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Riflessioni sulla pubblicazione di Brunetto salvarini

Teologia per tempi incerti

Nel nostro tempo in cui assistiamo alla diffusione di una religiosità ambivalente, la quale propone, in contemporanea, fondamentalismi violenti e forme disincarnate di spiritualità, spesso ridotta alla misura dei bisogni individuali, il libro del teologo e critico letterario Brunetto Salvarani dal titolo emblematico di “Teologia per tempi incerti” (edito da Laterza), è il tentativo di dare una lettura teologica di questo tempo paradossale, diviso fra la precarietà esistenziale e la ricerca di soluzioni “forti”, identitarie e carismatiche. Una crisi che, nelle parole dell’Autore, risiede nel «timore di coniugare identità e fragilità» (p. 168). Il rapporto fra queste due categorie rappresenta una chiave di lettura del libro: da un lato, l’identità come riferimento a una tradizione di fede, che attribuisce un senso e un orizzonte all’esistenza; dall’altro, l’incertezza proveniente dal fatto che lo sguardo credente sulla vita è oggi provocato da cambiamenti radicali nella comprensione del mondo e dell’umano. Salvarani compie questa analisi del nostro momento, alla luce della fede; lo fa, interrogando la Scrittura ebraica e cristiana, non per cercarvi un rimedio all’incertezza del presente, ma proprio per interrogarla attraverso la coscienza della fragilità, assunta in modo maturo come condizione della libertà umana. Se un classico della letteratura è un’opera in grado di comunicare a distanza dal proprio contesto d’origine – è per questo che leggiamo ancora Omero e Shakespeare – la Bibbia si conferma, a una lettura non pregiudiziale, un deposito straordinario di esperienza umana, carico degli interrogativi di senso che da sempre impegnano l’essere umano. Salvarani si volge alle riletture letterarie dei personaggi e degli episodi biblici svolte da autori come Fëdor Dostoevskij, Herman Melville, Ernest Hemingway, Isaac B. Singer, ma anche da musicisti come Leonard Cohen e Vinicio Capossela. Va sottolineato che questa lettura culturale della Bibbia è esattamente il contrario della separazione fra cultura e fede, che è la chiave di volta e il comune denominatore dei vari neotradizionalismi, cristiani, islamici, o altro. Altro lato positivo del libro è recuperare il carattere originariamente interculturale e interreligioso della Scrittura, tramite il confronto con le sue fonti non ebraiche. La Bibbia si rivela così come testo dialogico nel suo stesso sorgere, frutto di una dialettica continua fra la fede nel Dio d’Israele e la sapienza dei pagani. Salvarani segue una linea tracciata da autori come Paolo De Benedetti e Sergio Quinzio, i quali dalla riflessione ebraica hanno appreso un modo di leggere la Bibbia che non è esegesi in senso tecnico, volta a stabilirne il senso univoco, ma interrogazione appassionata, dialogo anche drammatico e conflittuale con il Dio che ci parla. Come risponderà la Chiesa a questi tempi? Forse mai, come ora, essa ci è apparsa in tutta la sua precarietà e fragilità, anche scandalosa. La proposta è chiara: la Chiesa deve imparare ad abitare la precarietà. La propria, in primo luogo, accettando che è finito il tempo nel quale essa guidava la società con mano ferma e rinunciando alle tentazioni, sempre ricorrenti, di un’improbabile religione civile. Ma si tratta di accogliere e amare anche la precarietà del mondo attuale, cogliendone le fatiche, le aspirazioni, le possibilità: «raccogliere la sfida insita in questa fase di permanente transizione eletta a orizzonte vitale; capire e amare questa condizione» (p. 169). Fragilità equivale a umanità e i “tempi incerti” che viviamo altro non sono che il tempo dell’umanità. La “teologia dei tempi incerti” ci invita, in ultima analisi, a un amore incondizionato per gli uomini e le donne concreti del nostro tempo, così come sono.



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