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Diaconi per “costruire” la Chiesa

Intenso momento di vita ecclesiale quello celebrato in Cattedrale, a Piazza Armerina, nel pomeriggio di sabato 3 luglio scorso. Non solo perché ricorreva il 204° anniversario di istituzione della Diocesi, ma anche per la consacrazione di tre nuovi diaconi permanenti, che d’ora in poi collaboreranno gli agli 11 già ordinati. E all’inizio dell’omelia il Vescovo mons. Rosario Gisana ha ricordato proprio l’anniversario dell’erezione della Diocesi. “La scelta di questa data, non è casuale perché ricorda l’erezione della nostra Chiesa locale a diocesi, avvenuta nel 1817: un evento importante che incoraggia a rivisitare, con senso di responsabilità, il modo come amiamo e serviamo la sposa di Cristo”.
Alla presenza dei fedeli, di diversi presbiteri e dei diaconi, della comunità del Seminario – tanti quanti ne può contenere la Cattedrale nel rispetto delle norme anti covid – provenienti da Butera, Gela e Piazza Armerina, città di origine dei tre ordinandi, mons. Gisana ha proceduto alla ordinazione diaconale di Giuseppe Felici, Filippo Marino e Ignazio Puci. Di essi abbiamo tracciato una biografia nel nostro settimanale del 20 giugno. La solenne celebrazione, curata dall’Ufficio liturgico diocesano diretto da don Lino di Dio, è stata animata dal coro di Gela “Perfecta Laetitia”.
Tanta emozione nei presenti, soprattutto tra le famiglie degli interessati che, lo ricordiamo sono tutti coniugati con prole. Giuseppe, sposato con Rossella ha due figlie di 13 e 15 anni; Filippo, sposato con Stefania ha una famiglia allargata composta da nove membri, con cinque ragazzi in affido; Ignazio, sposato con Aglaia ha 4 figli.
Facendo riferimento al servizio della Chiesa, il vescovo ha sviluppato la sua omelia, ricordando che con il battesimo si riceve da Gesù “un incarico esplicito: servire con diligenza, affetto e passione colei che ci ha generato nella fede”, che se per i battezzati è un mandato, diventa un comando per chi vive il ministero diaconale e sacerdotale, un “rapporto di solidarietà con la Chiesa, che è dono della vita come il suo sposo”. Una prospettiva questa, diceva mons. Gisana che “conferma il ruolo che ha il diaconato permanente nella nostra comunità diocesana, un ruolo che sollecita costantemente la nostra sensibilità di testimoni e garanti della carità di Dio”.
Rivolgendosi agli ordinandi, il Vescovo ha richiamato il loro servizio che ha una doppia faccia, cioè “sollevare la miseria di coloro che purtroppo soffrono gli effetti del nostro egoismo, e scuotere le nostre confessioni di fede, cristallizzate da un certo devozionalismo che ci porta lontano da Dio”.
Per il Vescovo Rosario, grazie alla presenza dei diaconi permanenti “impariamo a capire che il cuore del discepolato sta nella contemplazione del volto di Cristo nei poveri”, e per questo è necessario “maturare una vivida coscienza ecclesiale: essere «tempio santo nel Signore», che non è più quello costruito da mano d’uomo, ma l’esistenza di ciascuno di noi, grazie all’opera di Gesù, al suo essere «pietra d’angolo», e rientra nel disegno salvifico di Dio secondo cui, negli angoli e negli stipiti di questo tempio nuovo, vi sono soprattutto pietre singolari, quelle che la società considera di scarto, malati, peccatori, carcerati, poveri, anziani, bambini, stranieri che impreziosiscono il suo tempio e che la Chiesa deve premurarsi di utilizzare secondo i criteri del vangelo”.  Continuando nella sua omelia e sulla necessità di prendersi cura del ‘Tempio di Dio’, il Vescovo ha parlato della necessità di “prendersi cura della costruzione di questo tempio abbellendolo anche con la presenza dei “poveri, che attestano la presenza di Dio, la sua gloria in mezzo a noi”. Questa costruzione per il prelato deve essere “edificata con spirito di collaborazione, in comunione con un’azione sinergica che esige docilità e apertura, ma soprattutto umiltà”, poiché questo è un aspetto che “rivela la verità della comunione ecclesiale”.
“I diaconi nella Chiesa, – ha continuato – hanno questo compito: aiutare le nostre comunità, guidate dai loro pastori, a edificare «il tempio santo», la cui bellezza è data dalla presenza attiva dei poveri”.
Il Vescovo ha quindi insistito sull’impegno di “rimettere i poveri al centro della nostra vita pastorale, poiché questo significa ammettere che essi sono presenza viva del Messia”, la cui presenza nelle nostre comunità è necessaria perché se “vogliamo che la Chiesa pensi secondo Dio e non secondo gli uomini, non abbiamo altra scelta: Gesù ci ha lasciato i poveri per servirli e per imparare da loro un modo di pensare, quello di Dio, radicalmente opposto a quello del mondo. Se non accettiamo i poveri nelle nostre comunità e se per le nostre attività pastorali non partiamo dalle loro reali presenze, non potremo mai capire le modalità del regno di Dio e la Chiesa rischia di testimoniare un vangelo che non è quello di Gesù”.



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