20 Febbraio 2021

Così la Chiesa ha “curato” i malati

Oltre 70mila euro dei fondi 8x1000 stanziati con l'emergenza Covid, destinati all'acquisto di migliaia di farmaci. Così la Diocesi di Piazza Armerina ha permesso a centinaia di ammalati di potersi curare. Tra koro c'è Antonio (nome fittizio) che ha potuto proseguire serenamente la terapia continuativa in attesa di un trapianto di fegato.

di Andrea Cassisi

Il nome di Antonio è nella lista. Spera che al più presto il suo telefono possa squillare per rompere il silenzio dell’attesa: ricevere un fegato nuovo. È certamente un tempo di fede per lui che in Dio ha riposto la speranza di continuare a vivere e vivere meglio; ma anche di cure, visite specialistiche e farmaci. E il balsamo della sua fede è forte, vigoroso, intenso. Ma non basta. Servono le medicine di una terapia continuativa che garantisca quel benessere necessario per vivere e continuare a fatica a lavorare, considerate le sue precarie condizioni di salute, aggravate anche dalla necessità di un trapianto. Storia di un malato che deve fare i conti in tasca per curarsi in un momento di crisi occupazionale, con l’emergenza sanitaria che dilaga e i farmaci costosi che diventerà un miraggio per tanti. Minimo comune denominatore di tanti, troppi cittadini, uomini e donne che abitano i 12 comuni della Diocesi di Piazza Armerina che devono scegliere se e come curarsi o mettere qualcosa nel piatto. A loro – e sono centinaia – è stata dedicata una buona parte del fondo dell’8×1000 stanziato per il Covid. Una misura straordinaria gestita dagli uffici Caritas (diocesano e cittadini) che attraverso lo sportello d’ascolto, per il tramite dei diaconi, hanno raccolto il grido d’aiuto di quanti in una farmacia non possono neppure metterci piede.
Oltre 70 mila euro i soldi spesi nelle farmacie diocesane – conferma il Vicario Generale mons. Antonino Rivoli – per l’acquisto di farmaci destinati alle terapie continuative, d’emergenza, da banco e prodotti sanitari per neonati. Questa azione economica ci ha permesso di sostenere concretamente centinaia di ammalati che senza l’aiuto della Chiesa non avrebbero potuto neppure iniziare o continuare le cure. Come nel caso di Antonio, che come detto aspetta un trapianto. Una famiglia intera, ad esempio, ha contratto la scabbia. A loro abbiamo comprato decine di tubetti di pomate per iniziare la cura lenta e costosa”.
Nelle fatture delle farmacie compare di tutto: dai farmaci generici a quelli specifici per il prosieguo delle terapie “perché – spiega ancora mons. Rivoli – molti ammalati hanno messo mano ai risparmi per potersi curare e hanno finito pure quelli, con il rischio di dovere interrompere le cure e allungare i tempi di guarigione”.
L’impegno della Diocesi si è dipanato su due fronti: ordinario e straordinario. Da un lato l’assistenza a quanti da tempo ormai sono seguiti e dall’altro il sostegno a chi ha dovuto pure fare i conti con le sofferenze di malattie improvvise e scoperte proprio durante il Covid, quando il lavoro ha scarseggiato e i sussidi non bastavano neppure per soddisfare un decimo delle esigenze di una famiglia. La Chiesa c’è stata. “Una rete aperta tra fornitori e finanziatori, farmacie e Chiesa – meditante la Caritas – che ha permesso di erogare migliaia di farmaci da destinare a pazienti che senza l’aiuto della Chiesa sarebbero stati costretti stoppare le terapie e in alcuni casi, neppure ad avviarle”.
Una catena di solidarietà che grazie al ruolo intermediario della Chiesa ha dato voce al Vangelo di Luca: “Curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio”.

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