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Ad un anno dalla visita del Santo Padre a Piazza Armerina (15 settembre 2018), non solo una nostalgica commemorazione ma l'impegno della Chiesa Piazzese ad incarnare le sue parole nella testimonianza storica di fede.

Sulle orme di Francesco

Il 15 settembre ricorre il primo anniversario della visita di Papa Francesco alla nostra Chiesa diocesana di Piazza Armerina. Un vero dono inaspettato che la Provvidenza ci ha concesso di vivere, confermati dal successore di Pietro e spronati nella carità e nella speranza. Ritornano alla memoria i momenti forti di preghiera e di incontro con il Signore nella Confessione, durante la notte di vigilia, in attesa del Papa o il clima di festa che contrassegnava la nostra citta di Piazza Armerina nei giorni immediatamente precedenti alla visita apostolica. Tuttavia, per evitare di vivere tale ricorrenza solo nella nostalgica commemorazione emotiva di un fatto passato e ormai archiviato, occorre ‘ri-cordare’, ossia portare al proprio cuore gli elementi profetici che Papa Francesco ci ha lasciato nel suo discorso e incarnarli nella testimonianza storica di fede. Possiamo sintetizzare nei seguenti punti le linee essenziali del messaggio apostolico:
La carità della verità: chiamare le cose con il proprio nome e agire da profeti. Il Papa proprio all’inizio del suo discorso, facendo riferimento “alle diverse problematiche che affliggono il nostro territorio”, li definisce piaghe e li declina in questi termini: “sottosviluppo sociale e culturale; sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani; migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcolismo e altre dipendenze; gioco d’azzardo; sfilacciamento dei legami familiare”. Da notare la capillare specificazione che fa il Pontefice dinanzi alla quale non bastano più soltanto gli “osservatori” o gli “studi sociologici” che spiegano i motivi di tali problematiche ma chiedono l’intervento della Comunità ecclesiale che, continua il Papa nel suo discorso, “potrebbe apparire, a volte spaesata e stanca e a volte vivace e profetica” nel cercare nuovi modi per farsi prossimi ai fratelli caduti nella disaffezione, nella diffidenza nei confronti della Chiesa o nella crisi di fede. Un vero e proprio monito a svegliarsi dal sonno delle sterili affermazioni consolatorie “ma nella mia parrocchia (o nel mio paese), grazie a Dio non ho questi problemi” che spesse volte bloccano l’annuncio profetico comunitario ad alzare la voce contro le ingiustizie e le piaghe sociali presenti nel nostro territorio diocesano e leggerle, non in modo pessimistico o solo dal punto di vista analitico, ma come le “piaghe del Signore” incarnato nella storia.
Chiesa sinodale e della Parola Accettare la fatica dell’ascolto della storia, del fratello, della comunità, del Signore Gesù che parla nella sua Parola e nella storia. Il binomio non può essere spezzato, pena l’incomprensibilità dell’evento stesso. È quanto ricorda con impressionante attualità la Dei Verbum quando, descrivendo il mistero della rivelazione, insiste che questo si è espresso in “verbis gestisque intrinsece inter se connexis” (Dei Verbum, 4). Se la rivelazione di Cristo mantiene fortemente in unità le parole e i gesti, ciò non è senza significato per la vita credente. L’unità del contenuto creduto richiede di essere espressa anche nella missione della Chiesa. Anzitutto nel saper sostare ai piedi del Maestro per imparare da lui la logica dell’amore filiale. Il Papa ci ha ricordato l’importante pratica della lectio divina definita come “momento mirabile di incontro cuore a cuore con Gesù”. Successivamente, a partire dalla luce della Parola e confortati dalla presenza incessante dello Spirito creativo nella storia, scendere nella concretezza del discernimento delle scelte “utili per la felicità e per lo sviluppo armonioso”. Da notare come per il Pontefice si profili un altro binomio: lectio, ossia ascolto orante della Parola del Signore applicata alla nostra vita e scelte concrete “per lo sviluppo armonioso”.
Chiesa della carità missionaria
Il Papa per parlare di carità parte dal concetto di “compassione evangelica”, e dice: “con semplicità andate per i vicoli, i crocicchi, le piazze e i luoghi di vita feriale, e portate a tutti la buona notizia che è possibile una convivenza giusta fra noi, piacevole e amabile, e che la vita non è oscura maledizione da sopportare fatalisticamente, ma fiducia nella bontà di Dio e nella carità dei fratelli”. Per il Papa dunque, la carità missionaria consiste nell’imitare i primi discepoli del Signore che, seguendo il Maestro di Galilea lungo la strada verso Gerusalemme, annunciano il Vangelo di salvezza compromettendosi personalmente. Il termine compassione, dal latino cum –patior, significa “soffrire con”, ossia farsi prossimo, avere gli stessi sentimenti del Figlio, “sino al punto di piangere con chi piange e ridere con chi ride” (cfr. Rm 12, 15). Il Papa invita a dare un volto concreto alla carità, attraverso mense e centri charitas, “strutture per ospitare Gesù profugo e spaesato e case d’amore per gli anziani spesso soli e scoraggiati”.
Curare l’identità: l’attenzione agli anziani
Il messaggio del Pontefice richiama alla necessità di “parlare con gli anziani” e di evitare di posteggiarli in case di riposo senza amore e in attesa della morte. Questo punto è alquanto importante e profetico poiché, in un’epoca che privilegia l’autoreferenzialità e il “successo personale” a tutti i costi, l’anziano è considerato come un “peso morto” che potrebbe rallentare la corsa al successo o “alterare” equilibri familiari spesse volte fragilissimi. La conoscenza della propria identità parte dalla conoscenza delle generazioni precedenti, attraverso l’arte della parola trasmessa per narrazione; sì, proprio quella narrazione insegnataci attraverso i racconti storici e fantastici dei nostri nonni, nel tepore invernale delle loro case che profumavano di scorze di arancia e di mandarini, abbrustolite sulla piattaforma rovente della stufa a legna.
Chiesa comunità eucaristica
Papa Francesco lega l’eucarestia al ministero ordinato, ed evidenzia la necessità di avere un dialogo franco e schietto con il proprio vescovo e i propri parroci. Parlando ai presbiteri, fa riferimento alla bellezza della fatica dell’annuncio del Vangelo ed esorta alla pazienza nel costruire una vera famiglia presbiterale. All’inizio del nuovo anno pastorale è alquanto pertinente richiamare alla memoria e all’azione pastorale tali punti, che coincidono con la sensibilità e l’azione del nostro vescovo, mettendoci in umile ascolto della voce del Signore che parla la stessa lingua degli uomini.



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