo porta la giornalista a presentare anche altri fatti in maniera distorta.

La vicenda Iannì riguarda un fatto che non solo non si è concretato in un abuso consumato ma in un mero tentativo (invito telefonico rivolto ad un’adolescente di andare a trovarlo da sola a casa) a cui ha fatto seguito l’immediata sospensione del sacerdote da parte del Vescovo nel momento in cui è venuto a conoscenza del fatto.

La vicenda del signore gelese riguarda una persona estranea al clero che frequentava una parrocchia di Gela, servendo sporadicamente all’altare, ed è relativa ad un fatto che si contesta essere avvenuto nell’ambito familiare dell’indagato, vicenda in cui il Vescovo non aveva alcun ruolo né poteva esercitare alcun intervento.

Quanto alla nomina a parroci di due sacerdoti che avessero inclinazioni omosessuali, si tratta di vicende che nulla hanno a che vedere con abusi di sorta o con relazioni con fedeli, tanto minorenni quanto maggiorenni, ma vicende che riguardavano un loro vissuto personale.

Veramente paradossale è poi l’attribuzione al Vescovo di un atteggiamento omofobico dedotto dalla giornalista in relazione al commento fatto da Monsignor Gisana nel corso di una conversazione telefonica, in cui esternava il proprio personale convincimento, maturato all’epoca sulla scorta degli elementi di valutazioni a sua disposizione ed emersi fino a quel momento, relativi all’effettiva fondatezza delle esternazioni del Messina Antonio ed a quelle che riteneva fossero le ragioni che lo indicevano ad agire, legate a ragioni di gelosia o risentimento, emozioni da cui neppure le persone di diverso orientamento sessuale sono immuni.

Attribuire sentimenti di omofobia a Monsignor Gisana è assolutamente ingiusto e paradossale, proprio alla luce dei fatti che la stessa giornalista non ha potuto fare a meno di richiamare e che documentano incontrovertibilmente un ben diverso atteggiamento che riguarda non solo “il giovane sacerdote” ma anche l’attuale Vescovo che, con buona pace di quanto artatamente prospettato, presentando in maniera equivoca un commento che aveva ben altro senso e ben altra origine proprio per il contesto in cui era stato espresso, smentisce ogni accusa di omofobia col proprio concreto, quotidiano ed oggettivo operato pastorale.

Il preteso uso distorto dei “fondi derivanti alla Chiesa dalla percezione dell’otto per mille”, determinato dall’infelice espressione usata nel contesto di un dialogo telefonico tra Monsignor GISANA e Giuseppe RUGOLO, vorrebbe distorcere la realtà dei fatti, se decontestualizzata e sganciata dall’obiettiva evidenza che proprio dall’iniziativa del Messina Antonio e della sua famiglia, prima nell’ambito del contesto regolato dal diritto canonico e, successivamente, con la richiesta risarcitoria avanzata con la costituzione di parte civile, sono state avanzate richieste di denaro, prospettando l’inesistente e calunnioso intento di “comprare il loro silenzio”, atteggiamento che consente di dare una chiara valutazione dei reali intenti in tal modo perseguiti.

                                                                                   Avv. Gabriele Cantaro



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