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Riprendiamoci la vita

Abbiamo creato nei pressi della parrocchia un campetto di calcio con tanto di linee, porte e reti per offrire ai ragazzi la possibilità di giocare in un ambiente protetto per assecondare la loro voglia di stare insieme e socializzare attraverso lo sport più popolare in Italia. Niente di speciale, ma in un piccolo paesino dove lo sport è deceduto da tempo e dove le strutture sportive si trovano inutilizzate e in uno stato pietoso, può essere ritenuta una cosa importante, quanto meno per gli stessi ragazzi. Così frotte di ragazzini preadolescenti si sono riversati nella piccola struttura per trascorrere il loro tempo libero insieme. Ma ecco che, appena il campetto si è reso fruibile la Sicilia è stata dichiarata zona rossa. Quindi niente attività e niente socializzazione. Abbiamo dovuto cacciarli per non incorrere nelle sanzioni previste in caso di assembramenti.Un anno di restrizioni a singhiozzo, chiusura totale, zona gialla, poi arancione, poi rossa continuano a mortificare la voglia della gente ma soprattutto dei ragazzi di riprendersi la loro vita. Ora si dice che questo maledetto virus forse sarà debellato entro tre anni. Ma si può continuare a vivere chiusi in casa per altri tre anni? Già vediamo gli effetti di questa forzata clausura anche nei più piccoli. Il caso della bambina di Palermo è emblematico, così come l’accresciuta dipendenza dalla rete e dagli smartphone. Una crisi sociale oltre che economica con effetti sulla psicologia delle persone che alla fine si riveleranno devastanti. Siamo stanchi di queste restrizioni! Non possiamo vivere isolati senza neanche un minimo di vita sociale. Tante persone sono chiuse in casa terrorizzate, gli psicologi e gli psicanalisti hanno aumentato a dismisura il loro lavoro. Se l’unico rimedio al contagio sono i vaccini vacciniamoci tutti, ma che almeno ci sia data in fretta questa possibilità e che le difficoltà vengano superate anche con l’intervento coercitivo delle organizzazioni nazionali, europee o delle Nazioni Unite. So di dire delle esagerazioni, penso di raccogliere un grido di sofferenza che ci proviene dal profondo, ma come disse una volta un noto saggio di cui non ricordo il nome, “non possiamo smettere di vivere per paura di morire”!



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