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La libertà strada e meta

Nel suo viaggio di peregrinazione dall’eterno fallimento dell’inferno in cui l’io è perennemente prostrato verso sé stesso, non potendo guardare altro se non il proprio errore, Dante passando dal Purgatorio si rende conto che per proseguire il viaggio verso la contemplazione della SS. Trinità occorre essere ristabiliti nel dono della libertà alterato dal peccato delle origini. Eh sì, il peccato altera la libertà e per dirla con sant’Agostino, la “converte verso sé stessi in modo disordinato”. Per camminare speditamente bisogna essere liberi e la libertà non è scegliere: “Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando” (Purgatorio I, 71-72); premio della libertà riconquistata è la pace: “che, dietro i piedi di sì fatta guida, di mondo in mondo cercar mi si face” (Purgatorio V, 62-63). Da sempre il termine libertà è stato abusato – e con il termine anche il suo valore – e alterato con molte variabili: dall’assolutizzazione dell’azione svincolata da ogni limite al semplicistico slogan che essa “termina lì dove inizia quella dell’altro”. Frase sicuramente ad effetto che dovrebbe tuttavia fare i conti – anch’essa inevitabilmente – con il limite definito dall’inizio del confine altrui. Ma come si fa a misurare il limite senza un metro e una unità di misura? La strada sicuramente non sarebbe percorribile e ci potremmo trovare incastrati nella terra altrui anche inavvertitamente, così come è capitato all’ignaro contadino belga che arando il proprio terreno e dandogli fastidio la pietra di confine tra Belgio e Francia decide di spostarla di qualche metro. Se tutto parte da noi, può capitarci di spostare la pietra di confine dell’altro violentandone la terra santa della sua coscienza, in nome della formazione o forse anche dell’annuncio cristiano. Dante, dopo aver ritrovato la libertà perduta, viene incoronato da Virgilio pontefice di se stesso: “Non aspettar mio dir più né mio cenno; libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fora non fare a suo senno: per ch’io te sovra te corono e mitrio»”. (Purgatorio XXVII, 124-142). La libertà è la forma sostanziale della struttura della persona che precede e comprende tutto il suo essere e il suo divenire in quanto nodo di relazioni costruttive. La libertà così intesa, in Dante, è la liberazione del sé, l’uscita del sé da sé stesso verso l’altro; la sua “realizzazione” sta quindi nella liberazione dell’agire e nel pensare attraverso il dono di sé. Libertà è partecipazione direbbe Giorgio Gaber! La libertà libera e il Vangelo direbbe che essa è sostanzialmente unita alla verità “La verità vi farà liberi” (Gv 8, 32) e la verità per il cristianesimo non è un concetto ma una persona che si fa uccidere per amore, è l’amore che si arrende di fronte al nemico e che si annulla denudandosi anche della sottoveste a chi con forza chiede la stessa la veste (Mt 5, 40), in un rimando di dignità persa e alterata dal peccato delle origini che lascia nudi! È l’amore libero di Gesù Cristo che lo porta a morire nudo sulla croce e che non fa avanzare nessuna pretesa di “vestimento dignitoso” neanche ai suoi discepoli. Ma da secoli i suoi discepoli sono troppo impegnati a discutere sulla qualità delle stoffe e dei fregi delle varie “tuniche” e dei vari “calici” e – orribilmente – la confondono con la dignità cristiana che resterà sempre nuda, ossia senza protezione alcuna, neanche quella basilare! Il naufragio della libertà porta ad alterare la realtà e a far considerare essenziale ciò che invece non lo è, ed ecco che al sopraggiungere della tentazione circa la libertà si cade dinanzi ad un semplice soffio: “per volar su nata, perché a poco vento così cadi?” (Purgatorio, XII, 95-96). La distrazione quotidiana, l’assuefazione, la mancanza di senso critico, il politicamente corretto che blocca ogni critica costruttiva hanno catapultato l’uomo contemporaneo nella selva oscura, pervertendo lo stesso linguaggio. Si sono corrotte anche le parole. Quasi nessuno intende più la libertà nel suo vero senso di cammino e responsabilità. Ci si sottopone a norme anche rigide per fitness, salute, bellezza; ma per “quel di più” per cui siamo “molto di più” di quel che crediamo di essere, per la sua bellezza e salute, nessun vero viaggio che interroghi la nostra libertà. Siamo condannati ad essere liberi diceva J. P. Sartre nella sua antropologia esistenziale e forse aveva ragione: senza un progetto la libertà è una condanna così come un viaggio che non porti a nessuna meta: non basta difendere la libertà, occorre poi avere il coraggio di viverla onorandola con la responsabilità.



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