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Quella verità distorta dal clamore dei media

In una lunga intervista, l’avvocato della Diocesi di Piazza Armerina Gabriele Cantaro ripercorre la vicenda legata al sacerdote Rugolo.

Alla fine del testo il video

Il 9 maggio scorso l’emittente Video Mediterraneo ha mandato in onda nel corso del notiziario un servizio riguardante il caso Rugolo, il sacerdote di Enna accusato di abusi sessuali su minore di cui si sta svolgendo il processo penale presso il Tribunale di Enna. Intervistato dalla giornalista Viviana Sammito parla l’avv. Gabriele Cantaro che, assieme all’avv. Maria Teresa Montalbano, è il legale del vescovo mons. Gisana. La complessità del caso non poteva essere illustrata esaustivamente nei due minuti di intervista andati in onda, per cui abbiamo chiesto all’emittente l’intervista integrale. Videomediterraneo si è detta disponibile e per questo gliene siamo grati. Qui riportiamo una trascrizione integrale delle dichiarazioni dell’avv. Cantaro.

D.: Mons. Gisana è stato coinvolto, suo malgrado in questa vicenda. Cosa è successo esattamente?
Devo fare due brevi premesse: primo, si tratta di un processo che viene celebrato a porte chiuse poiché ci sono ragioni di riservatezza soprattutto a tutela della persona offesa e vorrei attenermi ai limiti che ci impone l’art. 114 del Codice di Procedura Penale nella divulgazione e pubblicazione di atti relativi al processo, nel massimo rispetto del dovere di informazione nei confronti degli organi di stampa; e a un invito che è stato rivolto dal presidente del collegio giudicante che è quello di cercare di mantenere i toni bassi ed evitare polemiche che nuocerebbero alla serenità nella gestione del processo. I processi si fanno nelle aule di giustizia. Questo processo, purtroppo, e non per nostra volontà, ha avuto una escalation di esposizione mediatica che ha coinvolto le televisioni nazionali, che non abbiamo né cercato né voluto, e che è stato, purtroppo, luogo per la distorsione di una serie di informazioni che sono state prospettate, riferite, reclamizzare direi quasi, in una maniera che non corrisponde assolutamente né alla verità né agli atti processuali.

D.: Diciamo allora che mons. Gisana non è indagato in questa vicenda
Io difendo la Curia vescovile di Piazza Armerina in questo processo che è stata chiamata dalle persone offese come responsabile civile per ottenere evidentemente un risarcimento a un danno. Quello che va precisato intanto è che una delle notizie che è stata data in maniera distorta è che ci sarebbe stata una sorta di silenzio di mons. Gisana sui fatti che erano avvenuti, quasi che avesse voluto occultarli, nasconderli o evitare che venissero portati all’attenzione dell’autorità giudiziaria, prima di tutto, e del pubblico, della gente e dei fedeli dall’altra. Questo non è vero. La contestazione di reato è formulata in termini tali da circoscrivere i fatti che sono avvenuti in un momento in cui lo stesso non era stato ancora ordinato sacerdote.

D.: Questo è importante da riferire perché è stata avviata una indagine previa che si è conclusa praticamente con un nulla di fatto?Non è proprio un nulla di fatto. Mi permetta di spiegare la vicenda. Monsignore viene prima avvisato in maniera molto generica che una famiglia avrebbe voluto parlargli di un fatto grave. Ha dato la sua piena e immediata disponibilità. Tale richiesta gli era stata fatta da un sacerdote del luogo. Nonostante la pronta disponibilità, queste persone si rivolgono a lui solo dopo diversi mesi, quasi un anno. Si presentano i genitori di questo giovane e riferiscono a mons. Gisana quello che sarebbe avvenuto, che gli sarebbe stato riferito dal figlio. Precisiamo che uno dei genitori è un appartenente alle forze dell’ordine, quindi si tratta di una vicenda che coinvolge persone che hanno consapevolezza di quelli che sono i loro diritti, le loro facoltà, le loro possibilità sul piano processuale, quindi anche della possibilità di poter denunciare direttamente all’autorità giudiziaria i fatti che sono andati a riferire a mons. Gisana. La scelta che è stata operata dalla famiglia era quella di rivolgersi direttamente agli organi ecclesiastici e di chiedere che venisse fatto un accertamento nelle forme del Diritto canonico chiedendo il massimo riserbo su quello che si sarebbe accertato a tutela di questo giovane e del buon nome della famiglia. Dopo aver raccolto le loro dichiarazioni (il vescovo, ndr) fa presente che trattandosi di persona maggiorenne e trattandosi di fatti che loro possono riferire per relata, sarebbe stato opportuno che si presentasse il giovane personalmente a riferire e a dare formalmente impulso a un atto che consentisse l’avvio dell’indagine canonica. Questo incontro, nonostante la piena disponibilità di mons. Gisana, avviene a distanza di quasi ancora un anno. Quando questo giovane si presenta, riferisce a mons. Gisana quello che è avvenuto, il quale lo invita a mettere per iscritto tutto con dovizia di particolari e con l’indicazione di persone che fossero informate sui fatti, e da immediatamente corso ad un’indagine che viene affidata a due magistrati rotali che non operavano in provincia di Enna. Questo per garantire la massima imparzialità nell’accertamento dei fatti. Si da corso all’indagine previa che arriva alla conclusione che non è un ‘nulla di fatto’ sul piano sostanziale, lo è sul piano della competenza perché viene accertato che i fatti (c’è da dire che non tutti i testimoni indicati dal ragazzo si sono presentati, persone che sono state poi sentite dall’autorità giudiziaria dicendo che era stata una loro scelta; persone che erano state depositarie di confidenze da parte di questo giovane, o persone che, a detta di questo giovane avevano vissuto vicende analoghe ma non erano confluite in accuse formali) escludono atti di violenza, ma questo fa parte degli atti del processo.

D.: Quindi non c’è un incontro sessuale?
Quello che è avvenuto riguarda una persona ultra sedicenne e che comunque non aveva raggiunto la maggiore età, con una effusione di natura omosessuale. Questo è quello che è stato dichiarato e accertato in qualche maniera. E, rispetto a questo fatto, nel corso dell’investigatio praevia, si conclude con una assenza di competenza; cioè si tratta di fatti che avvengono in un momento in cui la persona interessata non era ancora sacerdote. È a questo punto che, nell’accertamento di questi fatti, si innesta questa ulteriore vicenda delle richieste – offerte di denaro.

D.: Vorrei capire la posizione di mons. Gisana in quel periodo, perché poi lui parla con questo don Rugolo e spesso lo chiama al telefono, che tipo di rapporto c’è? Gli dice la verità?
Rugolo ha fatto solo delle ammissioni parziali che escludevano ogni forma di violenza e di costrizione. Ma queste sono affermazioni di Rugolo. Quello che è avvenuto, lo ripeto, è oggetto di un accertamento giudiziario che deve avvenire come è giusto nella dovuta sede sentendo i testimoni e valutando tutte le prove che sono state date pro e contro determinate tesi. La cosa importante è che nel momento in cui viene avviata l’investigatio previa la famiglia viene assistita da un avvocato esperto in diritto canonico così come il sacerdote Rugolo… In quel contesto viene avanzata dalla famiglia una richiesta di sostegno economico, giustificata dal fatto che il ragazzo, a seguito delle vicende vissute, aveva dovuto fare ricorso a dei sostegni di natura psicologica e psicoterapeutica. Monsignore con spirito assolutamente cristiano si rende disponibile a dare un sostegno economico e questo ha innescato una sorta di trattativa, perché loro (i familiari, ndr) hanno formulato una richiesta di natura economica che hanno quantificato anche nell’importo

D.: Si parla di 25.000 euro, e la causale quale sarebbe stata?
In un primo momento loro hanno detto, e questo è stato accertato anche dagli inquirenti…, che hanno fatto questa richiesta motivandola e argomentando circa la necessità di avere un sostegno per le spese a cui erano andati incontro. Lo svolgimento di questa trattativa in un primo momento non ha direttamente interessato mons. Gisana, perché mons. Gisana aveva delegato il proprio vicario a tenere contatti con l’avvocato della famiglia … Quello che è avvenuto è che è mutata la causale, perché la famiglia chiedeva che si parlasse di risarcimento danni. Mons. Gisana, e la posizione comunque della Diocesi, era quella di dire che “guardate che non c’è un danno che noi possiamo risarcire tenendo conto di quello che è stato l’accertamento che è stato fatto in questa sede. Non neghiamo il sostegno alla famiglia, comprendiamo quelle che possono essere le ragioni di una persona che ha sofferto e ci dichiariamo disponibili a sostenerlo, a darvi un ristoro economico”.
Tutto questo è stato trasformato in una maniera assolutamente artata in una offerta per ottenere il silenzio. Questo non è assolutamente vero perché se fosse stato vero l’autorità giudiziaria ordinaria avrebbe dovuto procedere per accertare il reato di favoreggiamento e questo non è mai stato in discussione perché dagli accertamenti rigorosi, che sono stati effettuati dagli inquirenti, è mai emerso che né la Diocesi, né mons. Gisana in prima persona si siano mai prodigati per cercare di occultare qualcosa. Dove nasce l’equivoco e perché nasce l’equivoco? Perché nello svolgimento di questa trattativa ad un certo punto si parla di un pagamento in contanti. Le persone offese riferiscono, e questo devo dire non mi risulta, non risulta agli atti, producono determinati atti, perché hanno avuto la cura e il garbo di registrare ogni passaggio e di farne l’uso che ne hanno voluto. Mons. Gisana non ha registrato nulla per cui questi sono fatti che saranno provati e documentati dall’analisi dell’esame dei testimoni e dall’analisi di altri documenti che ci riserveremo di produrre. La richiesta del pagamento in contanti non è iniziativa di mons. Gisana né della Diocesi.

D.: è stata una richiesta della famiglia…
Loro invece asseriscono il contrario. Mons. Gisana si è dichiarato disponibile a che la Diocesi potesse sostenere le ragioni, il peso economico che la famiglia aveva avuto in conseguenza di questi fatti, ma non si è mai prodigato perché questo sostegno economico avesse come corrispettivo il silenzio sulla vicenda. Le ribadisco e le rammento che a chiedere l’assoluto riserbo su questo accertamento dei fatti era stata proprio la famiglia. E si tratta di un pubblico ufficiale che sapeva perfettamente a chi si poteva rivolgere e in che termini si sarebbe potuto rivolgere. Cosa che poi ha puntualmente fatto.

D. La famiglia ha deciso di avviare un contatto diretto con la curia per cercare di avere un risarcimento e di non far uscire fuori la notizia.
La famiglia da quello che si può intuire aveva interesse a che venisse principalmente accertato quello che era avvenuto e venissero eventualmente adottati dei provvedimenti nei confronti di quello che poi è diventato il sacerdote Giuseppe Rugolo

D. Anche perché mons. Gisana decide di trasferirlo in altra sede
Mons. Gisana proprio per la delicatezza della vicenda e per i termini in cui era stata in un primo momento prospettata ha deciso di allontanare da Enna Giuseppe Rugolo che, prima che venissero fuori questi fatti, era stato nominato parroco di San Cataldo e la sua immissione canonica è stata sospesa proprio perché è intervenuto lo stesso mons. Gisana che ne ha disposto il temporaneo allontanamento con quello che in quel momento era, e non poteva essere altro, un invito alla riflessione e alla rimeditazione da parte di Giuseppe Rugolo della propria vocazione, perché era questo il tema e l’oggetto che era alla base del provvedimento.

D. Durante un’intercettazione mons. Gisana dice a Rugolo: “il problema non è solo tuo ma anche mio perché ho insabbiato tutto e vogliono accusarmi”. A cosa si riferisce?
Mons. Gisana si sente coinvolto in prima persona per il ruolo che riveste. C’è un momento in cui a fronte di quella che è la disperazione che viene espressa da Giuseppe Rugolo per quello che stava avvenendo, abbiamo un Vescovo a cui un suo sacerdote si rivolge in una situazione di estrema difficoltà (questo non significa non considerare le ragioni della persona offesa). Monsignore cerca di essere disponibile all’ascolto e di fronte a quello stato di estrema agitazione di essere un attimino rassicurante nel senso di voler ricondurre a ragione quello che stava avvenendo. Mons. Gisana ha usato un termine che è assolutamente infelice per gli addetti ai lavori ma che lui ha utilizzato in maniera assolutamente non tecnica.

D. Insabbiare fa intendere un’omissione, un nascondere qualcosa…
In realtà in quel momento si stava svolgendo una trattativa che per altro è parte del rito canonico. C’è un canone che richiama l’intervento del Vescovo che per evitare che vi sia pubblico scandalo, non per omettere o per nascondere qualcosa, ma perché secondo il rito canonico che la famiglia aveva richiesto viene comunque data facoltà al vescovo di potere in qualche maniera, a prescindere da quello che può essere l’accertamento dei fatti, fare una proposta che sia conciliativa che sia di sostegno alla famiglia, che sia comprensiva delle ragioni e per venire incontro a chi abbia subito sofferenze da vicende che coinvolgevano l’operato (in questo caso di un seminarista) ma comunque di una persona che era divenuta sacerdote.
Quello che svolge mons. Gisana non è un’iniziativa estemporanea, è qualcosa che fa parte del rito canonico e che lui si prodiga di cercare di portare avanti perché c’era stata una richiesta in questo senso dalla famiglia. Cosa fa scattare la reazione da parte della famiglia? Il fatto di non essere soddisfatti da quelli che avrebbero dovuto essere i provvedimenti che mons. Gisana come vescovo avrebbe dovuto adottare nei confronti di padre Rugolo. Ma qui entriamo in un ambito che va al di là dell’accertamento dei fatti; rientriamo in un ambito che è regolato da nome ben precise. Mons. Gisana è vescovo, può adottare provvedimenti punitivi solo su determinate basi e presupposti perché altrimenti sarebbe stato lui a commettere un abuso sul piano procedurale e processuale del diritto canonico. Per cui determinate richieste della famiglia non erano accoglibili sulla base di quello che in quel momento era stato accertato nel corso dell’investigatio previa.

D. La procura non vi ha mai chiesto cosa volesse dire quella intercettazione?
Assolutamente si, tant’è che quando sono iniziate le indagini, mons. Gisana così come il suo vicario sono stati sentiti. E mons. Gisana ha immediatamente messo a disposizione degli inquirenti tutto il materiale che era stato raccolto nel corso dell’investigatio previa, senza celare assolutamente nulla. Ha risposto a tutte le domande che gli venivano poste. E questa è la ragione per cui la Procura dopo aver acquisito gli atti, dopo aver sentito le ragioni di mons. Gisana non ha trovato assolutamente nulla di illecito nella sua condotta e nel suo comportamento. Tutta questa (è) equivoca interpretazione di determinate frasi, che ripeto vengono utilizzate in maniera non tecnica. Devo dire per scrupolo difensivo e in maniera generica che come difensore della Curia ho espressamente chiesto agli inquirenti che sono stati sentiti come testimoni del pubblico ministero, compreso il dottor Ciavola che ha avuto modo di chiarire che non c’è stata alcuna offerta di denaro in cambio di silenzio; perché questa è veramente una affermazione falsa e calunniosa. E non abbiamo finora dato corso ad iniziative a tutela del buon nome di monsignore per mantenere tranquillo l’accertamento dei fatti da parte del tribunale senza che vi siano dall’esterno ripercussioni a questo clamore mediatico che noi non abbiamo mai cercato.

D. Mons. Gisana è particolarmente scosso da questa vicenda?
È addolorato soprattutto perché è stato esposto ad una serie di insulti e soprattutto al fatto che gli venissero attribuite cose, di presunti fatti che non sono mai avvenuti. Quando sono state presentate delle registrazioni o parti di registrazione sono state scelte a bella posta dei brani che potevano essere interpretati in maniera equivoca, estrapolati dal contesto e che avrebbero potuto legittimare interpretazioni malevole. Ma se tutto questo viene inserito nel contesto complessivo della vicenda appare tutto, come ci auguriamo di poter dimostrare nella sede opportuna, più chiaro. Apparirà chiaro quello che è l’operato di mons. Gisana, quelle che erano le sue intenzioni e al di là dell’infelicità di determinati termini utilizzati, quella che è stata l’assoluta correttezza del suo operato. Che poi mons. Gisana potesse avere un occhio di carità cristiana, di comprensione nei confronti di un sacerdote che aveva sbagliato e che in quel momento viveva un dramma personale, nel contesto di un dialogo che avviene direttamente tra lui e il sacerdote, questo non vuol dire recare offesa alle ragioni della persona offesa o negare il dramma che questo ragazzo ha potuto vivere.
… È stato pubblicato un articolo che ha distorto, come è avvenuto altre volte, la notizia dicendo che non era stata ammessa la costituzione di Parte Civile della Diocesi nei confronti di p. Rugolo. Non c’è mai stata una costituzione di parte civile. Abbiamo solo ritenuto come atto di lealtà processuale che non ritenevamo conformemente corretta quel tipo di citazione di responsabile civile e questo (e qui non parliamo di persone che non sono addette ai lavori o che non sanno ciò di cui parlano) è stato trasformato in mancata costituzione di responsabile civile in rigetto della costituzione di parte Civile. Non c’è mai stato. È un fatto assolutamente falso. Successivamente ci siamo costituiti come responsabili civili così come siamo stati chiamati in giudizio, come Curia Vescovile.

D. Quando verrà ascoltato mons. Gisana?
La prossima udienza sarà dedicata all’esame della parte offesa che sarà estremamente complesso e comprensibilmente delicato da svolgere e da parte del padre del giovane. Successivamente saranno sentiti gli altri testimoni che il pubblico ministero riterrà di citare, tra cui ritengo mons. Gisana e il suo vicario che sono pronti sereni e disponibili ad andare a riferire in aula ciò che hanno già detto nel corso degli interrogatori del pubblico ministero, senza nascondere nulla, senza trincerarsi dietro alcuna forma di segreto perché la posizione della Diocesi è che l’autorità giudiziaria accerti quello che è effettivamente avvenuto, e quando dico ciò che è effettivamente avvenuto lo dico al di fuori di quelle che possano essere prospettazioni più o meno malevole e più o meno finalizzate ad ottenere qualcosa che nulla ha a che veder con l’accertamento della verità.

D. Queste insinuazioni da parte dell’opinione pubblica su questa vicenda nei confronti di mons. Gisana lo hanno scosso parecchio; infatti ha deciso di mantenere un profilo basso, non vuole parlare di fronte alle telecamere…
Mons. Gisana non è scosso, è addolorato. Ritiene di dover accogliere doverosamente l’invito che è stato fatto in maniera chiara, pacata e inequivocabile dal presidente del Tribunale nei confronti di tutti di mantenere un atteggiamento di riserbo nei confronti di quello che è lo svolgimento del processo e dell’accertamento che l’autorità giudiziaria sta facendo.

D. Qual è stato l’aspetto di questa vicenda che più lo ha addolorato
Le calunnie, la distorsione dei fatti e l’attacco personale di cui è stato fatto oggetto in una maniera che non ha precedenti nella storia giudiziaria italiana. Se fate un paragone tra quelle che sono altre vicende processuali assolutamente simili e quella che è oggetto di questo processo vedrete che il clamore mediatico è qualcosa di spaventoso.
Quando parlo di clamore mediatico lamento due cose: la prima è che l’accertamento dei fatti di un processo va fatto in un’aula di giustizia. È giusto che l’opinione pubblica sia informata, ma sarebbe doveroso che questa informazione avvenisse in maniera corretta perché altrimenti non è più informazione, è propaganda, distorsione dell’informazione. E quando questo viene fatto ripetutamente cercando di dare quanto più clamore possibile a questa vicenda, evidentemente questo risponde non a finalità di accertamento della giustizia ma a qualcos’altro che è intuibile e preferisco per un fatto di riserbo e per il ruolo che svolgo in questa vicenda processuale non commentare ulteriormente, però ritengo che all’intelligenza di tutti non sfugga.

D. Non c’è stato secondo lei in un primo momento una sorta di sottovalutazione di quello che stava accadendo?
Anche su questo ritengo doveroso dare delle precisazioni. Mons. Gisana ha avuto a sua disposizione gli atti dell’investigatio previa, le dichiarazioni di una parte ferita, offesa e di un altro soggetto che sarebbe l’autore abusante che invece offriva una diversa prospettazione dei fatti. Gli accertamenti che sono stati svolti nell’ambito dell’investigatio previa, non si sono limitati al “non licet”, risultato finale legato semplicemente al fatto che Giuseppe Rugolo all’epoca non era ancora sacerdote. Mons. Gisana ha tenuto conto di quelle che erano le ammissioni al di là di quelle che erano le prospettazioni per le ammissioni fatte da Giuseppe Rugolo sulla natura dei suoi rapporti con questo giovane ed ha adottato i provvedimenti che in quel momento avrebbe potuto e dovuto adottare che erano quelli di un allontanamento per ragioni di opportunità e un invito alla riflessione sulla propria vocazione sacerdotale che nell’ambito di un accertamento canonico è quello che il vescovo doveva fare, senza dimenticare le ragioni della parte offesa, ma fondamentalmente svolgendo nella maniera migliore possibile quello che era il suo ministero ed interpretando il ruolo che gli competeva come vescovo. Quello che è avvenuto dopo, la disponibilità che è stata data nei confronti della famiglia, di dare anche un sostegno economico, la comprensione delle proprie ragioni e di adottare provvedimenti che non fossero in contrasto con quella che è la disciplina del Diritto Canonico, è stato poi oggetto di quel travisamento dei fatti.

Questi 25.000 euro non sono mai stati dati?
Non sono mai stati dati, la famiglia non ha accettato alcuna forma di corresponsione di somme, ma ripeto erano stati loro a chiederli; il pagamento in contanti non era stato dato per occultare la tracciabilità, c’era stata una disponibilità a fronte di una precisa richiesta in tal senso. Sono questi i termini e in ogni caso men che mai in nessun momento è stato chiesto che la corresponsione di questa somma venisse condizionata al mantenimento del riserbo e del silenzio sulla vicenda.



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