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Nel silenzio del Seminario per imparare ad ascoltare

La vocazione come unica nota polifonica a partire dalla proposta del compositore Arvo Pärt

La mia riflessione vocazionale parte dalla proposta singolare del musicista estone Arvo Pärt (nato nel 1935) che compone togliendo note dal pentagramma. Credo che il lavoro formativo che svolgiamo in Seminario funzioni allo stesso modo: tutto ciò che si impara mira alla grande esaltazione dell’umanità purificata dall’incontro con il Signore Gesù. Ma per arrivare a definire uno stile così personale fatto di ipnotiche iterazioni, di incisi melodici arcaicizzanti, Arvo Pärt è dovuto rimanere in silenzio a lungo.

Paradossalmente nella sua parabola artistica il momento più importante è stato quel lungo silenzio vissuto negli ex Paesi dell’Unione Sovietica. «Un giorno mi accorsi che la mia musica possedeva molte cose, ma non la più importante. Così cercai di eliminare qualsiasi cosa le fosse estranea.

Un giorno mi piacerebbe scrivere un pezzo composto da un’unica nota», così scrive il compositore estone, cambiando totalmente registro compositivo. Il messaggio è chiaro e la parola chiave è “togliere”. Ma cosa c’entra questa tematica con la formazione che si vive in Seminario, mirata a formare pastori, parroci con responsabilità burocratiche e civili, custodi di opere d’arti e legali rappresentanti di enti? Credo che la provocazione di Pärt sia molto vicina alla categoria teologica della kenosis del Figlio di Dio, unica categoria che deve orientare la formazione del Seminario intesa come conformazione ai sentimenti del Cristo (cfr. Il dono della Vocazione, n°2).

Il Seminario allora sarebbe quel tempo di silenzio proficuo per imparare ad ascoltare e a comporre la sinfonia unica e irripetibile del proprio essere nel mondo come discepolo di Gesù, come suo testimone e come eco della sua Parola. Per dirla con la Pastores Dabo Vobis al n° 60, il tempo del Seminario serve per “ imparare a stare con il Maestro e poi per essere mandati”.

Ogni presbitero, pur in un cammino formativo unico, reso possibile dalla comunità del Seminario e dalla fedeltà agli orientamenti formativi della Chiesa, incarnerà in modo del tutto singolare la propria conformazione al Signore, trovando il proprio specifico, così come ogni buon compositore. Le note sono sempre le stesse, sarà la loro armonizzazione a dare alla musica toni diversi a partire dalla chiave che si vorrà anteporre al pentagramma. Il cammino formativo servirà ad imparare lo stile di Gesù “che da ricco che era si fece povero per arricchirci con la sua povertà” (2 Cor 8-9).

Nei decenni Pärt ha scritto brani che sono entrati stabilmente nel repertorio delle maggiori istituzioni musicali del mondo e ha messo a punto una tavolozza stilistica solida che gli garantisce una assoluta riconoscibilità. Ha inventato uno stile talmente semplice da essere unico. Il rischio, per Pärt così come per i giovani che si preparano ad essere preti, è quello di cadere nella tentazione di ripetere gli stessi “procedimenti” senza aggiungere l’esperienza personale che continuamente muta l’animo dell’artista e del discepolo di Gesù. Sullo scivoloso crinale che separa la semplicità, sempre auspicata, dalla banalità, sempre in agguato, è più facile cadere dalla parte sbagliata riproponendo spesso gli stessi elementi.

Il Seminario sarà la palestra per crescere nella semplicità del cuore e sintonizzare le note della vita con l’armonia dell’amore gratuito che ci precede per permettere, ad ogni chiamato, di comporre la sua propria melodia. Le note da togliere saranno soltanto quelle inutili e ridondanti che non fanno altro che confondere e appesantire la bellezza semplice della melodia; le stesse stonature, spesse volte fastidiose, preparano all’armonia maggiore e – se inserite in un opera più grande – sembrano quasi necessarie. Quali sono le note da togliere allora per una formazione più autenticamente evangelica?

L’autoreferenzialità sterile che mira al culto di sé, la dissonanza del non essere in comunione che fa come l’effetto di tanti stacchi musicali che non fanno apprezzare l’intera partitura, la paura e l’ansia da prestazione che fa cercare ripiegamenti, la tristezza del vivere giornate alla ricerca di chissà quale compensazione.

L’unica scuola per imparare questo salutare “togliere”, è l’incontro vero e trasformante con il Signore Gesù, è il camminare insieme raccontandoci ciò che realmente arde nel nostro cuore. Tuttavia le prime opere, da Bach a Beethoven, non hanno mai avuto all’inizio il grande applauso del pubblico, sono diventati dei classici solo successivamente, quando l’orecchio degli ascoltatori imparò ad apprezzare modi musicali diversi, nuovi, coraggiosi. Senza aspettarci nulla, iniziamo uno stile nuovo. All’inizio sicuramente non riscuoterà tanto apprezzamento, ma avrà l’overture dell’aurora.

*Rettore del Seminario Vescovile di Piazza Armerina



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