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Ancora morti nel Mediterraneo: un grido non ascoltato che ci interroga

“Vi confido il dolore, ci interroghiamo”: così papa Francesco al Regina coeli di domenica 25 aprile ha dato voce al nostro turbamento e al forte desiderio, anzi alla volontà e necessità, di cammini nuovi, davanti all’ennesima tragedia nel Mar Mediterraneo, cimitero assurdo di altri 130 migranti, morti dopo due giorni di invocazione di aiuto non ascoltata. È un nuovo episodio di “barbarie dal volto umano” aggiunta a tante altre.
Inizia così il messaggio di mons. Antonio Staglianò, vescovo delegato per le migrazioni della Conferenza Episcopale Siciliana, a nome di tutti i vescovi di Sicilia.
“Preghiamo per loro e per chi si è voltato dall’altra parte”: ha ancora chiesto papa Francesco. La preghiera diventa vera come condivisione del grido inascoltato dei poveri della terra e dei nostri territori. Se vera, la preghiera ci impegna a “non passare oltre”, a farci carico, proprio nei giorni in cui la rivelazione di Dio in Gesù prende il volto del “pastore buono”, il quale si fa carico delle sue pecore e di tutte le pecore, anche di quelle che non sono nell’ovile della Chiesa, perché tutti figli dello stesso Padre.
“Fratelli tutti” non è un semplice sogno del papa o di alcuni visionari. È l’unico futuro degno dell’umanità. Così, con tanti altri, mentre chiediamo all’Europa dei governanti di ripensare a una rinascita dalla pandemia nel segno dell’apertura alla famiglia umana e dell’attenzione ai più deboli, ci sentiamo tutti coinvolti per la nostra parte nell’esodo necessario dall’indifferenza alla fraternità. La Chiesa, per questo, pone segni, accogliendo i poveri del territorio e i migranti con reti di prossimità e presidi di legalità, e vuole essere segno di un’umanità fraterna. Le sue prese di posizione non sono dettate da “visioni politiche”, ma dall’urgenza del senso della giustizia del Vangelo. Tantomeno propongono “soluzioni tecniche” alla politica, mentre non possono non fare appello alla coscienza di tutti, perché si resti umani e si consegni alle nuove generazioni un mondo bello e ospitale.
Aiutare vite in difficoltà, accresciute nei nostri territori dalla pandemia, e soccorrere vite in pericolo è un dovere a cui non si può venire meno, perché ogni persona, soprattutto se nel bisogno e in pericolo, è immagine di Dio e sua visita. Aiutando e salvando i più deboli però salviamo anche noi da un’indifferenza che anestetizza e insterilisce. È tempo di coraggio, di generosità, di visione lungimirante. È tempo di una nuova immaginazione della società aperta e solidale, che si radica nel cuore di chi vuole restare umano e consegnare un’eredità di vita buona ai figli.
Allora, “pregare è operare per la giustizia e agire per salvare vite umane”, diversamente si corre il rischio serio di fare delle nostre preghiere un “circolo vuoto di parole” che Dio stesso ha detto di non voler ascoltare: “anche se moltiplicate le preghiere io non le ascolto” (Is. 1,15). Piuttosto, “imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, alla vedova” (Is. 1,17), e si può aggiungere al migrante.
Su questa scia, è stata predisposta una intenzione di preghiera che i vescovi di Sicilia hanno divulgato nelle parrocchie, dopo la tragedia della morte di 130 migranti, per la messa di domenica 25 aprile: «Lo Spirito Santo aleggi sulle acque, affinché siano fonte di vita e non luogo di sepoltura, e illumini le menti dei governanti perché, mediante leggi giuste e solidali, il Mare Nostrum sia mare di pace, arco di fratellanza di popoli e culture»- si genera da un’assunzione di responsabilità a operare, ad attivare processi educativi, a porre gesti concreti perché la preghiera giunga al cuore di Dio e da Dio venga benedetta, ascoltata ed esaudita.



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